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Parole in fondo al bicchiere/ La cospirazione del Singapore Sling

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Ngiam Tong Boon

Era stato ritrovato il diario di Ngiam Tong Boon, il leggendario barman dell’hotel Raffles. Lì c’era la ricetta del Singapore Sling, quello originale

di Gabriele Brundo*

Non ho potuto fare a meno di prenotare il primo volo per Singapore, dovendo passare mezza giornata a Parigi per la coincidenza, quando ho ricevuto la notizia che era stato ritrovato il diario di Ngiam Tong Boon, il leggendario barman dell’hotel Raffles, che aiutava i suoi compatrioti migranti dell’isola di Hainan a trovare lavoro nell’insediamento di Singapore. Su quel diario c’è la ricetta del Singapore Sling, quella originale, non quella raffazzonata dai clienti dell’hotel e dai collaboratori del suo creatore. E io devo vederla di persona, al museo del Raffles. Non mi fido del web, non del tutto almeno.

Così sono salito sul Boeing B777, lasciandomi la vecchia Europa alle spalle, per atterrare su quello che viene definito l’aeroporto più bello del mondo, il Changi, una specie di serra multicolore all’interno di una sfera di vetro e acciaio. Mi sembra di non essere mai partito da Genova e di essere una farfalla nella biosfera di Renzo Piano.

Il Changi
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Non sono qui per l’aeroporto però, ho preso una stanza proprio dove lavorava Ngiam Tong Boon, dilapidando praticamente tutti i miei risparmi, ma dovevo sapere, dovevo vedere con in miei occhi quel diario e la ricetta originale.

Qualcuno dice che prendo troppo seriamente il mio lavoro di barman, e forse ha ragione, ma è proprio questa mia propensione al perfezionismo che mi rende diverso dalla maggior parte dei miei colleghi. Il più è fatto, a separarmi dalla fonte della mia curiosità c’è soltanto l’ultima tratta del viaggio, quella che mi sarei immaginato più a rischio di vita, su un tuk-tuk, e invece si rivela assai comoda, su un moderno taxi blu con aria condizionata.

Per fortuna, visto che qui ci sono trenta gradi con l’80% di umidità. L’hotel che mi si para davanti alla fine del viaggio è bianco e mi ricorda quelle villette del Palladio che usano tanto su dalle mie parti nel Veneto, solo cento volte più grande. Le gambe mi tremano e non capisco se sia per la stanchezza dovuta al viaggio o per l’emozione di trovarmi in quel luogo dove visse e lavorò un illustre esponente, un precursore del mio mestiere, un vero artigiano del bere. Uno che ha imparato studiando sui libri e praticando nel vetro, non nei corsi a pagamento.

Non raggiungo nemmeno il mio bagaglio in stanza, ansimando un passo dietro l’altro mi avvio direttamente verso il museo dell’hotel, dove è custodito il diario di Ngiam Tong Boon, ed eccolo lì. Non c’è molta gente, alla maggior parte degli altri ospiti queste piccolezze interessano poco, ma per me sono il significato della vita. Il significato è nelle piccole cose. L’osservo, celato dietro un sottile strato di vetro sul quale sono rimaste impresse le impronte delle retine dei pochi come me che hanno posato gli occhi su quella grafia stretta e lunga. Però io non conosco il cinese. E quel diario è tutto scritto in cinese. Che fesso. Perché non ho ascoltato Chiara, lei me lo avrebbe fatto notare sicuramente. Sono un impulsivo, non posso farci niente, soltanto all’idea di dovermi organizzare per fare un viaggio mi viene la pelle d’oca. Passo il resto della giornata al bar dell’hotel e dopo cena mi siedo al bancone, prendo il menù e scorro la lista dei cocktail.

Eccolo il Singapore Sling. Ne ordino uno e non tolgo gli occhi di dosso dalla barista, non perché è carina ma perché voglio vedere le sue mani all’opera. Mescola il succo dell’ananas con il limone e li versa nel boston shaker insieme al ghiaccio, poi aggiunge Gin, Benedectine, Triple sec, Apricot Brandy e Angostura, infine una goccia di granatina giusto per dare il colore. Me lo versa in un bicchiere old fashioned dopo una energica shakerata, guarnendolo con una ciliegina, un paio di foglie di menta e un tovagliolino bianco come sottobicchiere. La ricetta originale.

Il Singapore Sling

Ma lo sarà davvero o è quella che i pezzi grossi dell’hotel vogliono farci credere? Per berlo ci metto quasi un paio d’ore, nel tentativo di sentire tutti i sapori dei prodotti con i quali è preparato. Prendo l’agendina dalla tracolla della macchina fotografica, quella dove scrivo tutti i miei appunti di lavoro, e annoto tutti i passaggi della preparazione, tutti i gusti e i retrogusti che sono riuscito a percepire un sorso dopo l’altro, tutti i possibili abbinamenti e mi viene in mente qualcosa che ha a che fare con la polpa di granchio.

Quando dello Sling non resta altro che un paio di cubetti di ghiaccio sciolti, chiudo gli occhi e mi rivedo nel 1915, seduto qui a questo bar con Ngiam Tong Boon di fronte a me, come aspettasse un commento sulla ricetta finale, reggendosi sul suo vecchio bastone da passeggio. Io invece gli chiedo se per lui aiutare tutti quei migranti a raggiungere Singapore per diventare manovalanza a basso costo ha avuto un senso. Nemmeno lui ha una risposta, o forse non me la vuole dire. Tutto questo viaggio non ha avuto alcuna risposta.

Riapro gli occhi e dalla finestra alla fine del bar vedo l’ondeggiare degli alberi, scossi da un vento particolarmente insidioso, e dietro di loro tutta Singapore illuminata. Questa spedizione quasi archeologica, tutti i soldi spesi inutilmente e sono ancora senza risposte. Pago e saluto il long bar del Raffle Hotel di Singapore, probabilmente per l’ultima volta prima della fine del viaggio. Scaccio via tutti i pensieri negativi, mi aggiusto il cappello e mi metto la tracolla in spalla. Dopotutto sono a Singapore e la notte è ancora giovane, ci sarà qualcosa per cui sia valsa la pena volare, no?

*Gabriele Brundo è un barman scrittore, o viceversa, mescola liquori e parole alla Bottega del Conte di Genova. E scrive questi racconti per Popoff

La Bottega del Conte di Genova
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