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Genova, la meglio gioventù e le ragioni del fiume

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«Ci hanno portato via il fiume lasciandoci in cambio la paura. Voglio che restituiscano i fiumi alla città, passerà anche la paura». Sabato corteo a Genova: “Io non rischio: lotto”

da Genova, Giuseppe Pittaluga

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L’Acqua,… L’acqua è una costante del paesaggio e della storia di questi dintorni; sembra che poco possa prescindere dalla compagna presenza dell’acqua, della pioggia, dei Rii, delle sorgenti e dei mille rivoli che con la pioggia si moltiplicano a volte con forza e si portano via cose e ricordi, lasciando a memoria l’ umidità, che rimane nell’aria, nelle cose, fino nelle pietre…

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Da sempre qui si fanno i conti con l’acqua, a volte son conti in attivo come per le bugaixe ed i mulini, i frantoi, gli abbeveratoi… a volte invece le si paga il dazio.

Dovrebbero pensarci prima di abbattere, modificare, costruire

Io non voglio la Messa in Sicurezza del Bisagno, non voglio che mi rubino il fiume che dà il nome alla Valle, non voglio che ne prosciughino l’alveo e lo nascondano sotto una enorme piastra di cemento, non voglio asfalto ed edifici dove il correr via dell’acqua è la nostra salvezza, non voglio perdere per sempre quel che da sempre è nostro, non voglio che “valorizzino” così la mia città: in questo modo hanno divorato la Liguria intera.

La sicurezza per Lorsignori è questo.

È l’affare nuovo da dare alle grandi imprese voraci di appalti pubblici, magari snelliti dai controlli.

Io voglio il risanamento del territorio, la salvaguardia del paesaggio, voglio recuperare e ricostruire un ambiente di lavoro e di vita salubre, da tutti i punti di vista, voglio che la foce del Bisagno sia larga e visibile, che il suo corso sia ampio come lo era, che consenta alla pioggia di raggiungere il mare, voglio che il suo alveo sia sgombro da assurdi grattaceli, voglio che il greto del fiume sia lasciato ai germani reali e ai campetti da bocce quando è asciutto, e alla corsa dell acqua quando è in piena, voglio che il Bisagno lo si possa attraversare su dei bei ponti e che sia libero da strade e coperture.

Voglio vedere e capire, reimparare a conviverci ed accettare la sua importante presenza.

Ci hanno portato via il fiume lasciandoci in cambio la paura.

Voglio che restituiscano i fiumi alla città, passerà anche la paura.

Genova, qualcosa si muove in città: un’intelligenza collettiva che, contemporaneamente alla solidarietà immediata (i cosiddetti angeli del fango) prova a nutrire una riflessione sulle cause dell’ennesimo disastro e a rivendicare un’alternativa al circolo vizioso disastri-“risanamenti”-disastri. Che poi, a leggere bene gli avvenimenti, è un’alternativa al modello di potere imposto dal Pd a Nordovest e altrove.

Sabato prossimo, il 18 ottobre, un corteo autoconvocato percorrerà le strade di Genova [ore 15 Piazzale Cimitero di Staglieno fino a Piazza De Ferrari]. «Partiremo dalle zone devastate dall’alluvione, percorreremo le strade dove in questi giorni abbiamo spalato insieme a tantissimi volontari, passeremo accanto ai magazzini e ai negozi che abbiamo ripulito fino ad arrivare in centro, in piazza de ferrari per chiedere non solo le dimissioni del sindaco Doria e del presidente Burlando, ma per chiedere che vengano abbandonate le politiche di devastazione ambientale, che si smetta di finanziare le grandi opere inutili e dannose e si cominci ad investire sulla tutela e la messa in sicurezza del nostro territorio», è scritto sul profilo fb di “La meglio gioventù. Solidarietà attiva alle zone alluvionate”.

