Vinicio Capossela, la musica della vita

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Vinicio Capossela sciamano nel concerto d’avvio al tour Polvere. E le sue Canzoni della cupa rischiarano il cupo presente

di Maurizio Zuccari

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È una sarabanda di suoni, voci e rumori l’avvio del tour Polvere. Una crozza di vacca appesa a una pertica, altri pali con le luminarie sbreccate della festa, spighe di grano incassate sul palco e sacchi sulle reti, a fare barriera. Muro a rappresentare gli stracci appesi sull’aja, come pure i limiti d’un terreno che non vuole intrusi, di qua a sorbire benessere o dilà a farsi mordere i polpacci dai cani neri della fame. Eppoi arriva lui, la bestia nel grano come recita una delle canzoni d’apertura delle Canzoni della cupa e di questo tour che ha sollevato la Polvere del sud – dei sud del mondo – nel cielo di Roma. A volteggiare coi gabbiani sull’Auditorium, urlanti e commossi da tanta meraviglia, pur’essi.

Lui è Vinicio Capossela, spaventaesseri che si dimena e infervora la platea che il servizio d’ordine stenta a rattenere, che invoca la grazia per sé e la sua folla d’adepti. È sciamano e stregone, non è cantore Vinicio. Non è musica, non sono parole urlate o sussurrate, le sue. Piuttosto è filosofia della vita che si fa canto, canto alla vita. Onde sonore che giungono da sotterra. Dalle vene profonde d’un mondo che più quasi non è, desertificato dallo sviluppo mai approdato al progresso. Dai vichi deserti di paesi lasciati indietro dalla modernità, giunta su un treno per portarsi via quanti più poteva, farli tornare diversi, estranei a se stessi. Contrade oscure, coni d’ombra popolati dalle creature della cupa: il pumminale e le masciare, il cane mannaro e tant’altre partorite dalle notti insonni della fantasia popolare. Oppure sono note che piovono dall’assolato furore di rene spaccate e cieli tersi. Partorite dalla luce, dall’aria riarsa che secca la terra e inaridisce le forze, prepara alla fossa e impone la fuga. Due facce. Un doppio cd come la vita, fatto di lati oscuri e macchie di sole, gioie e dolori, morte e ricreo. Resurrezioni che sfidano ogni malìa, come nello Sposalizio di Maloservizio. Preceduto da un libro che è anche un film, Il paese dei Coppoloni (Feltrinelli).

Vinicio ha superato se stesso, per questo doppio lavoro avviato in Sardegna nell’estate del 2003 e dilatato fino ai primi mesi del 2015. Al fuoco della fornacella, nel paese dell’eco e dell’origine – come rammenta lui stesso nella prefazione – dove tutto si sfalda e tutto ritorna. Dove ballate paesane danno la stura a emozioni eterne, pregne di sonorità antiche eppure all’avanguardia come poche altre, sono il veicolo d’una narrazione che da strapaesana si fa universale. Suoni e parole, storie e personaggi che il cantautore (Hannover, 1965) ha scavato con fare da etnologo, alla stregua di un Basile o un De Martino, di un Levi (Carlo) o un De Simone, nel suo peregrinare nelle terre del sud da cui il padre se n’è partito con quel treno e una scanata di pane. Fino ai confini del nuovo mondo, tra chitarre mariachi e trombe mescal. Altri muri, altri sud. La musica di Vinicio rompe ogni barriera, ed è una festa per gli occhi oltre che per le orecchie. Per i cuori, che possono finalmente pascersi di meraviglia, e farsi piccini, tornare a coccolarsi canto al fuoco delle sere d’inverno ad affabularsi di favole più reali di tanta realtà immaginifica e farlocca. Ecco perché questa musica, la musica di Vinicio è grande. Originale quanto può esserlo uno che cavalca il tempo del mondo scavando l’antico. Perché salva il lato del vero dalla polvere del tempo e dall’ombra della memoria, trasforma l’ancestrale paura in conforto. E rischiara la cupa luce del presente. L’ombra. La polvere. La musica della vita.

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Dopo l’esordio nazional-romano, anticipato nella cava Ricci in quel di Vignola nella notte di San Giovanni – notte d’apparizione e presagi – Capossela è in tour a Milano, poi in giro per la vigna. Info e date nella locandina sopra e sul sito. Vedi qui il trailer ufficiale delle Canzoni della cupa. En passant, Vinic-io è il cofanetto a tiratura limitata che Skira dedica a Capossela, in occasione del tour. Un libro fotografico e due flip-book che celebrano le sue nozze d’argento con la musica, e la collaborazione tra l’artista e il fotografo Valerio Spada, nata nel 1998, l’anno del Ballo di San Vito” e della prima stesura del Paese dei coppoloni, che riprende le atmosfere musicali della Cupa. Dai concerti di Canzoni a manovella Ovunque proteggi, da Sante Nicola allo Sponz festival di Calitri, fino alle ultime Canzoni della Cupa, Spada è stato un testimone dell’ultimo ventennio caposseliano, e il libro un film per immagini lungo vent’anni. Perché, come recita il sottotitolo dell’opera, tutto è bene ciò che non finisce mai.

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Maurizio Zuccari
Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.

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