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Ddl Pillon rimandato a settembre, ma la piazza delle donne sarà ancora lì

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Colloquio con Teresa Gennari del Centro Antiviolenza Donna L.I.S.A. durate la protesta anti-Pillon di martedì scorso in Piazza Montecitorio

di Antonella Priori

Di nuovo in piazza per il ritiro del contestatissimo Ddl Pillon sulle regole della separazione e dell’affido condiviso: associazioni per i diritti umani, centri antiviolenza, attiviste, persone singole e gruppi hanno manifestato a Roma, Milano, La Spezia, Livorno, Padova, Trieste e Cagliari mentre al Senato era in corso una conferenza stampa che ha visto la partecipazione anche di parlamentari e sindacati.

Il testo, avversato dall’opposizione e dalle migliaia di cittadine e cittadini che ancora una volta hanno scelto la mobilitazione, è stato a più riprese definito “oscurantista” e “fortemente lesivo dei diritti delle donne”. La commissione Giustizia del Senato ha deciso di rinviare la discussione a data da definire, con tutta probabilità a settembre. Relatore sarà lo stesso senatore leghista Pillon, che dovrà rielaborare e presentare un nuovo testo frutto di un’intesa tra le diverse parti.

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E proprio il mancato ‘ascolto’ da parte della politica ha fatto infuriare ancora una volta le piazze, le donne, soprattutto militanti vecchie e nuove, quelle che – impegnate in prima linea nel ridare una speranza di vita a chi è in fuga dalla violenza maschile – conoscono a fondo il fenomeno e sin dall’inizio, dopo aver presentato proposte di riforma condivise, hanno osteggiato un disegno di legge che presenta numerose storture.

Si parte dalla centralità del padre separato e si finisce con maggiori oneri a carico della madre, passando per la controversa idea di bigenitorialità perfetta e per l’ancor più contestata sindrome da alienazione parentale. E ancora: una concezione della famiglia definita da più parti “anacronistica” basata sull’unione indissolubile tra uomo e donna, da cui derivano maggiori ostacoli al divorzio (come la mediazione a pagamento obbligatoria e l’abolizione dell’assegno di mantenimento) e il ricatto della perdita della tutela legale dei figli.

Insomma, gli allarmi sono tanti quanti gli aspetti da analizzare con la lente d’ingrandimento e da tenere sotto stretto controllo “vista la propensione al non-ascolto di questo governo”. Ha esordito così Teresa Gennari del Centro Donna L.I.S.A. (Libertà-Internazionalismo-Soggettività-Autodeterminazione) che da 21 anni a Roma accoglie e restituisce alla vita (sociale, familiare, psicologica, lavorativa) le donne vittime di violenza maschile, grazie alle attiviste che mettono a disposizione le proprie competenze.
Insieme ad altri 80 Centri Antiviolenza presenti in tutt’Italia, L.I.S.A. fa parte dell’Associazione nazionale D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) tra i promotori del movimento Non Una di Meno. Come già in passato, attraverso i social e con l’hashtag #NONSIAMAIPILLON, hanno invitato tutti a presidiare i territori chiedendo il ritiro immediato del disegno di legge.

Teresa Gennari, siamo di nuovo qui. In piazza per fermare il Ddl Pillon.

Per forza. Il testo è arrivato fin qui nonostante le numerose criticità che abbiamo ampiamente segnalato. Ma siamo state di fatto escluse da ogni decisione. Trovo assurdo che chi, come noi, ha una vastissima esperienza sul campo non sia stato nemmeno consultato nella definizione di azioni e modalità di intervento”, incalza. E chiarisce: “Abbiamo competenze specifiche sulla violenza di genere e siamo in grado di contrastare il fenomeno in termini sociali e politici globali, non soltanto psicologici.

 Perché, secondo voi, allora, non c’è stato questo scambio?

Perché il disegno è un altro: cercare di far passare le cose in sordina, in piena estate, con le città vuote e le famiglie in vacanza… giochetti a cui ci hanno abituati in passato! In realtà il retaggio del patriarcato, fortissimo nelle cosiddette democrazie occidentali avanzate, si ripropone pesantemente fino ai giorni nostri e la donna deve restare nell’angolo, per questo si cerca di privarla dei suoi diritti di base. E più tutto passa sotto silenzio, meglio è, con la complicità dei media. Potere e denaro, una violenza che l’uomo cerca da sempre di esercitare sulla donna. E si punta anche alla mancanza di ‘risposta’ della piazza.

Come possiamo uscire dalla trappola del silenzio?

