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India, Coca-cola inquina e chiude un impianto da 25 milioni di dollari

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Sconfitta pesante per il colosso delle bibite gasate dopo una mobilitazione popolare di quindici anni. Per ogni litro di Coke servono 4 litri d’acqua e quasi tre ritornano inquinati con metalli pesanti

di Ercole Olmi

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Il gigante delle bibite gasate, Coca cola, ha appena fatto sapere alle autorità di non essere interessato a espandere il suo stabilimento di imbottigliamento nel distretto di Varanasi, nello stato federato indiano dell’Uttar Pradesh. In realtà è una vittoria di chi si batte da anni contro lo sfruttamento delle risorse idriche della regione da parte della temibila bibita marroncina con le bollicine.
Un tribunale, lo scorso giugno, aveva concesso alla multinazionale di Atlanta di riprendere le operazioni in attesa dell’autorizzazione eventuale della Cgwa, l’authority indiana per le acque sotterranee su un aumento della sua produzione da 600 bottiglie al minuto. L’udienza era stata fissata per il 2 settembre ma già alcuni giorni prima Coca cola aveva annunciato di aver accantonato il progetto citando presunte perdite finanziarie per il “ritardo eccessivo” dell’authority indiana. Il tribunale esaminava il ricorso della Hindustan Coca-Cola Beverages Pvt Ltd contro un ordine emesso da Uttar Pradesh Pollution Control Board (l’agenzia che sorveglia l’inquinamento) del 2 giugno di annullare il consenso a operare per mancanza delle autorizzazioni necessarie.
Coca-Cola, è presente nel villaggio Mehdiganj di Varanasi dal 1999 e ora deve rinunciare a 25 milioni di dollari già investiti nella realizzazione dell’ampliamento. La maggior parte dei giornali del mondo ha riferito del comunicato della multinazionale senza dare conto, con l’eccezione di The Ecologist, che tutto ciò avviene dopo una battaglia di 15 anni degli attivisti locali, infuriati per l’inquinamento, per l’eccessivo pompaggio delle acque sotterranee e per il land-grabbing, l’accaparramento della terra. «Coca-Cola è una società spudorata e immorale che ha sempre messo la sua ricerca di profitti al di sopra del benessere delle comunità che vivono intorno alle sue strutture», spiegano gli attivisti.
La Water Authority Centrale ha respinto il 21 luglio la domanda della Coca-Cola ad operare nel suo nuovo impianto e ha chiesto tempo fino al 25 agosto per annunciare la sua decisione dinanzi al National Green Tribunal (NGT). Dopo aver appreso che la sua domanda era stata respinta, per minimizzare limbarazzo, Coca-Cola ha inviato una lettera al CGWA il 22 agosto 2014 – due giorni prima dell’ufficializzazione della bocciatura.
La campagna degli attivisti ha lavorato negli ultimi due anni per garantire che le autorità di regolamentazione fossero al corrente dei problemi creati dall’impianto di imbottigliamento esistente e le ragioni per cui un aumento di cinque volte avrebbe ulteriormente peggiorare le condizioni della zona.
Una carenza di acque sotterranee fu il primo effetto dell’arrivo della Coca-Cola a Mehdiganj e quelle acque, dalla categoria “sicure” furono declassate dieci anni dopo a quella di “critiche” con relativi divieti per l’utilizzo domestico e nell’agricoltura. La perdita del progetto da 25 milioni dollari è una grande sconfitta per la Coca-Cola e questo «dovrebbe servire come un avviso ad altre società che non possono correre calpestando norme e regolamenti indiani e negare i diritti delle comunità sopra le acque sotterranee», ha detto Srivastava.

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La multinazionale ha identificato l’India come un mercato importante da cui si cerca di trarre notevoli profitti futuri, soprattutto in quanto le vendite di Coca-Cola sono colpite, in altri mercati, dai problemi di salute legati al consumo della bibita e dalla mutazione degli stili di consumo.

Non è la prima sconfitta del colosso in India: nel 2004 dovette chiudere dopo un lungo assedio di massa un impianto in Kerala dove, per ogni litro di coca-cola prodotto, erano utilizzati 4 litri d’acqua, e ne venivano regalati alla comunità locale 2,7 litri di acqua inquinata da metalli pesanti che si infiltravano nelle terre circostanti. Nel marzo 2010 un tribunale ha dato ragione a Plachimada: la Coca-cola Company dovrà risarcire gli abitanti del posto con più di 350 milioni di euro. L’acqua di Plachimada non è più potabile perchè sono state inquinate le falde acquifere.

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