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Squadrismo anti-migranti, condannati in 9 di Casapound

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Nove condanne per attivisti di Casapound a seguito delle violenze del luglio 2015 contro l’arrivo di stranieri in un centro di accoglienza alla periferia di Roma

di Ercole Olmi

Condanne a go-go per quella che alcuni settori del Viminale, smentiti dalle barbe finte, considerano una confraternita di filantropi. Casapound. Erano accusati di aver organizzato e partecipato, con caschi e volti coperti, il 17 luglio del 2015, ad un blocco contro il trasferimento di alcuni stranieri in un centro di rifugiati a Casal San Nicola, alla periferia di Roma, dando vita ad una vera e propria gazzarra razzista che culminò con scontri con le forze dell’ordine. Con tanto di bottiglie contro il pullman, tra urla, slogan, sassi e cassonetti incendiati. Nove militanti di Casapound sono stati condannati dal tribunale di Roma per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. I giudici della V sezione penale hanno inflitto ieri otto condanne a 3 anni e 7 mesi e una condanna a 2 anni e 7 mesi. Nella vicenda sono coinvolti alcuni due dirigenti del movimento, Davide Di Stefano e Andrea Antonini.

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Nei confronti degli imputati il pm Eugenio Albamonte aveva sollecitato condanne fino a 7 anni di reclusione. Le indagini condotte dalla Digos portarono, alcuni mesi dopo, ad una serie di provvedimenti cautelari. Secondo quanto accerto dalla Procura, i condannati nel corso degli scontri si sono opposti al trasferimento, a bordo di alcuni bus, di cittadini extracomunitari destinati a piani di accoglienza. Tra episodi al centro dell’indagine anche l’aggressione messa in atto da tre attivisti ai danni di un celerino che è stato colpito più volte nel corso degli scontri. Gli scontri vennero preceduti da mesi di proteste e contenziosi, finiti anche in Tribunale, per il nuovo centro rifugiati a Casale San Nicola, perché la prefettura, dopo un regolare bando di gara, destinò un centinaio di rifugiati all’ex istituto scolastico e subito una parte dei residenti si oppose sostenendo la mancanza di servizi e per il timore della sicurezza nella zona. La miccia che accese le polveri in quella caldissima giornata di luglio fu l’arrivo in pullman dei primi 19 richiedenti asilo nell’ex scuola che scatenò la reazione di una parte degli abitanti del comprensorio, circa 250 famiglie, e soprattutto dei militanti di estrema destra, che cavalcarono la protesta con saluti romani.

Una gazzarra squadristica che, per il gip, Giovanni Giorgianni che firmò le misure cautelari è «stata accuratamente preordinata e dettagliatamente organizzati nella loro dinamica evolutiva». «I militanti – scrive ancora il Gip – dopo aver indossato dei caschi da motociclista, avrebbero guadagnato spazio tra i cittadini passando da una mera azione di spinta a sfondamento del cordone creato dagli operanti a una vera e propria opera di aggressione e violenza» sostenuta «con uso di armi improprie ed oggetti contundenti da lancio di vario tipo».

In genere gli organi di stampa e propaganda di Casapound vantano l’efficacia delle messinscene da revival del ventennio ma stavolta starnazzano contro il presunto processo politico. «Ingiustizia è fatta. Con le condanne abnormi inflitte per i fatti di Casale San Nicola si mette nero su bianco che difendere i diritti degli italiani agli occhi dello Stato è un crimine che crea più allarme sociale di un attentato terroristico», affida a una nota il presidente di CasaPound Italia (Cpi) Gianluca Iannone secondo il quale «difendere gli italiani» sarebbe «un atto rivoluzionario» e le violenze sarebbero solo «una scaramuccia» dopo tre mesi di «presidio pacifico». «Mai c’è stata un’aggressione ai danni delle forze dell’ordine. Le prognosi per le lesioni lamentate dagli agenti sono state tutte tra i tre e i cinque giorni, se non in un unico caso relativo a una caduta accidentale, nel quale i giorni dati sono stati 20. Infine, tra le centinaia di persone che quel giorno si trovavano a Casale San Nicola solo 9 sono finite sotto processo per resistenza, e sono tutte di Casapound. Pochi fatti, che, però, messi in fila, chiariscono al di là di ogni ragionevole dubbio come il processo sia stato tutto politico».

 

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