L’iniziativa sta riscuotendo numerossissime adesioni nei movimenti sociali, studenteschi e a sinistra (malgrado le titubanze di chi spera di andare in coalizione col Pd alle regionali) e si preannuncia come un’occasione di lotta immediatamente connessa con le vertenze dell’autunno su scala nazionale senza il rischio di passerelle parassitarie come quella tentata senza successo in quelle strade da un noto ex comico populista. Tra le adesioni, quella di Sinistra anticapitalista che chiarisce proprio quella connessione: «Serve un grande piano nazionale di intervento pubblico, con il controllo delle popolazioni interessate, che affronti il degrado ambientale e il dissesto idrogeologico del territorio in così vaste e ampie zone del Paese. E’ questa la “grande opera” che vogliamo.

Le risorse finanziarie vanno prese laddove ci sono, a partire dall’enorme cifra (almeno 85 miliardi di Euro ogni anno) che si spende per pagare gli interessi sul debito pubblico a banche, fondi di investimento e speculazione finanziaria, dall’immensa evasione fiscale, dalla spesa per acquistare gli F-35 o per le “grandi opere”. Il governo Renzi, invece, con il decreto “Sblocca Italia” e con il “Jobs Act”, vuole assicurare piena e incondizionata “libertà d’azione delle imprese”, cancellando vincoli ambientali e diritti e tutele sul lavoro.A ciò si aggiungono inerzie e complicità di tante Amministrazioni locali, come nel caso della Regione Liguria e del Comune di Genova».

«Come nel 2011 assieme a migliaia di volontari abbiamo sopperito all’incuria criminale delle istituzioni e aiutato i cittadini – si legge nella convocazione che riportiamo integralmente – La necessaria solidarietà non ci deve però far dimenticare le precise responsabilità politiche di una situazione intollerabile. Riteniamo che, al netto di inefficienze ed incuria organizzativa la politica che governa Genova e la Liguria sia complice di un disastro annunciato. Comune e Regione sono governate da un comitato d’affari trasversale che trova nel PD la sua mostruosa sintesi politica in combutta con la destra; questo partito è il principale sponsor di grandi opere inutili e devastanti che costano tantissimo mentre, a quanto sostengono, non ci sono soldi per le opere di messa in sicurezza del territorio. Comune e Regione continuano a tagliare e privatizzare tutti i servizi pubblici con la scusa del bilancio lasciando la città nell’incuria. Tagliano i servizi mentre i manager strapagati continuano ad essere intoccabili. Durante l’alluvione in Valpolcevera, in prossimità di un cantiere del Terzo Valico, un treno ad alta velocità è deragliato a causa di una frana staccatasi da un cantiere del TAV. I quartieri popolari sono devastati da un modello di sviluppo cittadino che prevede solo centri commerciali, box interrati ed altre speculazioni utili solo al partito del cemento.
Crediamo che questo sia il risultato di una politica insopportabile e criminale per i cittadini e i lavoratori. Sappiamo che le responsabilità politiche e istituzionali sono complesse e stratificate negli anni, ma le responsabilità del Partito Democratico, del Sindaco Doria e del Presidente Burlando sono sotto gli occhi di tutti. Per questo pensiamo che si debbano dimettere immediatamente. Chiediamo: Stop alle grandi opere inutili e dannose No alla cementificazione, sì alla messa in sicurezza del territorio #nonsiamoangeli #genova #alluvione».

