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Guerra tra poveri, razzismo e mafie, ma che cos’è successo a San Basilio?

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Impedito da razzisti indigeni l’accesso alla casa popolare ad una famiglia di origine marocchina regolarmente assegnataria. E’ accaduto nel popolare quartiere di San Basilio. Che cosa succede nella periferia di Roma?

 

San Basilio 1974, quando il razzismo non esisteva nelle periferie romane [foto Tano D'Amico]
San Basilio 1974, quando il razzismo non esisteva nelle periferie romane [foto Tano D’Amico]

Roma, 06 DIC – Residenti impediscono l’assegnazione popolare di una casa popolare ad una famiglia marocchina. È accaduto in via Filottrano, a San Basilio, dove un appartamento popolare era stato sgomberato in seguito ad un occupazione abusiva e questa mattina sarebbe dovuto essere consegnato ai legittimi assegnatari, una famiglia di origine marocchina con tre bambini ma ciò non è stato possibile. Sul posto sono intervenuti gli agenti della polizia locale di Roma Capitale. A quanto riferito abitanti dei palazzoni sono scesi in strada al fine di evitare che la famiglia assegnataria prendesse possesso dell’appartamento. «Non vogliamo negri né stranieri qui ma soltanto italiani», avrebbero ripetuto gli abitanti in presidio lamentandosi con i caschi bianchi del Gruppo Sicurezza Pubblica Emergenziale e Gruppo Tiburtin. Le forze dell’ordine ipotizzano però che dietro la protesta possa celarsi il business delle occupazioni abusive. La famiglia marocchina (madre disoccupata, padre operaio edile e tre bimbi rispettivamente di uno, tre e sette anni) vista la situazione, ha rinunciato ad abitare in un quartiere apertamente dichiaratosi ostile. I manifestanti sono stati comunque identificati dagli agenti e denunciati per resistenza e minacce a pubblico ufficiale, nonché per la violazione del decreto Mancino.  

Proviamo a leggere questo episodio con due interventi

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San Basilio 40 anni dopo

di Stefano Galieni

Parto dal passato perché forse poco conosco il presente.

Ma parto dal passato perché credo non si possa capire il presente senza conoscere il passato.

Parlo in prima persona, perché a volte è la voce propria che deve assumersi la responsabilità di quanto si afferma, non la freddezza di un articolo.

Ho avuto il privilegio di crescere a S. Basilio dove ho vissuto fino al 1983, per oltre 20 anni. In quel quartiere, in cui gran parte delle vie portano i nomi di paesi delle Marche, sono andato alle scuole elementari, ho dato i primi calci al pallone (sempre maldestri), ho imparato ad ascoltare musica e ho conosciuto la politica. Il quartiere di quegli anni era energia allo stato puro. Era considerato “bronx” per chi veniva da fuori.

Per i non romani, S. Basilio è un quartiere cresciuto all’inizio degli anni Cinquanta, avendo come vie di comunicazione  da una parte la Consolare Tiburtina e dall’altra la Nomentana, nella periferia est di Roma, ad un paio di chilometri dal Grande Raccordo Anulare

Se eri “di San Basilio” fuori trovavi immediatamente timore e rispetto ma nessuno ti assumeva per lavorare, eri etichettato come potenziale delinquente. Se accadeva un fattaccio di cronaca in un quartiere vicino, magari mediamente più borghese, sui giornali o si scriveva che era accaduto a S. Basilio o che era stato qualcuno “di” S. Basilio a commpierlo.

Era un quartiere popolato soprattutto da famiglie di emigrati umbri e marchigiani (da cui i nomi delle vie), che avevano trovato finalmente una casa popolare. E l’idea stessa di casa popolare, con i lotti, i cortili interni in cui bastava un genitore per badare a tutti i bambini che giocavano assieme, rappresentava una forma di di socialità. Ma c’era miseria e spesso la piccola criminalità diveniva unica prospettiva. Si andava a rubare fuori, nei quartieri dei ricchi, nelle case o sottraendo le automobili, perché tanto “loro” i soldi ce li avevano. E quando si finiva arrestati il carcere, quello di Rebibbia, non a caso realizzato a meno di un chilometro dal quartiere, diveniva il posto in cui si scontava la pena, il posto in cui i parenti potevano venirti facilmente a trovare. Era un quartiere guardato sempre con sospetto dal potere, troppo ribellista e violento tanto che veniva impedito aprirvi dentro un commissariato di polizia, quello dei carabinieri era all’entrata.

