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Val Susa, lacrimogeni ad altezza d’uomo, grave un’attivista No Tav

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Giovanna dovrà essere operata. La polizia: ferite incompatibili con un lacrimogeno. Perché la protesta a San Didero

Giovanna dovrà essere operata, la situazione è molto grave ma non è in pericolo di vita. Questa generosa donna è una valsusina acquisita fin dagli albori del Movimento No Tav – fa sapere dal suo sito il movimento che si oppone alla inutile, dannosa, grande opera – Infatti, è sempre stata presente dal 2005 in poi con sua figlia, ha anche vissuto in Valsusa per qualche tempo e in ogni occasione possibile è sempre pronta a sostenere la lotta No Tav.

Giovanna, militante pisana, attualmente si trova all’ospedale Molinette con due emorragie celebrali e plurime fratture al volto. Ha inoltre subito pressioni da un’operatrice nonostante lo stato fortemente provato per le lesioni subite e l’estrema situazione di fragilità, colpevolizzandola per il fatto di essere stata ferita nell’ambito di una iniziativa del movimento no tav violando quel patto di sicurezza e protezione che si dovrebbero trovare in una condizione normale nel momento in cui si varcano le porte dell’ospedale. E’ notizia di questa mattina, inoltre, che la polizia è andata alle Molinette entrando nella stanza di Giovanna cercando di interrogarla contrariamente a quanto definiscono le norme anti-covid che vietano l’entrata di esterni, compresi i parenti, in ospedale. Con una conferenza stampa il movimento No Tav ha spiegato quello che è successo ieri sera, al termine di una manifestazione a San Didero: i No Tav si sono avvicinati al piazzale per portare un saluto ai presidianti che resistono ancora sul tetto. La reazione delle forze dell’ordine è stata come al solito spropositata, con un enorme lancio di lacrimogeni. Da allora Giovanna è grave in ospedale con emorragia cerebrale e fratture al viso, colpita da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo dalle truppe di occupazione. «Le forze dell’ordine hanno avuto una reazione spropositata scatenando un fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo colpendo una ragazza in pieno volto», ha detto Martina Casel, del movimento No Tav. Loredana Bellone, consigliera comunale a San Didero, ha affermato che «l’occupazione militare del territorio è un fatto molto grave» e ha parlato di «comportamento ignobile» da parte delle forze dell’ordine. Per Guido Fissore, attivista storico, «questo non è stato un incidente ma un attentato vero e proprio. Si è sfiorata una tragedia che possiamo definire annunciata perché purtroppo queste modalità le abbiamo già incontrate negli anni passati».

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«La miglior solidarietà nei confronti di questa nostra lotta faticosa e bella è la partecipazione attiva, che non lasci scampo a questi assassini, braccio armato del sistema che, gettato ormai ogni velame, scatena tutta la propria violenza contro di noi, popolo di troppo. Un grande abbraccio alla compagna ferita», si legge sul profilo fb di Nicoletta Dosio, storica figura del movimento. Indecente, la velina della questura dettata ai cronisti di agenzia: «Sono in corso di accertamento le circostanze del ferimento della militante No Tav che secondo il Movimento sarebbe stata colpita da un lacrimogeno sparato dalle forze dell’ordine. Lo si apprende da fonti delle forze dell’ordine che precisano che i lanci sono avvenuti a molta distanza. La militante rimasta ferita è una donna di Pisa, risultata appartenente all’area antagonista e che avrebbe a suo carico diversi precedenti». I precedenti sarebbero «annotazioni della digos» relative a quei reati inventati per criminalizzare il dissenso e il conflitto sociale. Più tardi un’altra velina non smentirà il lancio di candelotti ad altezza d’uomo, evidente da alcuni filmati, ma suggerirà un’altra versione ufficiale: “Non sono compatibili con il getto di un lacrimogeno le lesioni riscontate sull’attivista No Tav rimasta ferita ieri sera a San Didero (Susa). È quanto trapela da ambienti investigativi. Il lacrimogeno, di dimensioni tonde, lanciato da una «distanza di 30-40 metri» si sfalda in dischi di sostanza polverosa urticante di pochi millimetri che si incendiano, producendo fumo, ma non sono non in grado di procurare un trauma di quel tipo”.

