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Ha ragione il fascio-leghista a cancellare Pasolini dallo stradario

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In provincia di Brescia un sindaco fascio-leghista cancella via Pasolini: nessuno come PPP ha capito l’abbruttimento, il decadimento, la falsa riscoperta delle radici. Per questo i leghisti lo odiano ancora

da Brescia, Eugenia Foddai

foto via Pasolini

A Rovato, in provincia di Brescia, la giunta del leghista Belotti cancella via Pasolini. La lega si inventa i problemi e le soluzioni. Nella frazione Duomo – il nome è tutto un programma – via Pier Paolo Pasolini è lunga un trecento metri a dir tanto, da un lato tre villette pretenziose, dall’altro un parcheggio a lisca di pesce, più lontano dei capannoni e tanta campagna intersecata da strade, autostrade e ferrovie: tutto qui. Via Pasolini verrà accorpata alla strada che prosegue dopo la curva, intitolata ad un parroco del luogo molto apprezzato: don Agostino Gilberti. Questo prete, morto nel 2003, si premurò, per la frazione che lo ha omaggiato intitolandogli una via, di ristrutturare completamente l’oratorio, dotandolo di un piano rialzato, di un bar e di alcune sale per le riunioni. La frazione è ricca, non mancano parchi gioco, chiesa, asilo, oratorio. Che ci sta a fare via Pier Paolo Pasolini?

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La denuncia di questa ennesima provocazione fascio-leghista parte dal capogruppo del Pd in consiglio comunale e responsabileprovinciale dell’ambiente del partito, Angelo Bergomi che via facebook denuncia la decisione accusando l’amministrazione di voler cancellare la memoria del celebre intellettuale. Al telefono Bergomi mi spiega che a Rovato la guerra toponomastica è di lunga data. Il centrosinistra che ha governato il paese franciacortino dal 2002 al 2012, dopo una vivace riflessione interna, decise di non cancellare via Padania, che ai tempi aveva scandalizzato molti visto il secessionismo rivendicato allora dalla Lega, lo fece per non oberare una ventina di ditte del costo del cambio indirizzo. Ora che la Lega è tornata al potere, con via Pasolini, decisa dalla giunta di centrosinistra, non ricambia la cortesia … Ma cosa ci si può aspettare da personaggi che in passato si son fatti richiamare dal Prefetto per aver sbandierato l’idea di intitolare una via del paese a Benito Mussolini?

Celebre non solo in Italia, ma nel mondo, Pasolini lo è ancor più di quanto si immagini. Per la fine del secolo e del millennio quaranta centri universitari di italianistica sparsi sul globo hanno definito una graduatoria letteraria – sempre discutibile – per quanto riguarda il secondo Novecento, al vertice dell’interesse sono risultati ex aequo Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino. Il loro linguaggio è stato considerato capace di superare i patri confini. Il colmo per quanto riguarda Pasolini, eminente dialettologo, visto il suo precoce interesse per la lingua friulana e altri dialetti, a partire dal linguaggio gergale delle borgate romane per arrivare al napoletano. Se dovessimo misurare la grandezza di questo straordinario personaggio della cultura italiana non basterebbe intitolargli un’autostrada – anche se amava le automobili non ne sarebbe certo contento – mi chiedo cosa ce ne facciamo invece di una viuzza striminzita in una frazioncina legata alla chiesa da un cordone ombelicale mai reciso di un comune fascio-leghista?

Ma torniamo alla lingua, ai dialetti. Anche i leghisti hanno a cuore il dialetto, non per niente c’è un progetto di legge in Consiglio regionale del 13 gennaio 2016 per la “tutela della lingua lombarda”, che rientra “tra quelle a rischio d’estinzione”, firmato da tutti i consiglieri del partito del governatore Roberto Maroni, che come scopo ha la “promozione, tutela e conservazione della lingua lombarda e di tutte le sue varianti”. Sulla questione delle varianti, parola burocratica per eccellenza, ci sarebbe da discutere visto che ogni comune ha una sua variante, ma loro pensano di chiarire il concetto così: “Si definisce Lombardo Classico, o Lingua Lombarda, quella lingua plurale costituita da tutte le specifiche varianti utilizzate nel territorio della Lombardia, e nei territori in cui esse sono state mantenute, e appartenenti al continuum Gallo-Romanzo-Cisalpino”. Il bilinguismo leghista vorrebbe l’introduzione del dialetto nelle istituzioni, compresi i siti istituzionali e tra i cittadini, non bastandogli i cartelli stradali e la toponomastica. Promettono al riguardo anche un referendum. Il tutto finirà con un bel finanziamento ad associazioni vicine al Carroccio che promuoveranno lo studio e la divulgazione delle varianti della lingua plurale detta Lombardo Classico.

