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Il caso Scurati riletto alla luce del politicamente scorretto

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Ecco perché, nella farsa democratica, miriamo il dito mentre la luna gira e casca nel pozzo

In Italia esistono due tipi di fascisti, diceva Ennio Flaiano: quelli veri e quegli altri, gli antifascisti. Potrebbe sembrare una boutade, e forse lo è, ma l’arguto motto dello scrittore abruzzese torna in mente in questo giorno, addì 25 aprile, dedicato al mito & rito della liberazione, alla luce del caso Scurati. Così, avendo a repulsione tanto il fascismo di ritorno che l’antifascismo di maniera, diciamo la nostra sulla vicenda, sullo “spettro del fascismo che infesta la casa della democrazia italiana”, per citare il discorso censurato – ma niente è più noto di quanto si vuol rendere ignoto – del bell’Antonio. Che il nostro sia un paese perennemente fascistibile è arcinoto e la cosa, per restare a Flaiano, è drammatica ma non è seria, come dimostra anche la trovata della Melona di pubblicare il monologo online: una trovata d’avanspettacolo, la botta finale al cornuto già mazziato. Del resto lo diceva già quel barbone, la storia si presenta sempre in forma di tragedia, eppoi si ripresenta come farsa.

Scurati è, diciamolo subito, scrittore di vaglia. Da buon napoletano doc, ancorché residente altrove, non è solo un bravo affabulatore, ma uno che con l’arte sommamente partenopea del chiagni e fotti se la cava bene assai. Porro l’ha paragonato a quei calciatori che si buttano in area e strillano al fallo da rigore senza essere minimamente toccati. Il suo discorsetto, tagliato da Mammarai per ragioni d’opportunità e forse di spicci, ha provocato un terremoto mediatico capace di smuovere interpellanze e far sussultare le poltrone pure del direttore generale e del responsabile degli approfondimenti della televisione nazionale. Con ogni probabilità, l’audizione prevista in commissione di vigilanza l’8 maggio produrrà la grande tempesta in un bicchiere d’acqua. Quisquilie, per una Rai capace di digerire il caso Travolta e il caos del televoto sanremese senza batter tasto. Restano le perplessità del caso. Ma andiamo con ordine.

Scurati è un grande scrittore. Uno che lo Strega se l’è sudato e strameritato, votato al politicamente correttissimo. Un intellettuale che ha fatto dell’antifascismo una professione di metodo e di fede, apparentemente non pagante in tempi d’opposta tendenza. La sua trilogia su Mussolini è un must, paragonabile all’opera omnia su duce di De Felice, e al pari parziale ancorché del pari monumentale. Ché raccontare la buonanima saltando a pié pari quel che di oscuro e dimenticato c’è nella vita del maestro di Predappio fattosi dittatore – gli esordi da socialista rivoluzionario, le trame coi servizi francesi, la prima moglie e il figlioletto Albino mandati ai matti – è opera di castrazione narrativa, una bestemmia concettuale. Un vero peccato, perché una penna come la sua ben si sarebbe potuta misurare con una materia narrativa così controversa e di fatto ignorata, ancorché non ignota. Ma niente. Meglio battere sui tasti unti stonati della perfidia fascista. Meglio continuare – e qui si viene al punto – a ergerci a giudici della storia quando il vento ha sperso il fumo e della battaglia non è rimasta che cenere. Buttiamo giù le statue e le targhe dalle piazze, togliamo la cittadinanza onoraria a Mussolini, come ha fatto il comune di Ustica l’altro dì. Tutto, a cassazione degli errori del passato, senza minimamente misurarci davvero con esso, tantomeno con l’oggi e col domani, dove altri censori verranno a correggerci le bozze e rinfacciarci gli errori del presente.

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Continuiamo dunque a gridare al fascista, anche se questi pigliano ordini oltreatlantico, privatizzano quel che resta delle bucce italiche, stroncano ogni residuale sovranità nazionale e, insomma, del fascismo manco hanno il ghigno, solo l’amore per i poteri forti, e si dimostrano servi sciocchi al pari degli altri. Continuiamo pure a gridare all’antifascismo spacciando ogni corbelleria per progresso, mentre la massa dei precari già proletari è tornata indietro di secoli nell’esercizio di diritti conculcati come non mai. Nella farsa democratica miriamo il dito mentre la luna gira e casca nel pozzo; i padroni del sistema e del discorso questo chiedono mentre apparecchiano nuovi terrori, orrori tecnocratici e guerre sparecchiatutto. Nella tabula rasa che verrà manco avremo la soddisfazione di buttargli giù la statua o fargli un bel discorso, agli eroi della democrazia totalitaria e ai piccoli uomini, e donne, e vattelapesca quel che dicono d’essere, che li servono così bene.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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