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Kokocinski, la vita senza maschera

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Troppo umano, avrebbe detto Nietzsche. Ma anche un artista davvero unico. Alla Fondazione Roma l’opera di un uomo capace di vivere in simbiosi con l’arte. Il circo come metafora e scommessa contro le avversità della vita

di Maurizio Zuccari

 

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Koko nel suo studio (foto Manuela Giusto)

Si può essere grand’uomini, o grandi artisti. Difficile essere entrambi, ma qualcuno ci riesce. Uno tra i pochi è Alessandro Kokocinski. Una vita che è un romanzo, la sua. Nato in un campo profughi poco dopo la seconda guerra mondiale da padre polacco e madre russa, che quel conflitto avevano combattuto, Koko si ritrova in tenerissima età ad approdare in Argentina dopo essere sopravvissuto a un naufragio – era, quello come l’attuale, tempo di migranti che scampavano la vita giocando a dadi con la malasorte – e a vivere tra gli indios Guaranì in Brasile, con la giungla e le stelle compagne di giochi. Attraversa l’America Latina con una compagnia circense girovaga, scampa alle dittature, approda in Europa e scopre, con l’altra metà del mondo, l’arte. A Roma arriva nei primi anni ‘70, entra in rapporto con Rafael Alberti e la scuola romana, senza mai fare davvero gruppo, seguendo un’identità e un percorso tutti suoi. Da uomo libero, qual è. Artefice d’opere capaci di unire pittura e scultura, materia e sogno, impasti cromatici tardo rinascimentali, echi sei-settecenteschi e visionarietà contemporanea.

Da anni residente a Tuscania, in provincia di Viterbo, in lotta contro la malattia e la perdita quasi totale della vista, Koko torna a Roma con una personale che è, a un tempo, scommessa contro le avversità della vita e rievocazione del tempo circense che fu, del circo equestre che resta. Un omaggio alla tragedia velata d’ironia che è l’esistenza e al carattere indomito dell’uomo che l’attraversa senza lasciarsi travolgere. Questo racconta La vita e la maschera, da Pulcinella al clown: una settantina tra grandi tele e opere polimateriche di dimensioni ridotte, tra cui 40 realizzate ad hoc, dove l’arte del maestro si misura con quella della maschera, l’italica buffoneria con figure arcinote della clowneria e dell’arte circense internazionale, quali i russi Petruska e Popov.

«Sotto il tendone da circo sempre vivo», scrive la curatrice Paola Goretti, «Kokocinski è un assalto al cuore colmo di paesaggi con uomini rotti, il canto di un disastro partorito a morsi, ma anche uno sterminato paesaggio dai riflessi felici e iridescenti, catapultati verso il cielo». E Il cielo respira fra vita e sogno è proprio il titolo di una delle opere più riuscite e recenti, con un pulcinella che si distacca dalla tela per farsi materia, a mezzavia fra dimensione materica e onirica, appunto, come molte delle opere che danno la cifra stilistica dell’artista. Dove l’elemento tragico non diviene mai pessimismo fine a sé stesso ma consente al dolore di farsi comunque speranza, al buffone di farsi uomo. La tragedia del burattino umano, troppo umano, per dirla come Nietsche, è il filo rosso dell’intero percorso espositivo che si snocciola in sei sezioni, dall’incipit dell’immaginifica installazione Olocausto del clown tragico, all’altra, Non l’ho fatto apposto, con un verzignolo rospo ai piedi del Pulcinella trombettiere su cui aleggia un angelo indaco, simbolo dell’uomo liberato dalla sua pesantezza.

Koko, Liberato dalla pesantezza, 2013 (part.)

È tutto un’eco di rimandi al vissuto, personale e collettivo, a un’esistenza dove il reale si riverbera sul creativo, quello in mostra, come sottolinea Emmanuele Emanuele, presidente della fondazione Roma che questa mostra ha voluto, presentando l’artista a cui è legato da anni da profonda amicizia. «La mostra di palazzo Cipolla – spiega – riflette il dramma esistenziale di Kokocinski attraverso il sapiente uso della maschera, che non va concepita come un velo dietro al quale nascondersi ma il mezzo privilegiato di una catarsi interiore, grazie al quale egli espone i valori in cui crede. Per questo l’arte di Kokocinski va letta in parallelo alla sua esperienza di vita. Molto spesso, infatti, si è tentati di separare l’uomo dall’artista cadendo nell’errore di ridurre la storia dell’arte al mero processo creativo, senza considerare che dietro all’ingegno e alla tecnica si nasconde il percorso esistenziale e interiore del suo autore. È per tale motivo che i capolavori incondizionati della creatività umana dovrebbero essere sempre letti nell’orbita simbiotica di arte e vita, perché l’una non esclude l’altra. E la mostra che presentiamo intende proporre precisamente questo punto di vista». La vita e l’arte di un grand’uomo, appunto.

Kokocinski, la vita e la maschera, da Pulcinella al clown. Fondazione Roma museo, palazzo Cipolla, dal 17 settembre al primo novembre, ingresso libero; info www.mostrakokocinskiroma.it.

www.mauriziozuccari.net

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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