I leghisti sono un sottoprodotto della sottocultura piccolo borghese espressione del modo di produzione locale fatto di fabbrichette, lavoratori dell’edilizia di esportazione, padroncini strangolati dai padroni, sfruttamento intensivo della manodopera immigrata, rendite da immobili fatiscenti, desiderio di potenza e buche nelle strade. La loro battaglia è una pagliacciata perché c’è in loro un’incapacità classista e storica ad essere autentici, lo diceva Pasolini della borghesia: qualunque cosa un borghese faccia, sbaglia. Pasolini aveva scritto di come stesse cambiando già fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, in modo rivoluzionario, anche la borghesia, per via del consumismo, dell’edonismo, dello sviluppo senza progresso, identificando tutto l’uomo al piccolo borghese omologato, compresa la classe operaia, e visto che non c’è borghese incolto che non sia volgare, la volgarità è straripata. E’ vero che ora siamo passati all’economia del debito e alla stagnazione con regresso, ma questa è un’altra storia. Pasolini vedeva la nostra società sepolta dal degrado e dalla corruzione, ne era frastornato, disgustato e si rifugiava nei versi salvifici della poesia, anche quella dialettale, perché la poesia è inconsumabile, ma sentiva l’orrore della perdita di tutto ciò che non è omologato alla società della merce e dello spettacolo, e nel 1974 scriveva “la chitarra del dialetto perde una corda al giorno: il dialetto è ancora pieno di denari che però non si possono più spendere, di gioielli che non si possono più regalare. Chi lo parla è come un uccello che canta in gabbia” …

Scriveva nel famoso articolo delle lucciole che gli italiani sono diventati in poco tempo un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale, basta soltanto uscire per strada per capirlo, e a Fermo con l’esecuzione razzista di Emmanuel, più di quarant’anni dopo, ne abbiamo l’ennesima conferma, è vero anche che aggiungeva che per capire i cambiamenti della gente bisogna amarla sia al di fuori degli schemi del potere, sia al di fuori degli schemi populistici e umanitari. E lui purtroppo l’amava …

L’abissale differenza fra il dotto Pasolini e il leghista Pinco Pallo che firma un progetto di legge per la difesa del dialetto è data dalla consapevolezza del nostro più importante intellettuale del secondo Novecento che i cosiddetti valori nel momento in cui vengono assunti a valori nazionali – e la Lega all’articolo due del suo Statuto si dichiara una confederazione composta da “nazioni” – ebbene questi valori non possono che perdere ogni realtà, e divenire un atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere, scriveva allora, fascista e democristiano, ora fascio-leghista.

Pasolini vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato, ma noi viviamo in una provincia fra le più inquinate d’Europa. E nulla è più incontaminato. Pasolini scriveva: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”, ma c’è stato il genocidio dei contadini. I veri padroni di questo sistema neoliberista e finazista si sono ormai deterritorializzati lasciando a presidiare il territorio i padroncini a scannarsi fra di loro e a sfruttare i più deboli.

I fascio-leghisti hanno ragione a cancellare via Pasolini, nessuno come lui ha capito lo sgretolamento della cultura, dei costumi, della moralità italiana, l’abbruttimento, il decadimento, lo strangolamento della semplicità e della spontaneità, la fine dell’intelligenza di forme diverse d’espressione, la morte dell’arcaicità pluralista spianata dal livellamento industriale: le sue denunce non lasciano scampo all’illusione, al pietoso velo della falsa riscoperta delle radici. Le radici come l’identità non si decretano per legge: meglio che la via sia intitolata al parroco della frazione, in fin dei conti Sciascia aveva scritto che Pasolini era un uomo religioso, in mezzo a milioni di cattolici nominali, Pasolini difendeva il sacro contro la chiesa reazionaria che aveva fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese, cancellando pragmaticamente i valori cristiani preferendogli gli interessi cattolici.

E poi Pasolini meglio sarebbe ricordarlo dando il suo nome ad una stradina di campagna, come quelle d’un tempo, con le file di gelsi, le piccole chiese, i borghi coi cortili chiusi e le lunghe facciate di pietra: stradine che profumavano di erba e primule, dove d’estate “dietro ai fossi” si vedevano le lucciole. Lui avrebbe dato l’intera Montedison per una lucciola!

 

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