Era un quartiere in cui fra poveri ci si aiutava e non ci si rubava, insieme si sabotavano i contatori della corrente elettrica per autoridurre le bollette, insieme si faceva i picchetti per impedire gli sfratti quando arrivavano gli sgomberi. Nel 1974 a settembre, ci fu un massiccio impegno repressivo per sgomberare alcuni palazzi occupati e la celere si ritrovò bombardata dai sanitari gettati dall’ultimo piano dalle madri di famiglia che non volevano perdere il tetto conquistato. In quei giorni Fabrizio Ceruso, un ragazzo dei militanti di lotta per la casa, venne ucciso dalla polizia e nessuno pagò per quell’omicidio che restò come un buco nero nella coscienza del quartiere. Era un quartiere in cui il PCI aveva almeno il 65% dei voti sicuri, una buona percentuale finiva alle forze dell’estrema sinistra e per DC e MSI non c’era quasi spazio di parola. Era un quartiere in cui, la carenza di servizi, la ghettizzazione e la crisi, furono all’origine di numerosi fenomeni di violenza, politica e non. Me la ricordo come se fosse oggi ma respiravi insieme sia quella rabbia sia quel sentirti parte di un mondo di sconfitti che non si rassegna e che vuole dare l’assalto al cielo. Perché se di S. Basilio eri figlio, a S. Basilio eri garantito, nessuno toccava le tue cose, se avevi fame una porta si apriva, se volevi giocare un amico lo trovavi, se avevi qualcosa da dire qualcuno ti ascoltava.

Durante l’unica vera Giunta Rossa che Roma abbia mai avuto, quella del sindaco Luigi Petroselli, fra le tante iniziative messe in piedi per rendere migliore la vita di chi viveva a Roma, trovò posto anche la realizzazione di un progetto culturale totalmente fuori contesto Venne portato nel quartiere un tendone da circo, gestito da una compagnia di circensi, e venne creata “L’altra tenda”, spazio per attività musicali e culturali del quartiere. A gestire il progetto, con pochi fondi e nessuna esperienza finì un gruppo di ragazzi fra cui io, con l’entusiasmo dei vent’anni e l’incoscienza che ne derivavano. Divenne un posto pubblico che si riempiva perché suonavano i musicisti del quartiere, bravi ma oscuri al mercato, venivano artisti si facevano laboratori teatrali, cineforum, si diventava, senza isolarsi, produttori di cultura. Passarono anche volti noti da Pierangelo Bertoli a Eugenio Bennato alla immensa Judith Malina, fondatrice del Living Theatre. Era venuta a trovarci e a proporci gratis un loro spettacolo perché quello spazio rappresentava il teatro che diventava vita e che sempre era al centro del suo progetto artistico.

Si c’era violenza a S. Basilio ma per molto tempo la vecchia mala impedì che arrivasse l’eroina a mietere vittime, il disabile, lo straniero, l’altro, se povero, trovava uno spazio. C’erano i rapporti intrafamiliari imbottiti di patriarcato, c’era già la corrosione di chi sognava di poter uscire dal ghetto affrancandosi per meriti personali, alcuni calciatori e alcuni pugili sono nati così, ma c’era anche qualcosa di arcaico e di forte che legava le persone fra di loro, che le poneva in contrasto netto alle istituzioni, soprattutto alle divise.