Bisogna far capire alle donne, a tutte le donne, che la politica impatta gravemente sulle nostre vite, che le scelte che non facciamo le faranno altri al posto nostro. La vita familiare, la serenità dei figli: accade che se non abbiamo ben chiari e non difendiamo i nostri diritti non ci sarà nessuno a metterli al centro. Men che meno quelli delle bambine e dei bambini. Soprattutto se la politica è fatta come un mestiere qualsiasi, da persone che non hanno nessuna comprensione delle dinamiche familiari.

Un esempio di impatto grave può essere la cosiddetta PAS?

Assolutamente sì! Bisogna spiegare alle donne che si definiscono ‘apolitiche’ che basta un’invenzione come la sindrome da alienazione parentale – che sia chiaro, lo ribadisco, è una teoria importata dagli Stati Uniti che non ha alcuna valenza scientifica – per vedersi togliere ogni diritto sui figli. Bambine e bambini strappati alle madri accusate di condizionare i figli rispetto al rapporto con il padre. Questo si verifica anche quando il padre è violento: il giudice può costringerli non solo a frequentarlo ma addirittura a viverci insieme, contro la volontà del minore stesso. Solo per ribadire la centralità del maschio. Questa cosa, che ci fa accapponare la pelle, deve far riflettere: non si può ‘non fare politica’, perché qualcuno è pronto a farla al posto nostro e sulla nostra pelle.

Possiamo dire allora che l’alienazione parentale è costruita a tavolino, ma sul nulla? Che è solo un grande inganno? Come lo spieghiamo a chi si chiede come sia possibile che una falsa teoria venga spacciata come vera?

Lo spieghiamo dicendo che l’uomo, con il suo pesante retaggio, inventa al momento quello che più gli serve, lo costruisce ad arte, lo trasferisce attraverso i media, non accetta contraddittorio e non consente confronti, come fanno adesso parlamentari e ministri. Per questo dico che è un processo studiato a tavolino.

 L’esperienza dei centri antiviolenza che tu qui rappresenti è fatta soprattutto di persone che hanno tutto questo molto chiaro, immagino, persone che non solo mettono energie e competenze per aiutare donne che vivono una fase di estrema vulnerabilità, ma che magari hanno lottato per salvare i centri stessi, fronteggiando la mancanza di fondi, i ritardi, le istituzioni – diciamo – distratte: ma se tutto ciò che è stato costruito con fatica negli anni va alle ortiche, se un intero sistema va distrutto, svuotato di senso, quanto perdiamo in termini anche di cultura, di idee?

Tutto perdiamo. Dal punto di vista culturale, questo decreto è indegno e ci fa tornare indietro di secoli. Ho un’età per la quale posso ricordare come, in passato, ci fosse la possibilità di discutere, di costruire. Anche il metodo è indegno. Lo ripeto, buttato giù senza consultare nessuno, le nostre idee, le nostre ipotesi buttate al vento. Però una cosa posso dire: che le piazze sono piene. Che ci sono tantissimi giovani, non solo gli universitari, ma la fascia dei ragazzini dai quindici ai venti anni è cresciuta moltissimo e questo mi colpisce positivamente.

Vuol dire che abbiamo lavorato bene? Anche come genitori, intendo.

Abbiamo lavorato bene? Eh, non lo so se abbiamo lavorato bene. Di certo, abbiamo lavorato! E tanto, anche, se si considera che gli uomini hanno tanti più mezzi di noi: soprattutto tempo, denaro, potere, strumenti, che impiegano per falsare la realtà. Non siamo che formichine, ma dobbiamo sgretolare questa enorme piramide di sabbia. Piano piano dobbiamo riuscirci.

Teresa, una domanda sulla bigenitorialità perfetta, che rappresenta un po’ il cuore della riforma: che cosa è per te?

Una cosa infame. Che poteva essere pensata solo da chi non ha per nulla a cuore la salute delle bambine e dei bambini. La salute fisica e psichica, la serenità, che è un diritto, la crescita, lo sviluppo. L’obbligo per il minore alla permanenza con un genitore non gradito per motivi che la norma non vuole considerare (aspetto, questo, fortemente criticato fin da subito anche dall’ordine degli psicologi, ndr) avrà conseguenze importanti sulla sua vita. Torniamo al genitore violento, abusante, per esempio: pretendere che i figli passino obbligatoriamente del tempo con lui è un’aberrazione. Non ci dimentichiamo che una bambina, un bambino che hanno assistito a violenze o hanno subìto violenza sono portati a replicarla nella loro vita.

Una teoria – questa – forse con basi scientifiche, pedagogiche, più consolidate della Pas?

Purtroppo sì, non c’è alcun dubbio, questa con basi scientifiche provate e consolidate!

Teresa, ci hanno appena informate che la discussione slitta a settembre. Cosa succederà a settembre?

Per quanto mi riguarda, per quanto ci riguarda, saremo ancora qui, magari con nuove strategie. Senza dimenticare le formichine: quelle lavorano senza sosta.

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