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Ma perché il senatore Esposito ce l’ha su con Renato Curcio?

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Ennesima polemica del senatore YesTav contro Askatasuna e Curcio. Ma forse a Esposito la Costituzione va un po’ stretta. O non l’ha letta

di Enrico Baldin

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Una persona che ha terminato di scontare una pena può considerarsi libera e nuovamente in possesso dei suoi diritti di cittadinanza. E’ un concetto che nell’Italia del terzo millennio dovrebbe essere patrimonio comune. E invece così non è per tutti.

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E’ partita negli scorsi giorni una crociata nei confronti di Renato Curcio, colpevole di aver accettato l’invito per sabato prossimo a presentare un libro scritto di suo pugno che parla dell’invadenza delle nuove tecnologie sul mondo del lavoro. Un tema peraltro troppo poco affrontato ma che nell’epoca della precarietà, delle piattaforme digitali e degli smartphone, sta prendendo piede piuttosto velocemente.

Ad aver innescato la caccia alle streghe è il senatore del Pd Stefano Esposito attraverso il suo profilo Facebook. L’ex “giovane turco” ed oggi renziano ha lanciato bordate contro il centro sociale Askatasuna che si è fatto promotore della presentazione del libro di Curcio. Secondo Esposito il centro sociale torinese è un luogo in cui «si teorizza e pratica la violenza politica e l’azione contro le istituzioni e le leggi dello stato». Intuibile l’associazione fatta quindi da Esposito tra la sua opinione sull’Askatasuna e il passato di Renato Curcio. Il tutto ripreso dall’edizione torinese di Repubblica che in modo appena appena di parte (lo siamo anche noi, per carità), pubblica larghi stralci dell’intervento di Esposito, associandovi in suo favore le dichiarazioni del segretario provinciale del sindacato di polizia SIULP e del presidente di una delle associazioni delle vittime del terrorismo.

Già il pulpito di Esposito non pare il migliore per parlare di legalità e rispetto delle leggi: il senatore piemontese ha a suo carico due condanne (non ancora definitive) in altrettanti procedimenti giudiziari. In entrambi i casi il parlamentare del Pd è incorso a procedimenti per il suo uso “violento” della parola. Stupisce perciò il fatto che Esposito si produca in certi slanci moralistici.

Lungi da noi voler fare la morale all’onorevole Esposito, tuttavia ci pare il caso di ricordargli alcune semplici cose. Con educazione e buona grazia, perché non vorremmo che collocasse anche noi nel nutrito pantheon dei “cattivi maestri” che egli stesso ha contribuito ad edificare con lo stesso entusiasmo con cui ha promosso l’edificazione di certe grandi opere.

Innanzitutto vale la pena ricordare che Renato Curcio ha chiuso i suoi conti con la giustizia nel 1998 terminando di scontare la sua pena. Per concorso morale in omicidio, costituzione e direzione di associazione sovversiva, evasione e partecipazione a banda armata gli vennero comminati 28 anni. Terminò la pena con quattro anni di anticipo perché secondo il giudice di sorveglianza nel suo «impegno volto al sociale può cogliersi il ravvedimento». Curcio infatti in carcere si mise a studiare, a scrivere e a fare il ricercatore. Attività che ha condotto con una certa prolificità (oltre una ventina di pubblicazioni) anche fuori dal carcere su temi piuttosto seri: dai regimi di detenzione ai manicomi, dal mondo del lavoro alla disabilità fino ai disturbi psichici.

Se Esposito non fosse ancora del tutto convinto, Renato Curcio non è più un brigatista. Semplicemente perché le Brigate Rosse non esistono più essendo state sciolte dagli stessi fondatori. Per fugare qualsiasi dubbio, Esposito recuperi quella vecchia trasmissione Rai del 1987 in cui alcuni dirigenti storici delle Br  – Mario Moretti, Barbara Balzerani e Curcio stesso – dichiararono a favor di telecamera conclusa l’esperienza della lotta armata. A tal proposito non possono essere equivocabili le parole pronunciate da Curcio: «Come ci siamo assunti la responsabilità di aprire un discorso di lotta armata ci assumiamo la responsabilità di considerare questo periodo e questa storia chiusi». Esposito può ascoltarlo con le sue orecchie. «Oggi non ha più ragione di esistere la lotta armata» dissero gli ex terroristi.

Curcio – sempre nel caso in cui il senatore Esposito nutrisse ancora delle perplessità – non si è mai associato a quegli ultimi “irriducibili” che dal carcere hanno esultato per le successive azioni assassine messe in atto da gruppi terroristici dopo lo scioglimento delle Brigate Rosse. Né per le azioni criminose messe in atto tra fine anni ’80 ed inizio anni ’90, né per i vigliacchi omicidi occorsi a cavallo tra vecchio e nuovo millennio.

Sappiamo che la Costituzione a taluni sta un po’stretta, ma nell’articolo 27 ancor vigente (in ogni caso anche dopo il 4 dicembre) si dice che la pena deve tendere alla “rieducazione del condannato”, e nel dizionario si definisce come obiettivo della rieducazione “il buon reinserimento nella società dell’individuo”. Ora, per quanto ne sappiamo, Curcio da quando è uscito di carcere non ha più avuto alcun problema con la giustizia, neppure un parcheggio in sosta vietata. Anzi, ha cercato di occuparsi di quello che cristianamente si definirebbe “il suo prossimo”, pure con una certa discrezione.

Fare considerazioni su questo tema, lo ammettiamo, non è semplice: si rischia di essere indelicati e di non avere il giusto tatto nei confronti dei tanti che hanno sofferto e che stanno ancora soffrendo. Tuttavia ci sentiamo di dire – al netto della odierna riservatezza di Curcio sul suo passato criminale – che si potrebbe cogliere il suo impegno sociale e volontaristico come atti di superamento di quel pezzo di vita comunque già scontato penalmente.

Perciò suggeriremmo al senatore Esposito di mettere in pace il suo cuore e di accettare il fatto che esistono dei diritti di cittadinanza, anche per chi diciotto anni or sono ha chiuso i conti con la giustizia. Anche questo concetto è parte integrante di una seppur imperfetta democrazia, che forse al senatore del Pd sta un po’stretta.

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