Le divise erano quelle che venivano a portarti via i figli di notte, quelle che ti intimavano di andare via, ti trattavano da pezzente e da mezza persona, le divise volevano abituarti all’umiliazione e tu reagivi con odio e sarcasmo, a volte con altrettanta violenza. Un ultimo ricordo, che spiega il perché di questo strano contributo che sento come un dovere personale. Una volta, avevo 8 o 9 anni vennero i carabinieri in classe per comunicare alla maestra che i genitori di una bambina erano stati arrestati. Lo dissero tranquillamente davanti a noi, incuranti della ragazzina, dicendo testualmente “tanto chi porta il cognome XXXXX XXXXX prima o poi fa questa fine”. Come lo cancelli quell’odio?

Tanti anni dopo quel quartiere mi dicono sia profondamente cambiato ma non so se esserne così certo, dovrei tornare a viverci per poterlo dire in tutta onestà. Stando alla cronaca so che in una via che ben conosco hanno sgomberato un appartamento occupato abusivamente, da una famiglia che viveva altrimenti in un camper, per darla alla prima famiglia in lista per una casa popolare, ahinoi padre madre e 3 bambini, provenienti dal Marocco. Mi fido poco delle narrazioni di cronaca, ma sembra che alcuni abitanti del palazzo abbiano cominciato ad urlare che i “negri non ce li volevano” e hanno alzato il caos, costringendo la famiglia, sentitasi indesiderata, a rinunciare all’alloggio.

Ripeto forse è tutto cambiato ed alcuni codici interpretativi non sono più validi ma se…

Per gli abitanti di quel palazzo, occupare quando si è senza casa è scontato, venire cacciati e far entrare degli altri, sconosciuti e portati dalla polizia, per l’epoca che ricordo sarebbe stato inaccettabile. Che il nucleo familiare non fosse di origine italiana è servito sicuramente da facile alibi per violenti xenofobi che ormai hanno preso il ruolo aggregatore nelle periferie che un tempo era della sinistra. Le sinistre sono uscite dal mio antico quartiere almeno 30 anni fa e non ci sono più rientrate. E su questo dovremmo interrogarci tutti senza assolverci nessuno

I luoghi di impegno sportivo, sociale, associativo, sono stati marginalizzati e privati di risorse, esiste solo il privato che offre, di pubblico c’è solo il disagio e la distanza dalla città. Di pubblico c’è un tasso di disoccupazione fra i più alti, il reddito medio pro capite fra i più bassi, l’alto tasso di tossicodipendenti, l’alto tasso di abitanti reclusi nel vicino carcere.

Di concreto c’è il fatto che Roma è una delle città italiane da cui meno si investe in edilizia popolare. Quando l’intestatario di un alloggio pubblico muore o si trasferisce, l’alloggio viene murato in attesa dell’assegnazione secondo graduatoria. Ma per l’assegnazione i tempi sono lunghi mentre il fabbisogno abitativo della città cresce ogni giorno. Chi si ritrova in strada occupa, sa bene che dopo un mese, un anno, forse dopo 3 anni qualcuno lo verrà a sgomberare, ma intanto rompe il muro e ha risolto il problema.

In questo meccanismo il più debole viene schiacciato e forse utilizzato. Passano infatti due messaggi paralleli e falsi. Il primo agli abitanti di S. Basilio e delle altre periferie, “danno le case agli stranieri per questo non ci sono per noi italiani”, il secondo è quello per le forze progressiste “noi diamo case anche agli stranieri ma sono i sottoproletari a essere razzisti”. Due messaggi falsi, se non ci fossero possibilità di speculazioni immobiliari per i ricchi e più case popolari per i poveri, oggi quella famiglia marocchina a cui auguro di trovare migliore accoglienza, non avrebbe incontrato problemi.

Non nego l’esistenza di una componente xenofoba in questi contesti. Ma c’è stato anche chi ha detto serenamente, “avremo fatto lo stesso anche se erano italiani”. Magari questa notizia avrebbe fatto meno clamore, magari sarebbe stata più problematica.