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L’alluvione, intanto, ha messo a nudo tutta la pericolosità del cantiere Tav del Terzo Valico, la grande e inutile (ce ne sono già due di valichi ferroviari tra la Liguria e il Nord Italia) opera per la quale è stato militarizzato un intero territorio così da non disturbare cantieri in cui operano anche ditte coinvolte in affari con le mafie. Cava Montemerla (profondità 10 mt.) dove è previsto il deposito di 2,2 milioni di mt. cubi di smarino (con alta probabilità di presenza consistente di amianto) e sostanze tossiche di risulta degli scavi del Terzo Valico, in un’area esondabile. Il Comitato No Tav – Terzo Valico Tortona avverte che il Grue è esondato leggermente a nord della cava, le rogge hanno portato l’acqua qui. Attualmente la cava è invasa da circa 3 mt. d’acqua (forse più in alcuni punti) fuorusciti da una roggia limitrofa. Se il Grue avesse rotto 100 mt. più a sud, di acqua ce ne sarebbe per oltre 10 mt. In un tempo brevissimo, molti uccelli acquatici hanno già adottato il “laghetto”. «Non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere con un’esondazione in queste zone una volta depositati smarino, amianto e veleni in cava – spiegano i No Tav – Tutto questo a pochi metri da un quartiere popoloso, l’Oasi, da scuole elementari, superiori, zone residenziali e centro commerciale. Il Cociv ha appena dichiarato che non intende rinunciare a quest’area per il deposito dello smarino. Tutto questo mentre 1800 firme di cittadini contrari al deposito di smarino e scavi nelle cave giacciono in un cassetto in Comune. Non vogliamo che più di 6 miliardi di euro, soldi pubblici, vengano sottratti alla manutenzione e alla lotta contro il dissesto idrogeologico e usati per un’alta velocità che serve solo al Consorzio dei costruttori e a chi gestisce il ciclo del cemento! E’ urgente mettere in sicurezza il territorio, utilizzare soldi – peraltro pubblici! – per devastarlo invece è.. criminale!».

Nel video pubblicato dal blog anemmuinbiciazena si può vedere come il “tappo” del Bisagno sia causato dal restringimento di circa il 30/40% della larghezza del torrente avvenuto in epoca fascista, contestualmente alla realizzazione della tombatura a valle ed alla realizzazione del mausoleo   fascista: Piazza della Vittoria, che un tempo non aveva forma rettangolare in quanto permetteva il passaggio di un’ansa del Bisagno. «Ci volevano tre alluvioni – si legge sul blog – perchè finalmente qualcuno a Genova iniziasse a porsi la fatidica domanda: ma perchè dobbiamo tenerci gli errori fatti ormai cent’anni fa in un momento di orgoglio fascista e considerare la città sacrificabile? è proprio una sorta di peccato originale incancellabile? In che erano consistiti questi lavori? Sono irreversibili? cosa ci trattiene?». Sul sito è possibile osservare la ricostruzione fotografica dell’epoca per comprendere le fasi di costruzione dell’imbuto del Bisagno. «Per la verità gli ingegneri di epoca fascista non erano stati così stolti da tombinare tutto il torrente ma avevano lasciato una porzione scoporta cosicchè in caso di alluvione la parte a monte del ponte venisse preservata e il flusso straripante potesse in qualche modo essere convogliato prioritariamente verso mare lunga la strada nuova di copertura. L’attuale Piazza della Vittoria era la Piazza D’armi e piazza Verdi (quella di fronte alla stazione di Brignole, ndr) era già tale ma non aveva la forma attuale, in quanto seguiva l’ansa del Bisagno che allora continuava il suo corso con la stessa larghezza che aveva a monte del ponte ferroviario. «E’ evidente come la larghezza del torrente sia stata sacrificata ai fini della nova mobilità che si stava affermando in quei tempi, tutta legata all’uso della automobile privata». Sul sito si sostiene che sia ora di cancellare «quel peccato originale» «anzichè impegnare considerevoli denari alla realizzazione di una nuova tombatura che da sola non risolve il problema del Bisagno, ma che ha bisogno per avere un qualche senso, di un’altra opera ingegneristica ardita dal costo ingente (lo scolmatore del Bisagno e del Fereggiano)». «Quello che è rimasto della epopea partigiana è tristemente solo il nome di quella superstrada che non lo merita».

[ha collaborato Checchino Antonini]

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