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Carabinieri in chat che invocano la “fine di Cucchi”

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Chat-choc tra le carte del processo al carabiniere che bendò Natale Hjorth, arrestato per l’omicidio di Cerciello Rega

«Squagliateli nell’acido», «fategli fare la fine di Cucchi». Le frasi shock sono contenute in alcune chat intercorse tra i carabinieri e depositate nel processo a carico di Fabio Manganaro, il militare dell’Arma finito sotto processo per la vicenda del bendaggio di Gabriele Natale Hjorth, accusato assieme a Finnegan Lee Elder dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Per entrambi, domani, inizierà il processo d’Appello dopo una condanna all’ergastolo rimediata in primo grado.

Una storia che rivela quanto sia radicata la cultura dell’abuso in una delle istituzioni più controverse di questo Paese: da un lato è in cima alle classifiche di gradimento compilate dalla statistica ufficiale, dall’altro è spesso coinvolta in episodi di abusi in divisa come alcuni processi stanno rivelando. Sta per arrivare a sentenza proprio il processo per i depistaggi delle indagini sul caso di malapolizia più noto, l’omicidio di Stefano Cucchi. Imputati in otto fra carabinieri semplici e ufficiali, tra cui un generale.

Nei confronti di Manganaro l’abuso ha un nome “misura di rigore non prevista dalla legge”, uno dei tanti volti della tortura che però la scialba legge italiana non riesce a recepire come tale. Delle chat, avvenute nelle ore successive al fermo dei due americani nel luglio del 2019, scrive oggi un noto quotidiano milanese. «Li abbiamo presi stiamo venendo al reparto», scrive un militare nella chat e i colleghi commentano: «Ammazzateli di botte» oppure «speriamo che gli fanno fare la fine di Cucchi». Tra le frasi finite all’attenzione del giudice monocratico anche quella di un militare che scrive: «non mi venite a dire arrestiamoli e basta. Devono prendere le mazzate. Bisogna chiuderli in una stanza e ammazzarli davvero» e altri chiosano: «bisogna squagliarli nell’acido». Per la morte di Cerciello i due americani sono stati condannati in primo grado all’ergastolo.

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Uno dei militari racconta anche ciò che è accaduto in caserma: “Appena lo hanno portato al reparto operativo ho buttato uno schiaffo a uno, poi mi hanno fermato i colleghi. E nel frattempo buttavo io le ginocchiate sul petto”, scrive mentre altri minimizzano: “Ma non gli hanno alzato così tanto le mani”.

Viale Siracusa, stavolta, potrebbe stupire l’opinione pubblica non tanto prendendo provvedimenti (previsti dalle norme) nei confronti dei carabinieri che hanno invocato le torture e la morte di persone in loro custodia ma inaugurando un programma di formazione dei suoi uomini adeguato a sconfiggere dal punto di vista culturale una forma di bullismo in divisa feroce e allergica ai valori costituzionali.

 

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Checchino Antonini quasi sociologo, giornalista e scrittore, classe 1962, da vent’anni segue e racconta i movimenti sociali e la “malapolizia”. Ha scritto su Liberazione, Micromega Erre e Megafono quotidiano, InsideArt, Globalist, PostIt Roma, Retisolidali, Left, Avvenimenti, il manifesto. Ha pubblicato, con Alessio Spataro, “Zona del silenzio”, graphic novel sul caso Aldrovandi. Con le edizioni Alegre ha scritto “Scuola Diaz vergogna di Stato” assieme a Dario Rossi e “Baro” Barilli. Il suo primo libro è Zona Gialla, le prospettive dei social forum (Fratelli Frilli, 2002)
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