Magari ci avrebbe portato a scoprire per l’ennesima volta che il razzismo non è una categoria statica dello spirito ma il frutto osceno di una connessione negativa di relazioni di classe. Nessuna giustificazione per chi ha urlato “qui i negri non li vogliamo”. Ma che almeno si sia consapevoli che la requisizione del patrimonio immobiliare inutilizzato presente a Roma farebbe esplodere la bolla immobiliare ancora in piedi, libererebbe spazi per giovani coppie, per famiglie di stranieri, per persone arrivate in Italia in cerca di accoglienza e per chi ha perso casa perché escluso dal ciclo produttivo o per disavventure personali, per chi è solo/a e non ha il reddito per garantirsi un alloggio.

Più case popolari, migliori occasioni di lavoro per tutti non metterebbero gli ultimi contro i penultimi

Forse  permetterebbe di ricominciare a ragionare contro i padroni

Si è anche nostalgia, perché rimpiango quella S. Basilio rossa in cui i poveri stavano con i poveri. [da a-dif]

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San Basilio, Italia. Non permetteremo più a nessuno di dire che negli italiani non ci sono moti razzisti.

di Claire Lacombe e Maimonide

Il razzismo offende e affonda l’umanità anche di chi lo sostiene. Il razzismo è un ciarpame di idiozie volgari antiscientifiche come sa chi conosce appena qualche elemento di genetica. Ciò non toglie che in Italia allignano i razzisti con floridità negli ultimi anni, ma bisogna andare al di là di questi aspetti e comprendere la natura di classe e politica dei fenomeni.

Il quartiere San Basilio a Roma è un quartiere disagiato del Nord-Est della periferia, con pochi servizi, poco lavoro e fiumi di droghe: eroina, cocaina, pillole. Storicamente si sviluppa nel dopoguerra e negli anni ’50 con emigranti interni umbro-marchigiani-romagnoli che cercavano lavoro a Roma. Il diritto alla casa in questo quartiere nato nell’abusivismo edilizio è sempre stato molto sentito negli ultimi 50 anni. Un fatto cruciale avvenne molti anni fa: Fabrizio Ceruso morì durante gli scontri con le forze di polizia durante la battaglia per la difesa delle case occupate di via Montecarotto, a San Basilio, l’8 settembre 1974. San Basilio non è un quartiere nero, sono ancora vivaci i Movimenti di Lotta per la Casa, ci sono le Palestre Popolari, c’è il Centro Popolare San Basilio. Eppure sono forti e diffuse le impostazioni fasciste xenofobe che vedono nel negro e nell’arabo il nemico da combattere, da espellere e da… eliminare. L’input di queste impostazioni non viene direttamente da organizzazioni fasciste quanto dai soggetti egemoni nel quartiere, cioè ultrà e crimine organizzato che sovente sono un tutt’uno. Il crimine organizzato a San Basilio è notoriamente la ndrangheta. San Basilio è uno dei posti romani dove di notte, tanto più quando le volanti della mobile arrivano a fari spenti nelle piazze dello spaccio, sui tetti sono presenti numerose vedette al soldo dei pusher. Accade pure che sulla case popolari si affacci il racket quando ci sono le nuove attribuzioni.

Cosa è accaduto ieri a San Basilio? E’ molto semplice: l’adn kronos così scriveva“ 5 denunce per violazione della Legge Mancino, ma non si esclude che dietro le barricate ci sia il racket delle occupazioni Roma, 5 dic. (AdnKronos) – A SAN BASILIO quartiere in rivolta contro l’assegnazione di un alloggio popolare a una famiglia marocchina. Per impedire l’accesso al palazzo dell’Ater di via Filottramo 15, i residenti hanno alzato vere e proprie barricate, non risparmiando insulti razzisti alla famiglia, con tre figli piccoli. In particolare, i cinque, padre operaio in un’azienda che monta ponteggi, madre disoccupata e tre bambini rispettivamente di 7, 4 e 1 anno, accompagnati da personale dell’Ater, si sono improvvisamente visti accerchiati da un gruppo di abitanti del complesso di palazzine popolari. Gli uomini del Gruppo Sicurezza Pubblica ed Emergenziale della polizia di Roma Capitale, guidati dal vicecomandante del Corpo Antonio Di Maggio, si sono a quel punto frapposti tra la famiglia e i residenti, che intanto li minacciavano e insultavano gridandogli contro ”tornate a casa con i vostri gommoni”, ”non vogliamo i negri” , ”qui ci dovete mettere solo italiani”. Dopo lunghi momenti di tensione, la famiglia marocchina, impaurita e in lacrime, ha deciso di rinunciare all’appartamento e si è allontanata con la propria auto. Nel frattempo sono state chiamate le forze dell’ordine, che hanno denunciato 5 persone per violazione della legge Mancino. Sono in corso anche altre identificazioni. A quanto si apprende, la casa assegnata alla famiglia marocchina era occupata abusivamente da due persone, padre e figlio, che nel frattempo avevano però già iniziato a portare via le proprie cose. Proprio questa circostanza porta però gli investigatori a non escludere che dietro la reazione popolare possa nascondersi il racket delle occupazioni”.