La violenza è inaccettabile, tuonano da “sinistra” Pd e Italia Viva, solidarizzando ovviamente con le forze dell’ordine, perché la violenza sarebbe quella dei manifestanti mentre da destra c’è un fuoco di copertura verbale di sindacatini e sindacatoni di polizia, quelle sigle che abbiamo conosciuto per la violenza verbale contro i familiari delle vittime di police brutality ma svetta su tutte il sindacato che fu il simbolo della sindacalizzazione e della democratizzazione della ps, il Siulp, ma oggi chiede, per bocca del suo capo torinese, Eugenio Bravo, una riforma che cancelli la sospensione condizionale della pena per i condannati per reati inerenti l’ordine pubblico.

«Un linguaggio che rivela la totale allergia di settori delle forze dell’ordine alle ragioni della Costituzione e che è speculare all’indifferenza delle classi dominanti alle ragioni della salute pubblica, dell’ambiente, della democrazia e dei diritti delle classi lavoratrici», commenta l’organizzazione politica Sinistra Anticapitalista, di ispirazione eco-socialista.

Cronaca di un sabato di lotta

Anche ieri è stata un’intensa giornata di lotta si è dipanata dal mattino ed ha coinvolto l’intero movimento, dai sindaci ai tecnici, dai giovani all’intero popolo No Tav. Una prova ulteriore che il movimento è vivo anche in un momento doppiamente difficile per l’agibilità politica per chi, oltre agli effetti dell’occupazione militare subisce gli effetti più ampi del contenimento sociale e della crisi pandemica.

Un’occupazione militare, raccontano i siti del movimento, che ieri mattina si è presentata in tutta la sua prepotenza di fronte agli agricoltori che hanno tentato di montare i banchi per il tradizionale mercato del sabato al Baraccone di San Didero, attualmente utilizzato come parcheggio dalle camionette delle forze dell’ordine. Il mercato non ha potuto avere luogo nonostante la presenza di diversi cittadini e il consenso delle autorità comunali all’istallazione dei banchi.

La giornata è poi proseguita con la conferenza dei sindaci e dei tecnici No Tav. I sindaci hanno confermato la propria contrarietà all’opera e hanno mostrato la loro indignazione per la gestione dei rapporti interistituzionali messi in campo da Questura e Prefettura durante le fasi del tentativo di sgombero del presidio dell’ex autoporto e la gestione dell’ordine pubblico dei giorni seguenti. I tecnici hanno disegnato la situazione che si troverebbe ad affrontare la valle se i lavori dovessero andare avanti, tra il traffico dei camion di smarino, l’utilizzo della cava di Caprie, l’intasamento delle due statali e i rischi collegati alla movimentazione del terreno del bosco di San Didero inquinati di pcb e diossine. Inoltre hanno sollevato il dubbio che il cantiere del nuovo autoporto sia da un punto di vista legislativo a tutti gli effetti abusivo. Ci si è lasciati con l’intenzione di rilanciare su una mozione unitaria dell’Unione Montana di opposizione all’opera e su una grande marcia popolare da farsi appena le condizioni lo renderanno possibile.

Infine, alle 17, nel parcheggio dell’acciaieria di San Didero sono confluiti oltre quattromila No Tav che si sono mossi in corteo sfidando l’asfissiante militarizzazione per attraversare i paesi colpiti dalla cantierizzazione del nuovo autoporto. La manifestazione, molto attraversata dai giovani e in grande parte dalla popolazione Valsusina è passata da Bruzolo per poi concludersi a San Giorio. Diversi sono stati gli interventi di saluto ai No Tav ristretti da misure coercitive del tribunale di Torino, a Dana, Fabiola, Francesca, Mattia e Mattia e Stella. Altri hanno posto l’accento sui rischi correlati al cantiere del nuovo autoporto e altri ancora hanno sottolineato l’incoerenza del governo che parla di transizione ecologica mentre si prepara a riversare un’altra colata di cemento sulla Val Susa.

