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Regionali venete: fucili, bustarelle e trivelle nell’urna

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Il Veneto verso le Regionali. Sparare ai ladri sembra trendy così come devastare il territorio e lasciarsi corrompere. Sinistra divisa. Sel corre col Pd renzianissimo

da Treviso, Enrico Baldin

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Per capire il Veneto può essere utile una delle ultime vicende che hanno riempito le colonne dei quotidiani locali e in seguito anche di quelli nazionali. Nel vicentino una banda di malviventi tenta di rapinare una gioielleria, senza riuscirvi perché costretti alla fuga da un benzinaio che poco distante imbraccia un fucile dando vita coi banditi ad un vero e proprio conflitto a fuoco da far west. Risultato: uno dei rapinatori – un 41enne residente in un campo nomadi – rimane ucciso nella sparatoria, gli altri scappano a mani vuote, il benzinaio col fucile a portata di mano viene trattato da eroe e saluta una manifestazione in suo sostegno di 3000 cittadini.

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Di seguito in queste settimane si è visto e letto di tutto: dai cittadini di un piccolo centro nel trevigiano che allertati da grida imbracciano ognuno il proprio fucile e sparano ai ladri dei loro vicini di casa, al sindaco del vicentino che dichiarando di dormire con un’arma sotto il cuscino sottolinea «I ladri vanno uccisi»; dalle bottiglie incendiarie corredate da minacce razziste lanciate nella notte in un campo nomadi, ai quotidiani episodi di intolleranza che si manifestano in diversi modi; la settimana scorsa pure un assessore provinciale trevigiano ha riferito di aver messo in fuga dei malviventi col suo fucile.

La vicenda del benzinaio ha acceso i veneti ed è diventata ennesima occasione per Zaia per chiedere nuovamente che vi sia l’esercito nelle strade a presidiare la sicurezza dei cittadini. Zaia, che con la Lega si è sbracciato per dare sostegno al benzinaio e per ribadire che la sicurezza è il problema principale, in Veneto ha gioco facile. Dice quello che i veneti si aspettano e interpreta le loro paure che, rinforzate da una stampa locale ossessionata da fatti di cronaca, paiono essere legate più alla microcriminalità che al loro posto di lavoro (nonostante in Veneto se ne siano persi quasi 100mila dall’inizio della crisi). Zaia cura la comunicazione, evita i confronti scomodi, moltiplica i tagli di nastro e parla alla pancia della gente. Non a caso i sondaggi lo danno come il presidente di Regione più apprezzato assieme al toscano Rossi. E probabilmente alle elezioni di maggio batterà la sfidante principale, Alessandra Moretti, che correrà per il Pd. Fino a qualche mese fa ribattezzata “miss preferenze” – viste le oltre 200mila preferenze alle elezioni europee – oggi sulla bocca di tutti lei è “lady like” a seguito di una controversa intervista che concesse al Corriere in cui discorreva di estetiste e donne piacenti.

Una sfida che apparentemente pare non avere storia, conoscendo la tendenza mai invertita di quello che un tempo veniva chiamato “Veneto bianco” e che oggi è il Veneto leghista: l’ultimo sondaggio dava Zaia davanti alla Moretti di dodici punti. In tutto questo però il PD non vuole attribuirsi il ruolo di perdente sicuro, ed in effetti negli ultimi anni ha conquistato la guida di città che parevano inespugnabili, come la Treviso del ventennio leghista in cui l’allora sindaco – poi condannato per istigazione all’odio razziale – invocava la “pulizia etnica dei culattoni” e toglieva le panchine perché non vi si sedessero gli immigrati.

Oltretutto i dati delle elezioni Europee hanno rinfrancato il Pd Veneto che nella sua terra ha preso più del doppio dei voti rispetto alla Lega. Il clima di fiducia ha indotto il Pd a giocarsi il tutto per tutto. Così ha avviato in anticipo la campagna elettorale e ha allargato lo schieramento, assicurandosi l’appoggio di SEL e Verdi, ma non quello del PRC che dopo mesi di discussioni e dopo una consultazione interna ha deciso di lavorare per una lista alternativa al centrosinistra.

