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Come produrre dal basso un libro contro la tortura

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Popoff sostiene la raccolta fondi dal basso per il libro “Per uno Stato che non uccide. Diritto, violenza, resistenze”

di Francesco Ruggeri

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E’ partito il conto alla rovescia per la raccolta di fondi dal basso sulla piattaforma produzionedalbasso.com per la pubblicazione del libro “Per uno Stato che non uccide. Diritto, violenza, resistenze”che uscirà in autunno per le edizioni Mimesis.

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Il progetto si è sviluppato a seguito del Convegno “Senza torture. Per uno Stato che non uccide” organizzato lo scorso Giugno presso l’Università di Padova con la collaborazione del Dipartimento FISPPA, dell’Associazione Antigone, di Ristretti Orizzonti e dell’Unione delle Camere Penali Italiane.

Riportiamo qui sotto la presentazione del progetto e la lista degli autori, pubblicate sul sito della piattaforma.

https://www.produzionidalbasso.com/project/per-uno-stato-che-non-tortura-diritto-violenza-resistenze/

Per uno Stato che non tortura. Diritto, violenza, resistenze

La recente sentenza di condanna ricevuta dall’Italia dalla Corte di Strasburgo sui fatti della scuola Diaz durante il G8 del 2001 a Genova, ha riportato agli onori della cronaca uno dei tanti nodi irrisolti dello stato italiano: il tema della tortura e del mancato inserimento nel codice penale italiano di un reato ad hoc. La Corte europea, oltre a comminare una pena pecuniaria, ha richiamato l’Italia a “stabilire un quadro giuridico adeguato, anche attraverso disposizioni penali efficaci”, per “punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti”. Lo stato italiano si è rivelato doppiamente inadempiente: da un lato nei confronti dei propri cittadini, che non trovano giustizia di fronte ad abusi e violenze istituzionali, dall’altro ni confronti della comunità internazionale. L’Italia infatti, nel 1984 ha ratificato la Convenzione Europea Contro la Tortura e tutt’ora non ha ancora provveduto a promulgare una legge contro la tortura e gli abusi istituzionali, come previsto dalla convenzione stessa.

Purtroppo la tortura e gli abusi di polizia rappresentano un problema di lungo corso. Infatti oltre al caso delle torture di Genova, che sebbene siano state denunciate da diverse associazioni e studi legali rimangono, rimangono quasi del tutto inascoltate, le cronache degli ultimi 30 anni sono costellate di episodi di brutalità e morti all’interno di caserme, celle, istituzioni psichiatriche e strade. Fin troppo spesso leggiamo di morti dovuti ad azioni di “contenimento”, ad uso della forza “legittimo”, di arresti “complicati” o di sparatorie “necessarie”. Ormai scolpiti nella storia sono i casi di Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e Dino Budroni, che, insieme a troppi altri, hanno perso la vita dopo aver incontrato rappresentati delle forze dell’ordine sulla loro strada. Casi tanto strazianti quanto emblematici dell’accettazione diffusa che vi è intorno a episodi indegni di uno stato che si vuole definire civile.

Il problema della tortura e degli abusi di polizia dunque è un problema estremamente attuale, grave e controverso, che chiama tutta la società civile e le istituzioni a riflettere e agire velocemente non solo per porre rimedio alla mancanza di una legge ad hoc, ma anche e soprattutto per creare una cultura democratica diffusa, soprattutto all’interno degli organi di polizia, impermeabile alla violenza e all’impunità che finora hanno permesso che tutto ciò accadesse.

Oggi un disegno di legge sulla tortura è in discussione al Senato, ma su quel testo ancora le posizioni di giuristi e politici sono discordanti: secondo alcuni, la norma in discussione disattende i principi fondamentali della Convenzione, non prevedendo ad esempio un reato specifico per le forze dell’ordine e una formazione adeguata in fase di addestramento; mentre per altri l’approvazione di una legge, se pur lacunosa e non pienamente efficace, è una necessità per il nostro paese.

Ma la tortura non è solo affare di polizia. Essa rappresenta la massima espressione dell’uso della violenza arbitraria da parte delle istituzioni e dello Stato, generando dei veri e propri buchi neri nella cittadinanza e dell’umanità che riguardano tutti noi. Una responsabilità diffusa d tutti coloro che pur sapendo troppo spesso si voltano dall’altra parte.

Il dibattito sviluppatosi in questi anni ha permesso la diffusione di una coscienza critica e di una forte consapevolezza sul problema della violenza e degli abusi delle forze dell’ordine, creando il terreno per la nascita di associazioni e movimenti per la democratizzazione delle forze di polizia, la prevenzione degli abusi e per la difesa dei diritti delle vittime. Campagne nazionali come “Chiamiamola tortura!” lanciata da Antigone, “Stop Tortura” lanciata da Amnesty, o la nascita di associazioni come ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa), nata per difendere e sostenere le famiglie delle vittime di abusi, hanno fornito strumenti pratici e politici per far fronte a questo problema, sensibilizzando la cittadinanza e offrendo aiuto e sostegno a persone che hanno visto le loro vite spezzate senza una ragione.

Questo progetto, nato a seguito del convegno “Per uno stato non uccide”, tenutosi a Padova il 6 Giugno 2014 e animato da diversi soggetti attivi in ambito universitario, nelle istituzioni e nel mondo dell’associazionismo, vuole in una prima parte restituire la complessità del dibattito intorno al fenomeno e al reato di tortura, dando spazio a interventi teorici sul diritto nazionale e internazionale sulla tortura.

Nella seconda parte viene data visibilità alle ricerche sul campo in ambiti in cui il nostro sguardo non può arrivare: Opg, Cie, carceri, guardando quindi alla tortura come un fenomeno sfaccettato e complesso, subdolo quanto diffuso e radicato nelle istituzioni della nostra società.

Infine, la sezione “resistenze” dà voce a chi negli ultimi anni si è battuto in prima persona contro gli abusi sia dentro che fuori dalle aule di tribunale: avvocati, attivisti e familiari delle vittime che hanno avuto il coraggio e la forza di lottare perché la tortura non avvenga mai più.

Il libro vede tra le sue autrici e i suoi autori: Antonio Marchesi (presidente Amnesty Italia), Michele Passione (Unione delle Camere Penali Italiane), Giuseppe Mosconi, (Università di Padova) Salvatore Palidda (Università di Genova), Marialuisa Menegatto e Adriano Zamperini (Università di Padova), Luce Bonzano (Associazione Antigone), Giovanna Del Giudice (Comitato Stop Opg), Simone Santorso (Università di Padova), Lorenzo Guadagnucci (giornalista, tra i fondatori del Comitato Verità e Giustizia per Genova), Ilaria Cucchi, Checchino Antonini (giornalista, redattore POPOFF quotidiano), Fabio Anselmo (Avvocato della famiglia Cucchi), Rossana Noris (Associazione Contro gli Abusi in Divisa)

 

 

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Checchino Antonini quasi sociologo, giornalista e scrittore, classe 1962, da vent’anni segue e racconta i movimenti sociali e la “malapolizia”. Ha scritto su Liberazione, Micromega Erre e Megafono quotidiano, InsideArt, Globalist, PostIt Roma, Retisolidali, Left, Avvenimenti, il manifesto. Ha pubblicato, con Alessio Spataro, “Zona del silenzio”, graphic novel sul caso Aldrovandi. Con le edizioni Alegre ha scritto “Scuola Diaz vergogna di Stato” assieme a Dario Rossi e “Baro” Barilli. Il suo primo libro è Zona Gialla, le prospettive dei social forum (Fratelli Frilli, 2002)
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