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Hong Kong: “Occupy Central”, la polizia carica i manifestanti

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L’importante centro finanziario, ex colonia britannica, teatro di proteste contro i paletti al suffragio universale imposti da Pechino per le prossime elezioni del 2017 (video e foto).

di Marina Zenobio

Proteste Hong Kong settembre 2014

Hong Kong, ex colonia britannica, dal 1997 è una regione della Repubblica popolare cinese con una amministrazione speciale che gli dovrebbe consentirebbe un alto grado di autonomia e il suffragio universale. Ciò nonostante lo scorso agosto il governo di Pechino ha confermato il procedimento elettorale con cui, nel 2017, dovrà essere affidata la carica di “chief executive” o governatore locale di Hong Kong; un procedimento che consente sì il suffragio universale, ma sarà Pechino a stabilire – attraverso una apposita commissione – quali saranno i nominativi che potranno candidarsi.

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E’ questa imposizione che ha innescato le proteste e gli scontri in corso in questi giorno ad Hong Kong, convocate in primo luogo da studenti e insegnati, raccolti sotto la sigla “Occupy Central” guidato dal professore di diritto Benny Tai. Tutti indossano mascherine e mantelle di plastica per difendersi dallo spray al peperoncino lanciato dalla forze antisommossa, ma poco possono fare contro manganelli, idranti e gas lacrimogeni. Le cronache degli scontri di questi ultimi due giorni riportano decine feriti e di arresti, tra cui il diciassettenne Joshua Wong, che guida il gruppo studentesco medi «Scholarism», comunque rilasciato lunedì mattina. Da ormai cinque giorni i manifestanti chiedono di essere ricevuti dal capo del governo locale, Leung Chun-ying, che finora ha respinto la richiesta dichiarando che i movimenti scesi in piazza sono illegali.

La polizia è intervenuta con la forza dopo che un gruppo di giovani aveva sfondato la porta del quartiere generale del governo nella cosiddetta «civic square» ad Admirality, l’area dell’isola di Hong Kong adiacente a Central, il quartiere delle grandi imprese e delle grandi banche internazionali che hanno qui una base fondamentale per le loro operazioni in Cina e nel resto dell’Asia. Il clima nell’area è incandescente, le barriere metalliche mobile, che la polizia aveva montato a contenimento, ora sono utilizzate come barricate dagli studenti, a cui si sono aggiunti molti genitori e tante persone preoccupate per una escalation della violenza contro i giovani.

Preoccupazioni però anche a Pechino per la possibilità che il “virus democratico” di Hong Kong possa diffondersi nelle città e nelle campagne della madrepatria. Il professore Benny Tai e i suoi colleghi hanno chiesto alle autorità di rinunciare alla loro legge elettorale considerata una truffa, e di aprire un dialogo per creare le condizioni di un suffragio universale secondo standard internazionali. Da Pechino finora nessuna risposta, ma il presidente Xi Jinping continua a ripetere in riunioni a porte chiuse che “il partito deve rimanere fedele allo spirito e all’ideologia del compagno Mao. Altrimenti la Cina farà la fine dell’Unione Sovietica, il cui partito comunista persa l’ideologia perse il potere”.

C’è chi teme che lo scontro possa inasprirsi e portare ad un’altra Tiananmen che, nel 1989, provocò centinaia di morti. Timore non condiviso comunque dal leader di “Occupy Central”. Per Benny Tai il parallelo è ancora prematuro e, in una intervista rilasciata all’Ansa, ha dichiarato: “Per il momento – aggiunge – l’esercito non è stato schierato e la gestione della crisi è affidata alla polizia locale. Se questa non riuscisse a sgombrare le strade, allora è possibile che intervenga la guarnigione di Hong Kong del Pla (Esercito di Liberazione Popolare) composta da seimila soldati”.

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