Un gruppo di No Tav è riuscito a scavalcare la massicciata e bloccare l’autostrada Torino – Bardonecchia per diverso tempo, fino all’intervento della polizia che ha lanciato lacrimogeni sul blocco. La manifestazione è poi tornata verso San Didero per salutare con i fuochi d’artificio i No Tav che continuano a resistere sul tetto del presidio dell’ex autoporto, anche grazie ad una continua staffetta di cambi, cibo e acqua che riesce ad aggirare il dispositivo di militarizzazione.

5 milioni di euro pubblici spesi per il fortino di San Didero evidentemente non soono bastati all’apparato repressivo per impedire ai notav di raggiungere i presidianti nella casina sul tetto! In questi giorni abbiamo assistito alla mobilitazione di 2000 robocop delle forze dell’ordine e uomini della digos, al posizionamento di centinaia di jersey, di una decina di torri faro e di km di filo spinato, alla chiusura dei passaggi per animali sotto l’autostrada con doppie reti elettrosaldate e ancora filo spinato, per una spesa totale che sarà, appunto, di 5 milioni di euro prelevati dalle tasche dei cittadini. San Didero era un luogo che negli ultimi mesi aveva ripreso a vivere, dopo anni di abbandono, come spazio collettivo e luogo di confronto, e ora è un fortino militare che rimanda a scenari di guerra. Da diversi giorni, infatti, alcuni ed alcune notav, nonostante l’incredibile dispiegamento di forze dell’ordine, è riuscita a intrufolarsi sotto il loro naso e dare il cambio ai resistenti nella casina. Si scende e si sale, arrivano provviste, farmaci e acqua, forze nuove per tenere la posizione sul tetto dell’ex-autoporto. «Siamo la natura che si difende!», recita uno degli adagi più efficaci di quello che è il più longevo movimento sociale e ambientalista di questo paese.

Ma perché proprio a San Didero?

Ma perché questa escalation bellica proprio a San Didero? Nel 2013 il progetto definitivo della tratta internazionale del Tav Torino-Lione individua la località Baraccone, nel comune di San Didero, quale nuova sede dell’autoporto a servizio della A32: si tratta di una porzione di territorio, sito tra l’autostrada e la statale 25, degradato da ruderi edili incompleti e depredati intorno ai quali, negli anni, si è sviluppato un bosco spontaneo. Si legge tutto ciò in un documentato articolo del novembre scorso scritto dai No Tav torinesi.

Da subito questa scelta allarma fortemente i Sindaci dell’area, per l’impatto che avrà la nuova infrastruttura in fase di cantiere e di successivo esercizio, ma anche perché riapre l’enorme problema di salute dei cittadini costituito dall’inquinamento dello strato superficiale dei terreni, che la locale acciaieria ha provocato in 54 anni di attività. “Ci sono forti rischi sanitari nel movimentare oggi i terreni in cui giacciono rifiuti tossici e strati di inquinanti rilasciati in passato dalla locale acciaieria, già responsabili di un tasso di mortalità in zona ben superiore alla media”. Una “piccola Ilva”, infatti, posta al centro di un territorio comprendente San Didero, Bruzolo, Villarfocchiardo e Borgone, nata nel 1960 e gestita via via da ditte diverse fino alla chiusura avvenuta nel 2014; un impianto che ha portato anche in Val di Susa l’eterno conflitto tra la salute da un lato e l’occupazione (350 dipendenti) dall’altro.

Volume e densità dei fumi costantemente emessi dalla fabbrica erano da sempre visibili a km di distanza, e destarono fin dai primi anni ‘70 l’allarme tra i cittadini più sensibili al nesso stretto tra ambiente e salute, che col tempo si organizzeranno nell’attivissimo Comitato Emissioni zero.

