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F 35, per affondare meglio

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Costi raddoppiati, ritardi e inefficienze. Ma sui cacciabombardieri Usa la Corte dei conti chiede di andare avanti perché si è già speso troppo. A settembre, però
di Maurizio Zuccari

napolitano

Siete su una barca che fa acqua da tutte le parti, già piena per un terzo. Se qualcuno vi dicesse che l’unico modo per non affondare è riempirla del tutto, lo direste pazzo. Esattamente questo raccomanda la Corte dei conti a proposito degli F 35, ma nessuno si batte col dito alla tempia. La magistratura contabile segnala – ad agosto, quando le Camere sono in ferie e l’attenzione sul tema nei media e nel paese, già elevatissima, è ai massimi – che i costi del famigerato cacciabombardiere made in Usa con cui l’Ami (l’Aeronautica militare italiana) vuole rinnovare la sua flotta d’attacco sono già raddoppiati, il ritardo operativo è di cinque anni, le ricadute occupazionali poca cosa rispetto alle previsioni, ridotte a circa 3.000 addetti e per ora poche centinaia. Ma proprio per questo non si può che andare avanti nell’acquisizione dei 91 apparecchi previsti, alla bella cifra di oltre 130 milioni di dollari l’uno, perché si è già speso troppo. Per l’F 35 Lightning della Lockheed si sono già buttati più di quattro miliardi (4,1 entro l’anno per l’esattezza, ai ritmi attuali), ergo secondo la corte non si può che andare avanti e sborsarne altri 14 previsti nei prossimi vent’anni (destinati a lievitare come una pizza). Ché – testuale – “l’esposizione fin qui realizzata in termini di risorse finanziarie, strumentali ed umane è fondamentalmente legata alla continuazione del progetto”. Per non affondare riempiamo la barca d’acqua, appunto.

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Non è neanche un problema di penali, la Corte lo dice chiaramente: “l’opzione di ridimensionare la partecipazione nazionale al programma, pur non soggetta di per sé a penali contrattuali”, presenta “potenziali effetti negativi”, benché si riconosca altrettanto chiaramente che “alcuni rischi tecnici, pur essendosi significativamente ridotti nel corso del 2016, rimangono aperti”. In realtà l’aereo destinato a essere il sistema d’attacco di punta in molti paesi dell’Alleanza Atlantica, è a parere dei più e persino di Trump uno scassone ipertecnologico. Superato prima d’entrare in produzione (forse nel 2021, anche se l’Ami conta di metterne in linea almeno 38 l’anno prima) e già ora surclassato, secondo molti esperti, dai nuovi Sukoi classe 30 russi.

Eppure, è questo l’aereo su cui l’Italia continua a puntare per mantenere una sua proiezione nelle aree di crisi (leggi nelle guerre che verranno e a cui ci accoderemo), a dispetto delle sforbiciate di bilancio che hanno tagliato le ali al Lightning in due occasioni. La prima, nel 2012, riducendo a una novantina i velivoli da acquisire, sui 131 inizialmente previsti; la seconda, lo scorso anno, dimezzando il budget, fissato inizialmente in 18,3 miliardi di dollari (nel 2008, dunque a condizioni economiche precrisi). Un impegno rimasto lettera morta.

Del resto sulla vicenda i volenterosi disposti a buttare acqua in barca non mancano: se Berlusconi, al suo quarto governo, accoglieva gli scassoni a braccia aperte, Napolitano – lo stesso del placet ai carrarmati russi in Ungheria nel lontano ‘56 e del triccheballaccche libico di questi giorni – ne è stato gran difensore, stoppando da fine giurista qual è ogni ingerenza del parlamento su questioni di politica di difesa. Che, evidentemente, nulla ha a che vedere col buonsenso. A fronte di tanta pervicace volontà d’affondare, Sinistra italiana a settembre chiederà al governo di riferire “urgentemente” alla Camera sul rapporto della Corte dei conti. Un chiarimento dall’esito scontato, visto che tra i membri dell’attuale governo non mancano gli strenui sostenitori dello scassone.

Ma settembre, si sa, è mese dove cascano più governi che foglie, e allora chissà se una compagine davvero diversa potrà mettere la parola fine a un’altra delle tante anomalie italiane. Regalandoci, magari, sette Canadair antincendio al costo d’uno scassone manco buono a bombardare in casa altrui (cosa che, tra l’altro, la Costituzione vieterebbe, ma queste son quisquilie), o regalandoci altri tre anni d’inutili imprese marinare in Libia, alla modica cifra di 36 milioni l’una, come l’attuale. Chissà.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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