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Due elementi non banali ancora non commentati da nessuno. La polizia di Roma Capitale è sembrata frapporsi fra i litiganti, come se avessero tutti una parte di ragione. Ma non aveva qualcuno dei “pizzardoni” presenti qualifica di UPG e se non la aveva nessuno di loro, chi diavolo viene mandato in queste situazioni difficili? Ovvero qualche pizzardone era un UPG e perché hanno chiamato la PS? Inoltre più che la violazione della legge Mancino emerge evidente che si è consumato il reato di violenza privata aggravata, da odio razziale e a danno di minorenni, severo reato perseguibile d’ufficio: non se ne sono accorti gli UPG della polizia di Roma Capitale e della PS?

Non poteva mancare la presa di posizione illuminante al riguardo dei fascisti di Forza Nuova: “Semplificare il tutto parlando di razzismo a noi sembra fuorviante. Siamo, anzi, al cospetto dell’ennesimo tentativo di criminalizzazione, politica e mediatica, di cittadini italiani stanchi ed esasperati dai continui soprusi compiuti da una classe politica negligente e colpevolmente assente. Le denunce ‘per violazione della legge Mancino’, scattate nei confronti dei residenti di via Filottramo, sono un atto vergognoso volto a reprimere legittime istanze sociali, sempre più pressanti ed attuali. Alla luce di quanto accaduto quest’oggi, possiamo sostenere, senza paura di smentita, che il vero razzismo è quello perpetrato contro gli italiani. Forza Nuova sosterrà con forza la rivolta popolare per la difesa di Roma contro chi vuole farci diventare minoranza a casa nostra”. A lanciare il proclama romano di FN è quell’Alessio Costantini già autore del blitz del maggio 2016 al gay center di Roma, del blitz al museo Maxxi dell’ottobre 2016, della serie di provocazioni dei primi di novembre alla Magliana; “incastrato” dai Carabinieri nel gennaio 2016 come partecipante ai Bangla Tour, cioè all’attività di mazzolatura e bastonatura a sangue di decine di bangladesi a Roma Sud, roman version del Ku Klax Klan. Inopinatamente la questura di Roma verso i fascisti non conosce mai diffide ed è quanto mai garantista.

Comunque da situazioni come quella di San Basilio non se ne esce ricordando il passato del territorio e dicendo che si tratta di un quartiere “proletario”, quindi “di classe”. Bisogna costituire posizioni comuni sulla realtà con gli extracomunitari, a partire dal diritto condiviso alla casa, alla legalità costituzionale, al lavoro senza illegalità. E deve essere eretto un muro contro il crimine organizzato e lo spaccio, denunciando il carattere reazionario di chi propone alleanze contro il nemico comune: “’e guardie!”. Una scorciatoia miopemente estremista e voluta proprio dal crimine per continuare a gestire la propria egemonia. Comunque per ironia della storia gli umbro-marchigiani che 70 anni fa arrivarono a Roma da pezzenti post guerra, i negri di allora, a cercare lavoro e casa a San Basilio danno oggi, nei loro discendenti, dei negri ai membri di una famiglia marocchina che cercava una casa: una feroce nemesi. [da OsservatorioRepressione]

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