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Parole in fondo al bicchiere: drinkin’ Sazerac in the rain

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Conobbi Katrina nell’agosto del 2005. Ero a New Orleans, nella House of Rising Sun e di lì a poco avrei ordinato il padre di tutti i Cocktail, il leggendario Sazerac

Conobbi Katrina nell’agosto del 2005, durante uno dei miei viaggi di approfondimento per il mio lavoro. Passai una notte intera con lei e fu l’emozione più forte di tutta la mia vita, tanto che a tutte le altre donne della mia vita dovetti raccontare di quello che mi fece quella notte. Sì, lo so, non sembra carino parlare ad una donna, magari appena conosciuta, di una con cui sei stato prima di lei, però fidatevi, ogni volta che finivo il mio racconto, tutte cadevano in lacrime tra le mie braccia. Era la prima volta che mettevo piede sul suolo statunitense, nella città dove trovarono fortuna jazzisti del calibro di Louis Armstrong o di quel Tom “Bones” Malone che interpretò se stesso nel film cult The Blues Brothers.

La città di New Orleans era fantastica ai miei occhi, specie quella parte che ancora non era stata inghiottita dal demone della globalizzazione. Strade dritte e festose, delimitate da casupole su due o tre piani decorate da balconi floreali e finestre colorate, sempre gremite di gente a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma di una festosità sana, insita nel cuore degli autoctoni come fosse scritta direttamente nel loro dna. Mi aggirai per quelle strade e quelle piazze alla ricerca di un posto dove posare i miei bagagli e riposare, avevo sentito parlare di un piccolo bed & breakfast, allestito dentro una delle vecchie case in stile coloniale dell’inizio del secolo scorso, che fu anche un bordello, nonché bar, chiamato House of Rising Sun, Casa del Sole Nascente.

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Fu lì che conobbi Katrina, ma non quel giorno. Quella sera iniziò a piovere, e quel caldo ammorbante di una città già umida di natura non fece altro che acuire quel senso di disagio per la presenza di sciami di zanzare così feroci che più che a New Orleans mi fecero sentire a Pearl Harbor, nel 1941, durante l’attacco dei giapponesi. Poco male. Ero a New Orleans, nella House of Rising Sun e di lì a poco avrei ordinato il padre di tutti i Cocktail, il leggendario Sazerac, preparato per la prima volta dal farmacista creolo Antoine Amédée Peychaud. Quando dico che ero lì per lavoro, mi riferisco a questo, al mio solito perfezionismo.

Quando il mio principale alla Cocktail House Saint Desire per anziani, pensionati e giocatori di biliardo, Marco, mi chiese quale fosse il miscelato più antico, io trovai nelle mie ricerche molti riferimenti a questo prodotto, piuttosto complesso nella preparazione ma dal sapore antico e quasi esoterico. Uno di quelli che tanto mi piacciono, specie quando la fatina verde dell’assenzio scivola lungo il vetro cristallino di un bicchiere old fashioned. Il barman baffuto e grassottello dall’altra parte del bancone, dopo un paio di Heiner rinfrescanti e un po’ di chiacchiere su quel farmacista che da il nome al Peychaud bitter, mi chiese se avessi voluto imparare a preparare il Sazerac alla maniera di New Orleans, io gli risposi che ero lì per quello, sebbene di lì a poco avrei conosciuto Katrina e tutto il resto avrebbe perso di significato.

Mi insegnò che il bicchiere old fashioned va raffreddato per bene prima di bagnarlo con l’assenzio, che va lasciato a depositarsi lentamente sul vetro ghiacciato dal bordo fino in fondo, mentre in un altro bicchiere si pesta una zolletta di zucchero imbevuta di bitter, possibilmente il Peychaud, insieme ad un cucchiaio d’acqua naturale. A questo va aggiunto del ghiaccio spaccato e il cognac e una volta mescolato, il prodotto finale va filtrato con lo strainer nell’altro bicchiere, quello con l’assenzio, e infine guarnito con una scorzetta di limone.

Buono, dannatamente buono e diabolico allo stesso tempo. Uno di quei Cocktail che non paghi soltanto con cartamoneta, perché la fatina verde che vive nell’assenzio, vuole la tua anima. Come Katrina, anche lei pretese la mia anima, in cambio delle sue prestazioni, perché Katrina era una maledetta puttana. La conobbi non quella sera ma quella notte, impossibilitato a lasciare la House of Rising Sun per colpa della pioggia torrenziale. Finii il mio drink e salii al piano superiore, ad ammirare il temporale che si stava abbattendo su tutta la città.

Katrina. Io sono venuto fin qui per perfezionare la mia arte e tu ora reclami la mia vita. Pensai. No, non reclamò la mia vita, altrimenti non sarei qui a raccontarvelo. Però si prese quella di altre settecento persone, forse anche di più, perché Katrina spazzò via case, edifici e ponti e palazzi e fiori e alberi e tombe e carne e sangue e bandiere e fede e anche la festosità, tutto quello che gli abitanti di New Orleans si erano costruiti per tutta una vita. Sul tetto della casa in stile coloniale, allestita a bed & breakfast, che prende il nome dalla celebre ballata resa famosa dagli Animals, passai tutto il giorno dopo, insieme al barman baffuto a molti degli altri residenti, in attesa dei soccorsi. Attraverso le strade rigonfie delle acque piovute dal cielo, come una specie di futile giudizio universale fatto per colpire soltanto quelli che già poco avevano e ora non possiedono più niente, vidi passare cadaveri vecchi e nuovi, quelli che Katrina venne a riscuotere e quelli strappati alle loro tombe nel cimitero della città. Per scacciare la paura e passare il tempo cercai separare gli uni dagli altri. Questo viene dal cimitero? No, e questo? Questo sì. Questo sì, questo no, questo sì, questo no, questo no, questo no, questo no, questo no. E’ a questo punto del racconto che di solito quelle a cui l’ho raccontato mi abbracciano piangendo. Dove lavoro ora, alla Bottega del Conte, quando lo racconto tutti restano di sasso e non sanno se credermi o no. Anche io, in realtà, non so se credermi, ma che sia vero o meno, a sentirlo fa sempre un certo effetto.

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