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C’era una volta (e c’è ancora) il giardino di casa Usa

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Guaidò torna in piazza in Venezuela, Morales fugge in Messico. C’era una volta l’Altra America, il giardino di casa Usa, e c’è ancora

C’era una volta l’Altra America. Era il giardino di casa Usa, dove fin dai primi dell’800 il presidente Monroe disse che nessuno oltre agli stessi Usa doveva mettere il naso, con l’omonima dottrina. Per dar più forza al concetto il massone Teodoro Roosevelt, succeduto all’assassinato McKinley e nobilitato col Nobel per la pace nonostante le sue cannoniere scorrazzassero dal Nicaragua alle Filippine, applicò un secolo dopo la politica del “big stick”: un “grosso bastone” con cui convincere i malintenzionati a tenersi alla larga e i recalcitranti a soggiacere alla libertà e al progresso formato esportazione.

Dalla propria indipendenza, nessuno stato latinoamericano s’è sottratto alle attenzioni di Washington, cedendo a golpe militari e regimi totalitari quando le bastonate, o i dollari, non bastavano. Sembrava che, con la fine della guerra fredda, il Sudamerica potesse risvegliarsi dal suo torpore, riscattarsi dall’ingombrante vicino. Lula in Brasile, Chavez in Venezuela, Morales in Bolivia, Mujica in Uruguay, Correa in Ecuador, per non dire dell’immarcescibile Castro a Cuba e del ritorno dei sandinisti in Nicaragua, avevano fatto credere che un’America davvero altra fosse cosa fatta, la rinascita della sinistra nel giardino addirittura possibile. Invece, nel giro di pochi anni, tutto è tornato al suo posto. Democrazia e libertà trionfano ovunque, tranne che nel Venezuela di Maduro e all’Avana. Ma anche lì è solo questione di tempo per tornare a sentire il fruscìo dei dollari, l’inebriante profumo di libertà made in Usa.

L’ultimo a cedere alle pressioni di Washington – cioè delle piazze, nella vulgata del circo mediatico – è stato Morales, già leader d’indios e desperados. Costretto a fuggire in Messico da un golpe che ha la chioma bionda e le piacevoli fattezze di Jeanine Anez, senatrice dell’opposizione autoproclamatasi presidente con più successo di quanto fatto a Caracas dall’altra figurina nel paniere degli States, Guaidò. Sarà per questo che l’uomo di Washington, il bel Juan, oggi rilancia richiamando la gente in piazza, a Caracas. In ballo ci sono le riserve del principale produttore di greggio in America, in ballo c’è la libertà nel più bel fiore del giardino.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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