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Anche Stiglitz per il no al referendum greco

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Il Nobel per l'economia Joseph Stiglitz con il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis

In un articolo su The Guardian il premio Nobel Joseph Stiglitz spiega perché, se fosse greco, voterebbe no al referendum in Grecia

di Marina Zenobio

Il Nobel per l'economia Joseph Stiglitz con il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis
Il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz con il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis

Dopo Paul Krugman, un altro premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, se fosse greco voterebbe no al referendum con cui domenica prossima la Grecia dovrà decidere se accettare o no le condizioni imposte dall’Unione europea per restare nell’Eurozona. “Un voto per il sì significherà per la Grecia una depressione quasi infinita. Un voto per il no aprirebbe almeno la possibilità la Grecia, con le sue forte tradizioni democratiche, possa riprendere le redini del proprio destino”, scrive Stigliz in un articolo pubblicato su The Guardian aggiungendo che il programma imposto al paese dalla troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) cinque anni fa “ha provocato la riduzione del 25% del Pil greco. Non ricordo nessuna depressione così deliberata e con conseguenze così catastrofiche: la percentuale di disoccupazione giovanile in Grecia ha superato il 60%”.

“E’ sorprendente che la troika continui a negare le responsabilità delle sue azioni o ammettere le sue cattive previsioni e modelli. Ma ciò che è ancora più sorprendente è che i leader d’Europa non hanno imparato nulla. La troika continua ad esigere dalla Grecia un surplus primario del 3,5% entro il 2018” chiarisce Stiglitz. Per il professore docente presso la Columbia University (Usa), i leader europei “stanno finalmente rivelando la vera natura della disputa sul debito, e la risposta non è piacevole: è sul potere e la democrazia più che su denaro e economia”.

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Joseph Stiglitz ricorda poi uno dei miti che riguarda la crisi greca: “Praticamente nulla dell’enorme quantità di denaro prestato alla Grecia è arrivato veramente a destinazione. Quel denaro è servito per pagare i creditori del settore privato, comprese le banche tedesche e francesi. In Grecia è arrivata una miseria, ed ha pagato un prezzo molto alto per preservare i sistemi bancari di questi paesi”.

E ancora una volta non si tratta di denaro, spiega Stiglitz, “si tratta di utilizzare le ‘scadenze’ per costringere la Grecia ad accettare l’inaccettabile. Non solo le misure di austerità ma anche le politiche regressive e punitive. E mi domando perché l’Europa fa questo? A gennaio i cittadini greci hanno votato per un governo che si impegnava a porre fine all’austerità. Se il governo stesse semplicemente rispettando il mandato elettorale già avrebbe rifiutato la proposta”.

Stiglitz continua scrivendo di voler dare ai greci l’opportunità di riflettere su questo tema. “Questa preoccupazione per la legittimità popolare è incompatibile con la politica dell’Eurozona, che non è stato mai un progetto molto democratico. La maggior parte dei governi non hanno chiesto l’approvazione popolare per consegnare la propria sovranità monetaria alla Bce. Quando in Svezia lo hanno fatto, gli svedesi hanno detto no. Avevano capito che la disoccupazione sarebbe cresciuta se la politica monetaria del paese fosse stata stabilita sulla base di una banca centrale focalizzata sull’inflazione. L’economia avrebbe sofferto perché il modello economico dell’Eurozona si basa su rapporti di forza con i lavoratori svantaggiati “.

Stiglitz sostiene che “molti leader europei vogliono vedere la fine del governo di sinistra del primo ministro Alexis Tsipras. Dopotutto è scomodo e molto avere in Grecia un governo che si oppone a quelle politiche che tanto hanno fatto per aumentare la disuguaglianza in molti paesi avanzati, e che è impegnato a limitare lo sfrenato potere della ricchezza. Molti leader europei credono di riuscire così a far cadere il governo greco, attraverso le intimidazioni e l’accettazione di un accordo che contravverrebbe il suo mandato elettorale”.

Il professore considera infine le conseguenze del “sì” e del “no” al referendum. “Entrambe le opzioni comportano rischi enormi. Il sì significherebbe una depressione quasi infinita. Forse un paese impoverito potrebbe alla fine ottenere la remissione del debito; forse con una economia bruciata la Grecia potrebbe alla fine ottenere l’aiuto della Banca mondiale. Ma tutto questo accadrebbe nei prossimi 10 o 20 anni. Il no almeno aprirebbe la possibilità che la Grecia, con le sue forti tradizioni democratiche, riprenda le sorti del suo destino. I greci avranno l’opportunità di dare forma ad un futuro che, anche se non sarà così prospero come in passato, è molto più promettente che la smisurata tortura del presente”.

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