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Violenza sulle donne: una vittima ogni due giorni

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La risposta inadeguata delle istituzioni e la ricchezza dei centri antiviolenza che quelle stesse istituzioni vorrebbero indebolire e la Tv screditare

di Marina Zenobio

violenza donne

Alla vigilia del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza alle donne, l’Eures pubblica il secondo rapporto sul femminicidio in Italia riferito all’anno 2013. L’anno scorso 179 femminicidi, con un aumento del 14% rispetto ai 157 del 2012. Dati allarmanti, ancora di più se leggiamo il rapporto Eurispes dalla fine, dove denuncia la solitudine in cui sono lasciate le donne vittime di violenza a causa della “inefficienza e inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d’aiuto delle donne vittime di violenza all’interno della coppia, visto che nel 2013 ben il 51% delle future vittime di omicidio (17 in valori assoluti) aveva segnalato/denunciato alle forze dell’ordine le violenze subite”.

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In Italia operano numerosi centri antiviolenza, molti dei quali associati a livello nazionale in D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) e, nelle loro dichiarazioni, non dimenticano mai di precisare che mai nessuna donna, che si è rivolta a un centro per intraprendere un percorso di uscita dalla violenza, è stata vittima di femminicidio. La riuscita sta nella modalità dell’accoglienza di una donna che si rivolge a un centro, e nell’accompagnamento che ne segue. Molte donne, infatti, arrivano ai centri dopo aver provato il passaggio in commissariati o caserme dei carabinieri dove, però, al di là della denuncia, nella maggior parte dei casi non trovano altro tipo di sostegno, psicologico o materiale che sia. Anzi, ancora oggi, secondo quanto denunciato da molte, la donna vittima di violenza domestica viene persuasa ed evitare la denuncia in nome della famiglia. Spesso non viene creduta, o l’agente di turno pensa che stia esagerando.

Personalmente ho seguito almeno due casi in cui le donne sono riuscite a denunciare il partner violento solo quando accompagnate da una operatrice dei centri per dopo aiutarle, là dove necessario, alla ricerca di un “posto sicuro” per continuare il percorso di uscita dalla violenza, di cui la denunciata è solo una parte.

Questo a dimostrazione di quanto la violenza di genere sia frutto di una cultura, di “un manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra donne e uomini” come definita già nel 1995 nella IV Conferenza mondiale dell’Onu. Il concetto di femminicidio comprende non solo l’uccisione di una donna in quanto donna, ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitato nel confronti di una donna in quanto donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L’uccisione della donna è quindi solo una delle sue estreme conseguenze, l’espressione più drammatica della diseguaglianza esistente nella nostra società.

I centri antiviolenza partono da questa consapevolezza nel loro impegno a sostegno della donna che si sente pronta per affrontare un percorso di uscita dalla violenza, una violenza perpetrata nella maggior parte dei casi all’interno delle mura domestiche, agita da un potere maschile che l’ha soggiogata per anni.

L’associazione nazionale D.i.Re ha più volte marcato le differenze dell’approccio istituzionale alla violenza di genere che guarda al fenomeno soprattutto in forma securitaria e di emergenza, quando invece “sarebbe necessaria una metodologia progettuale ed integrata tra tutti i servizi e le agenzie, che permetta alle donne vittime di violenza la massima libertà di scelta sul percorso da intraprendere e consideri prioritaria la loro protezione e quella dei minori coinvolti, non disgiunta dalla costruzione del loro nuovo progetto di vita”.

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In tale senso la Rete dei centri l’estate scorsa ha anche protestato contro i criteri di distribuzione dei fondi determinati dalla Legge cosiddetta “antifemminicidio”. Una distribuzione che il governo non ha affatto reso chiara e che penalizza i centri storici che da oltre vent’anni in Italia hanno avuto il merito di fare emergere il fenomeno della violenza maschile contro le donne. Per DiRe si tratta di una “generica ripartizione che rischia di incrementare il pericolo di risposte inadeguate per le donne che chiedono aiuto, tralasciando colpevolmente le raccomandazioni europee della Convenzione di Istanbul, dove i governi vengono sollecitati a scegliere le azioni dei centri antiviolenza indipendenti e gestiti da donne”.

Un ulteriore attacco ai centri antiviolenza si è verificato qualche giorno, nel corso della trasmissione su Rai Uno “La Vita in Diretta” del 17 novembre, a cui l’associazione ha risposto con una lettera aperta di cui pubblichiamo integralmente il contenuto.

violenza donne D.i.Re banner

Lettera aperta: D.i.Re chiede a La Vita in Diretta e a Rai Uno una informazione corretta sul lavoro dei centri antiviolenza

20 novembre 2014

Giancarlo Leone, Direttore Rai Uno, Viale Mazzini, 14 – 00195 Roma
Giuliana Ricci, Curatrice del Programma La Vita in Diretta
Titta Santoro, Produttrice Esecutiva
E alla conduttrice e al conduttore Cristina Parodi e Marco Liorni

Nella trasmissione “La Vita in Diretta” sulla rete Rai Uno, il 17 novembre scorso è stato realizzato un servizio sul femmicidio e su non ben specificati “centri di accoglienza” per le donne vittime di violenza presentati come luoghi “burocratici” dove le vittime non possono trovare risposte quando chiedono aiuto.

Nell’inchiesta non è stato chiaro di quali luoghi si parlasse e la parzialità dell’informazione rischia di gettare discredito sui centri antiviolenza che in Italia, da oltre vent’anni, offrono risposte concrete alle donne vittime di violenza. Non è stata data neanche informazione sul numero di pubblica utilità 1522 attivo 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno.

Ci preoccupa che il servizio sia stato realizzato senza approfondire il ruolo, le metodologie di intervento e la realtà dei centri antiviolenza italiani, soprattutto perché molte donne, nel seguire la trasmissione, possono essersi sentite ancora più scoraggiate nel denunciare le violenze e nel rompere il silenzio, che vivono nel loro quotidiano. L’associazione nazionale D.i.Re Donne in Rete, rappresenta 70 centri antiviolenza che nel nostro Paese accolgono ogni anno migliaia di donne con o senza figli e le sostengono nel difficile percorso di allontanamento da relazioni violente.

Pertanto chiediamo che ci sia una più corretta informazione da parte del servizio pubblico e proponiamo la nostra disponibilità alla redazione de “La Vita in Diretta” per una presenza di D.i.Re al fine di fornire agli spettatori e alle spettatrici informazioni esaurienti sugli interventi e le azioni dei centri antiviolenza.

Cordiali saluti,
Titti Carrano
Pres. D.i.Re Donne in Rete

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