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Zingaretti rappresenta l’avversario di classe. Ma noi?

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La vittoria di Zingaretti è una forma di ristrutturazione di un partito neoliberista. Ma noi cosa siamo in grado di rappresentare?

di Eleonora Forenza*

Mi spiego. Ho avuto anche io un sussulto ogni volta che ieri leggevo dichiarazioni di partecipazione e di voto per Zingaretti alle Primarie del Pd da parte di compagne e compagni che sono state/i come me Giovani comuniste/i. Come è possibile? L’introiezione del punto di vista dell’avversario, la subalternità, la sconfitta storica, culturale ecc. Bestemmie.
Per me non vi è dubbio che la vittoria di Zingaretti non rappresenti altro che una forma di ristrutturazione di un partito neoliberista in crisi di consenso. Che le dichiarazioni di Zingaretti su articolo 18, riforma della Costituzione, Tav ecc. non siano nient’altro che questo.
Che il nostro progetto politico è storicamente, strutturalmente, elettoralmente alternativo al Pd. Che la manifestazione di Milano si svuota di ogni significato se non è capace di storia e memoria (quella che giustamente difendiamo nelle scuole): se rimuoviamo che gli accordi con la Libia, che il diritto differenziale per i migranti, che la criminalizzazione della solidarietà sono iniziati con Minniti.
Il punto in questione non è qui l’alternatività al Pd, che per me rimane fermissima. Il punto è la capacità delle classi dirigenti dell’avversario di ristrutturarsi, a fronte di una nostra – nostra di chi sta dalla parte delle classi popolari, per intenderci– di autodistruggerci.
È passato un anno esatto dal terremoto elettorale del 4 marzo, dalla vittoria di due populismi reazionari, dalla catastrofe elettorale di Leu e Pap.
Pap si scinde perché Eurostop e Opg sono impegnati a dimostrare che tutti gli altri “all’infuori di loro” sono vecchia politica, partitini ecc. Un mix fantastico di populismo interno e populismo dell’1 per cento. Rifondazione comunista (il mio partito) ritorna al mitico unitah unitah, come se la mancanza di unità politica non fosse la conseguenza di uno sganciamento strutturale tra la sinistra politica e il conflitto sociale. Leu si divide in tanti rivoli, tra chi è già risucchiato nell’orbita di Zingaretti e chi ancora non riesce a dire una parola netta di svolta, a fare una scelta di campo. De Magistris decide – dopo tre mesi, tre mesi, tre mesi – dall’assemblea del primo dicembre che non è il caso di gettarsi “nell’abisso nero” (cit.). A meno di tre mesi, dunque, dalle europee, non siamo in grado di balbettare collettivamente una proposta.
La sconfitta è strutturale, storica, per carità. Il nostro blocco sociale è disgregato, verissimo.
Però se c’è un ruolo delle soggettività nella storia – e io non mi sono mai votata al determinismo – direi che la storia non ci assolverà.
Non vedo l’ora che sia 8 marzo, per tornare a respirare buona politica.

*di Rifondazione comunista, eurodeputata del Gue/Ngl

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