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Guerra, l’Italia torna in Iraq. Missione privata di 500 soldati

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Renzi annuncia l’invio di militari a protezione del cantiere della diga di Mosul: un appalto da 2 miliardi di dollari nelle mani di un’azienda italiana in una zona nel mirino dell’Isis 

di Giampaolo Martinotti

Luogo della strage di Nassiriya
Luogo della strage di Nassiriya

Partiranno a gennaio i circa 500 militari italiani che andranno ad aggiungersi ai 750 già presenti in territorio iracheno, mentre il ministro della Difesa Roberta Pinotti non ha perso tempo nel tentativo di rassicurare gli animi: “I soldati italiani in Iraq non combatteranno”. L’ultimo attacco jihadista alla diga di Mosul risale a una ventina di giorni fa. In quell’occasione, per respingere l’ennesima aggressione dell’ISIS, persero la vita sei dei peshmerga curdi presenti ormai sul territorio dal 2014, anno in cui, con l’aiuto statunitense, avevano riconquistato la diga strappandola proprio ai miliziani islamisti.

L’imponente infrastruttura, che rappresenta la più grande riserva artificiale di acqua del paese e la quarta in tutto il Medio Oriente, al momento è seriamente danneggiata perché teatro, vista la sua importanza strategica, di cruenti scontri che si susseguono uno dopo l’altro all’interno di una contesa che vede tra i suoi protagonisti il governo centrale di Baghdad, le forze di sicurezza curde di Erbil, gli Stati Uniti, la Turchia e lo Stato Islamico.

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Una situazione e un terreno non certo facili da gestire per un contingente militare inviato in una zona di guerra con il compito principale di “mantenere la sicurezza e il controllo della diga”, permettendo così al Gruppo Trevi di Cesena, leader mondiale nell’ingegneria del sottosuolo già presente in Iraq dal 2008, di avviare i lavori di manutenzione che dovrebbero scongiurarne definitivamente l’ipotetico crollo. Portare a termine la ristrutturazione, sicuramente, farebbe tirare un sospiro di sollievo sia agli abitanti delle provincie situate lungo il corso del Tigri, sia agli americani che negli anni hanno invenstito ingenti risorse nel progetto.

In questo contesto l’esecutivo italiano ha deciso di effettuare un pericoloso salto di qualità per quanto riguarda le dinamiche che già ci vedono coinvolti nella polveriera irachena: i 750 soldati italiani, presenti sul territorio dal dicembre dell’anno scorso, continueranno indisturbati la loro attività di addestramento dei peshmerga nel Kurdistan iracheno, mentre gli ultimi arrivati verranno utilizzati in una delle aree più pericolose del paese, dunque in prima linea, dove si troveranno inevitabilmente sotto il fuoco dei costanti attacchi jihadisti, anche se questa strategia, a detta degli esperti, non sarà utile per contrastare l’ISIS nella regione.

È inutile negare come il governo Renzi sia prodigo nel difendere gli interessi (privati) italiani all’estero, una volta finanziando con soldi pubblici “progetti di sviluppo” in Etiopia, un’altra violando la Costituzione e mettendo a repentaglio la vita dei soldati italiani in Iraq, poco importa. Dalle più recenti disavventure indiane dei due “marò” imbarcati sulla petroliera italiana Enrica Lexie alle morti di Nassiriya, capoluogo della provincia sciita di Dhi Qar nel quale il 12 novembre 2003 persero la vita 19 italiani e 9 iracheni, le nostre missioni di “protezione” in giro per il mondo si sono già rivelate fatali in altre occasioni. Ma presto potremmo essere nuovamente testimoni di immagini analoghe, venendo in seguito sottoposti alla solita farsa dal carrozzone del cordoglio ipocrita.

In ogni caso, il ricorso all’impiego di truppe militari è una prerogativa del parlamento, e non del governo, che può autorizzare un tale intervento esclusivamente in caso di aggressione del nostro territorio e in una situazione di assoluta emergenza. Le prime righe dell’articolo 11 dei Principi Fondamentali della Costituzione non lasciano dubbi: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; (…)”. Ma tra interessi privati, telefonate da Washington, miliardi di euro per l’acquisto di F-35 e armamenti vari, l’arrivo delle nuove bombe nucleari statunitensi B61-12 e l’invio di missili verso l’Arabia Saudita, il governo italiano sponsorizza la guerra e avvilisce di fatto qualsiasi tipo di discussione e di impegno nella direzione della pace.

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