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La mamma di Aldro: «Vicina ai familiari di Mauro Guerra»

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«Sappiano i familiari di Mauro Guerra che gli sono vicina», dice Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi. «Serve un freno, forse una formazione e una cultura diverse. E la fine dell’impunità»

di Checchino Antonini

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«Sappiano i familiari di Mauro Guerra che gli sono vicina». Dieci anni dopo l’omicidio di suo figlio da parte di quattro poliziotti (era il 25 settembre del 2005), Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, rivive una storia con molti punti di sovrapposizione con la sua. E’ accaduta a pochi chilometri da Ferrara, a Carmignano Sant’Urbano, tra Padova e Rovigo.

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«Gli ingredienti sembra si ripetano ogni volta – continua al telefono con Popoff Quotidiano – una versione ufficiale carica di lati oscuri, i carabinieri che indagano su sé stessi e una vittima che viene criminalizzata».

Patrizia va avanti con amarezza: «Continuano a sparare senza pensarci due volte, come se fosse assimilato un senso di impunità consolidata. Sarà sempre peggio. Perché tutto questo accanimento fino a uccidere? Serve un freno, forse una formazione adeguata, una cultura diversa. E la fine dell’impunità, la possibilità di essere spogliati di quella divisa con cui commettono questi abusi», conclude la madre di Federico, Aldro per i suoi amici, diciotto anni compiuti due mesi prima di entrare in contatto con quelle due volanti nella notta ferrarese.

LE INDAGINI

Domani, domenica, alle 21.30, gli amici di Mauro Guerra si troveranno di fronte la casa dell’amico ucciso per una fiaccolata «semplice, sobria, senza inni, senza rabbia, vogliamo solo ricordare Mauro e il suo grande cuore». La Procura di Rovigo, intanto, ha aperto un fascicolo che vede iscritto con l’accusa di omicidio colposo il maresciallo dei carabinieri che dice di aver sparato, uccidendo, un 30enne della bassa padovana che avrebbe dato in escandescenza, rifiutando un Tso che però i familiari dicono non fosse ancora stato firmato. Il maresciallo – recitano i dispacci – avrebbe impugnato l’arma dopo che il 30enne, fuggito nei campi vicini a casa, avrebbe aggredito un carabiniere colpendolo più volte alla testa con un corpo contundente. I militari erano intervenuti a causa di una violenta, ennesima, lite in famiglia. Ma i familiari e un testimone raccontano una storia diversissima. E’ stato davvero il maresciallo a sparare a un uomo in mutande e calzini, in un campo appena trebbiato, vicino la sua abitazione? Secondo indiscrezioni sull’autopsia, il colpo sarebbe stato sparato da una distanza compresa tra i 50 centimetri e i cinque metri, non a bruciapelo, dal basso verso l’alto,sarebbe entrato nel fianco sinistra, da dietro e uscito dalla parte opposta, sulla destra, salendo verso il collo. C’è chi dice di aver visto altri carabinieri prendere a calci l’uomo già ferito a morte mentre era a terra. Da parte loro i carabinieri avrebbero girato due video pare sequestrati dalla procura di Rovigo.

Seccamente smentita, per ora, la prima versione riportata dall’Ansa (chi gliel’aveva dettata?) secondo cui a Carmignano Sant’Urbano, sarebbero stati gli stessi familiari della vittima a chiamare il 112 e il 118.

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