Kikito, quel bimbo tra Mex e Usa

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Un bambino messicano di 20 metri contro il muro di Trump. L’ha fatto il francese Jr nei giorni del Daca
di Maurizio Zuccari
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Le manone, paffutelle come quelle dei bambini a un anno, si levano oltre la barriera. Indosso una pettorina mimetica, gli occhioni abbassati. È Kikito, un messicanino dagli occhi neri e fondi tipici della sua gente, anche se sul murale non si vedono, e le sue manine-manone non spuntano dalla culla ma dal muro di separazione a Tecate, bassa California. Già esistente a dispetto di quello che verrà tra Usa e Messico. A realizzare il fotocollage di venti metri che guarda dilà, a un mondo sperato o solo sognato, il francese Jr.

L’opera (sul sito www.jr-art.net foto e fasi dei lavori), critica neppure velata al presidente Trump e alle sue politiche antimigratorie, è spuntata sotto gli occhi indifferenti e benevoli delle guardie di confine nei giorni in cui alla Casa Bianca si decideva d’abolire il Daca, le misure a protezione sociale dei figli degli immigrati illegali. L’artefice non è nuovo a questo genere di azioni di guerrilla art, a opere e performance di forte impatto sociale, come molti altri artisti di strada e writer. A partire dal più noto, Banksy, che alle opere murarie ha dedicato anni di fatiche e un libro di tendenza, Wall and piece.

Ribattezzato a suo disdoro il Banksy francese, Jr è un arabo figlio d’immigrati di seconda generazione, nato nell’‘83 dalla parte sbagliata della banlieu parigina. Uno scappato di casa fino a una decina d’anni fa, quando la street art – la forma più alta e attuale d’arte contemporanea, se vogliano – non era di moda e gli artisti erano vandali. Le loro opere irrise e cassate, non rimosse con scalpelli e piedi di porco per essere vendute a gallerie specializzate, battute a caro prezzo a qualche asta. Poi la macchina fotografica e il fotocollage gli hanno fatto vincere il world press photo per l’arte e l’intrattenimento, rendendolo punta di diamante del pattuglione d’artisti che coniugano arte e impegno. Un paladino della denuncia sociale di strada che, dalle pasquinate in poi, irride i potenti e ha in Trump un bersaglio facile.

Già il presidente Usa è stato il soggetto, ad agosto, di un doppio murale di Lushsux (altra celebrità, australiana) a Betlemme, sul muro, lato palestinese, che separa questi dagli ebrei. Dove, kippah in capo, abbraccia una torre di guardia israeliana e promette un fratellino al Muro del pianto, il Kotel. E a maggio, alla vigilia della sua visita al papa, un murale a due passi dal Vaticano lo ritraeva in un bacio lascivo con Francesco, l’uno in vesti angeliche e l’altro diaboliche. Jr, che a onor di par condicio non lesina i suoi lazzi su pietra neppure alla Clinton, rivela d’aver pensato al murale messicano in sogno. Al risveglio, s’è chiesto cosa potesse passare per la mente di un bambino, di fronte a un muro come quello. E a noialtri?

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Maurizio Zuccari
Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.

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