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Impeachment per Trump, più boomerang che bingo

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Al via al Senato il processo d’Impeachment per Trump, più boomerang che bingo per i Democratici

Non c’è due senza tre, dice il proverbio. L’adagio casca a cecio per il processo d’impeachment a Trump iniziato oggi al Senato. È la terza volta che un presidente degli Stati Uniti viene messo sotto accusa al Congresso per gravi reati che prevedono, in alcuni casi, l’allontanamento dalla carica. La prima volta toccò a Andrew Johnson, nel 1868. Succeduto all’assassinato Lincoln quale vicepresidente, il più sudista dei congressmen Usa nordisti scampò dall’accusa di tradimento per un solo voto. La seconda volta fu quella di Clinton, nel 1998, sotto botta per i suoi rapporti (orali) con Monica Lewinsky. Anche il bel Bill se la cavò senza gran danno, anche se i seggi racimolati dai Democratici alla Camera furono una miseria rispetto a quelli attesi e l’allora portavoce dei Democratici, Newt Gingrich, ci rimise il suo.

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Sarà per questo che l’attuale speaker democratica, Nancy Pelosi, ha fatto le umane e divine cose per non chiedere lo stato d’accusa per Trump. Prima di Clinton il repubblicano Nixon preferì dimettersi quando l’esito dello scandalo Watergate apparve scontato, evitando così l’impeachment. È dall’inizio del mandato di Trump che i Democratici tentano di rovesciare il piatto servito dalle urne. Finora, nessuno dei quattro tentativi d’impeachment di Donald, tra cui il Russiagate, è andato a buon fine. Stavolta alla Camera hanno avuto i numeri per la messa in stato d’accusa, per la controversa telefonata del presidente al suo omologo di Kiev, con il blocco della fornitura d’armi in cambio di qualche scheletro nell’armadio del balbuziente Joe Biden, il vice Obama capintesta dei Democratici alle prossime primarie.

Ma, più dei precedenti, l’affaire ucraino corre il rischio di rivelarsi un boomerang anziché un bingo, perché non c’è alcuna possibilità che i due terzi d’un Senato in mano repubblicana votino contro il suo presidente. Anzi dalla parte avversa, tra le file dell’Asinello, qualcuno scalcia e si defila. Un buco nell’acqua annunciato ma tant’è. Trump è il terzo presidente Usa a subire lo stato d’accusa e rischiare un processo per tradimento, il primo non massone nel Gop repubblicano. Un primato. Ma passerà indenne dalle forche caudine democratiche, al termine d’un processo che si prefigura lampo, con sole 24 ore per i testi d’accusa e di difesa, e comunque finirà ai primi di febbraio. In tempo per il discorso all’Unione d’un presidente più forte che pria. Per questo alcuni, nelle fiere democratiche, s’allenano ai tirassegno sulla sagoma al presidente. Un Oswald disposto a sparacchiargli si può sempre trovare.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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