A vantaggio della Moretti e degli altri candidati (oltre al M5S ci saranno un paio di candidati della frammentata galassia indipendentista ed un ancora indefinito candidato della sinistra alternativa) è arrivato anche lo strappo di Flavio Tosi che probabilmente sarà sostenuto dall’NCD e da alcune liste civiche e che indubbiamente creerà più di qualche problema alla Lega.

La lite interna alla Lega però ha fatto passare in secondo piano i diversi scheletri nell’armadio della giunta Zaia, che però non paiono scandalizzare più di tanto i veneti. Il primo imbarazzo di Zaia è il suo predecessore Galan al centro delle indagini della magistratura su un sistema corruttivo che va ben oltre il Mose e ben oltre le semplici mazzette, e che ha colpito anche la giunta Zaia con l’arresto dell’assessore alle infrastrutture Chisso. In Veneto quando si parla di appalti è di casa la magistratura e spesso pure l’antimafia. Appalti sulla viabilità, come la superstrada Pedemontana (di cui è stato appena arrestato il direttore dei lavori Perotti), la Orte-Mestre, la Treviso mare, o la Valdastico sotto il cui manto sono stati versati rifiuti tossici; appalti di ospedali, come quello di Mestre o quello di Santorso sui quali la corte dei conti indaga, e molte altre infrastrutture ancora. Oltretutto recentemente si è appresa la notizia di una delibera regionale che promuove all’ufficio anticorruzione un dipendente regionale attualmente indagato per turbativa d’asta, e all’ufficio per i rapporti istituzionali un altro dipendente sotto inchiesta per reati quali abuso d’ufficio, falso e malversazione, associazione a delinquere finalizzata al peculato. Non le migliori carte da visita per Zaia.

La Moretti da parte sua accusa Zaia di essere in continuità col sistema Galan. Un sistema che però ha visto coinvolti anche esponenti del Pd, pur rinnegati dalla Moretti stessa che promette “liste pulite”. Tra gli arrestati di giugno infatti non finirono solo esponenti di Forza Italia, ma anche il sindaco veneziano Orsoni e l’ex consigliere regionale Marchese, che hanno ammesso i finanziamenti irregolari e hanno patteggiato. E nello stesso filone a dicembre sono rientrati anche i deputati veneziani Zoggia e Mognato le cui posizioni sono state archiviate, in quanto – secondo i pm – non è provato siano stati i due a far transitare il denaro. La campagna elettorale veneziana del Pd per le comunali 2010 quindi sarebbe stata pagata da Giovanni Mazzacurati – presidente del consorzio unico concessionario per i lavori del Mose – in diversi pagamenti irregolari che ammonterebbero a poco meno di mezzo milione di euro. E infine, giusto per non farsi mancar nulla, si è scoperto che le campagne elettorali europee dello scorso anno di Alessandra Moretti e della forzista Lia Sartori (braccio destro di Galan anch’essa rinviata a giudizio), avevano finanziatori comuni, alcuni dei quali sono nomi “con le mani in pasta” che si ripetono spesso nelle carte dei pubblici ministeri veneziani. Nulla che costituisca reato, ma non certo una questione di cui far vanto.

E poi c’è la questione della politica che di fronte alle indagini viene messa a volte in secondo piano e su cui la Moretti deve fare i conti con imbarazzi e ambivalenze. Se da una parte ha impostato la sua campagna criticando Zaia per la “cementificazione selvaggia” del territorio veneto, dall’altra difende Renzi per tutte le grandi opere programmate o difese dal governo. Se da un lato fa notare la perdita di posti di lavoro nel Veneto leghista afflitto dalla crisi del manifatturiero, dall’altro non può certo rivendicare risultati significativi da parte dei due ultimi ministri del lavoro democratici nelle tante crisi aziendali che hanno coinvolto il nordest, a partire dal petrolchimico di Marghera. Se a fianco dei segretari regionali di Verdi e SEL ha promesso che in Veneto non vi saranno le trivellazioni, dall’altro si trova a difendere il decreto “sblocca Italia” che le promuove.

Quello che non pare difficile prevedere è che in un contesto in cui da mesi le inchieste della magistratura riempiono le pagine dei giornali e la crisi fa aumentare il numero di disoccupati, ad avanzare saranno ancora una volta sfiducia e astensionismo.

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