Petizioni e raccolte firme denunciarono a più riprese il problema alle amministrazioni locali, fino a che, nel 1994, ben 17 Sindaci della bassa valle denunciarono la situazione in un esposto.

Solo nel 2003 l’Arpa avvia un’indagine, lunga un anno, che evidenzierà la presenza al suolo di una forte contaminazione da diossine e soprattutto Policlorobifenili (PCB), che in certi punti superano anche di 56 volte il limite di legge consentito per le aree abitate. Sono sostanze cancerogene e teratogene (malformazioni del feto) persistenti, con tempi di “dimezzamento” di vari decenni, che non vengono dilavate dall’acqua, ma che si concentrano nelle sostanze grasse, come latte e derivati. L’erba brucata da bovini, ovini e caprini porta gli inquinanti nella catena alimentare fino all’uomo.

Si impone, di conseguenza, la necessità di una seconda indagine, questa volta epidemiologica, per appurare quanto l’inquinamento accertato porti conseguenze nello stato di salute degli abitanti: la chiede a gran voce il Coordinamento Sanitario dei 100 medici di base valsusini.

L’ente Provincia ingaggia un tira-e-molla che durerà anni con l’acciaieria per l’installazione di filtri e depuratori dei fumi, col corollario dei consueti, continui ricatti occupazionali. Intanto gli amministratori locali si trovano a dover affrontare un problema enorme, che riguarda la salute dei cittadini, l’occupazione, le attività agricole, zootecniche e di trasformazione. In 5 fattorie della zona è accertata la presenza di diossina nel latte, e la Regione ne vieta a lungo la vendita, come anche per burro e formaggi: un danno molto grave per gli incolpevoli allevatori, a cui vengono promessi indennizzi, ma più in generale per l’immagine dei prodotti locali della valle. Il dilemma che riguarda presente e futuro è: salute o lavoro? Industria o agricoltura?

Ad inizio 2005  l’ARPA-Piemonte comunica i primi risultati dello studio epidemiologico-statistico sulla mortalità e sull’incidenza dei tumori nel territorio, che mette a confronto i dati medi del Piemonte con quelli dei quattordici comuni situati in un raggio di 10 Km dall’acciaieria Beltrame: qui si supera decisamente la media, con “eccessi di patologie per le quali esistono in letteratura evidenze di incremento di rischio in relazione a esposizione a Pcb e diossina “ . Il dato preoccupante, nello specifico areale di San Didero, è l’anomala incidenza di tumori allo stomaco ed al retto. Inoltre, la Guardia di Finanza rinviene, tra i ruderi del Baraccone, nel 2004, fusti contenenti oli ed altri rifiuti speciali e tossici sepolti sotto terra o coperti da grandi massi; i colpevoli furono individuati e processati, ma nel 2009 beneficiarono della prescrizione dei termini.

Si ripropone dunque in Val di Susa un altro “ordinario” caso di sfruttamento del territorio, dove prima hanno lucrato costruttori di opere rivelatisi inutilizzate, e poi criminali trafficanti di rifiuti tossici. Anche stavolta vi si torna, anni dopo, per collocare uno dei cantieri legati alla realizzazione di un’opera più grande e più inutile, il Tav.  (e si ripete quanto appena accaduto a Salbertrand, nell’alta valle, dove l’area degradata ha così tanto amianto ed altri inquinanti da imporre il trasferimento del cantiere in altra sede).

Oggi dunque San Didero, ma anche i Comuni limitrofi, rischiano che fin dalle operazioni preliminari  per l’autoporto venga rimesso in circolo il cocktail dei veleni presenti nel suolo del Baraccone: è necessario che nuovamente tutte le energie dei No Tav, degli ambientalisti, dei Sindaci e dei cittadini tornino a mobilitarsi in difesa della salute.

 

 

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