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Uranio e amianto, killer ignorati di mille militi noti

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La relazione finale della IV commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito riconosce le responsabilità dei vertici militari. Ma per la Difesa le accuse sono «inaccettabili»
di Maurizio Zuccari

«Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una penisola interdetta». Non le manda a dire Gian Piero Scanu, presidente della IV commissione sull’uranio impoverito, che nella sua relazione finale chiama in causa i vertici della Difesa per le «sconvolgenti criticità» in cui hanno operato i militari italiani nei poligoni di tiro e sui campi delle guerre infinite dell’ultimo trentennio. Morti non sul terreno ma per le polveri cancerogene sprigionate da missili e proietti, nostri e alleati, caricati a uranio e usati senza conoscenze né precauzioni nelle missioni Nato.

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Un’ecatombe che ha disseminato di cadaveri e malati terminali lo Stivale: quasi 350 morti, oltre 4mila contagiati dal 2000 in qua nei vari fronti del dopomuro, dal Medio Oriente ai Balcani. Senza contare le nascite dei bambini deformi, le vittime civili che nessuna Ong umanitaria – tanto attente ai gas farlocchi – ha contabilizzato ma si contano a milioni. Una strage e un j’accuse che i vertici delle forze armate continuano a negare, definendo «inaccettabili» le accuse. «L’uranio? Mai usato né acquistato. Le forze armate hanno la massima attenzione per la salute dei militari», dice, buon ultima, l’ineffabile ministra della Difesa Pinotti, sulla scia negazionista dei suoi predecessori.

Eppure basta scorrere i bollettini dell’Osservatorio militare messo in piedi da Domenico Leggiero, ex pilota, per la conta dei morti e delle sentenze. Oltre una quarantina, poco più d’una decina passate in giudicato. L’ultima condanna del ministero di via XX settembre al risarcimento è del Tar di Napoli, ai primi di febbraio. Lungaggini nei rimborsi e cavilli negazionisti sono pure in calce alla relazione della commissione presieduta da Scanu – una vita nella Diccì nelle sue varie salse, fino al Pd – che alle Idi di marzo non sarà riconfermato, con buona pace delle sue raccomandazioni.

Ma peggio va ai contagiati dall’amianto in Marina. Nel libro Navi di amianto (Oltre edizioni) i giornalisti Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli raccontano quest’altra tragedia negata, costata finora il doppio dei morti ma appena annunciata. Mille militi noti, morti senza un perché.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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