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Se l’angelo è anche il cecchino

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In scena a Genova L’Angelo di Kobane. La storia di Rehana una delle peshmerga che si oppose all’Isis. Presto sui palchi di Roma e Milano

L’angelo e il cecchino. Anzi, l’angelo è il cecchino. Due in una  sola persona. Può accadere, quando lo sguardo dell’uno coincide con la traiettoria di mira dell’altro. Accade, in guerra, se sei una giovane donna che avrebbe voluta una vita diversa. E se la Storia, quella con la S maiuscola, che procede asfaltando esistenze di singoli e nazioni intere, ha altri programmi per te. E’ accaduto nella storia vera di Rehana,  che da grande voleva fare l’avvocato e che il padre avrebbe voluto alla guida della fattoria di famiglia nel Kurdistan siriano.  Nè uno né l’altro, Rehana divenne una combattente, un cecchino che nella sua carriera totalizzò 100 obiettivi abbattuti.

100 di quei fantasmi neri e barbuti che attraversano fugacemente i nostri schermi televisivi nei  telegiornali all’ora di cena.  100 nemici mortali in carne e ossa per lei e per il suo popolo e che hanno massacrato e stuprato minoranze come curdi e yazidi, sciiti e cristiani. E nei confronti dei quali Rehana comminava col suo Dragunov, fucile di precisione di produzione russa e nel suo personale tribunale privato – l’unico che le sarà mai dato di frequentare – una unica pena: sentenza capitale con esecuzione immediata. Un apprendistato di spietatezza necessaria cominciato a 12 anni, quando il padre volle che fosse lei stessa a dare il colpo di grazia al suo cagnolino, ferito a morte da uno sciacallo.

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Prodotto dal Teatro Nazionale di Genova con la regia di Simone Toni e la creazione visiva di Christian Zurita, L’angelo di Kobane rientra nella programmazione del percorso In_oltre e porta in scena,  fino al 15 dicembre alla Sala Mercato del teatro Modena, un testo che costituisce il terzo capitolo di una serie intitolata Arabian Nightmares. In cui il drammaturgo britannico Henry Naylor, dopo avere condotto approfondite ricerche, racconta  le complesse vicende medio-orientali privilegiando sempre lo sguardo di personaggi femminili. Dopo il debutto al Festival di Edimburgo nel 2016, Angel è stato rappresentato in Europa, Australia e Stati Uniti, ricevendo numerosi premi. Tradotto in francese, portoghese, russo, greco, norvegese, ha dato vita a diversi allestimenti originali. Nel 2018 è stato presentato anche a Genova all’interno della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea. La versione definitiva dello spettacolo dopo il debutto genovese sarà rappresentata anche a Roma dal 26 al 29 marzo al Teatro Brancaccino  e a Milano dal 31 marzo al 9 aprile, al Teatro Franco Parenti.

Nel 2014 l’ISIS assediò Kobane, una piccola città curda nella Siria settentrionale, vicina al confine con la Turchia, in uno dei momenti più tragici della guerra civile siriana. E nello stesso teatro di guerra oggi di nuovo sotto i riflettori,  nell’ennesimo tradimento dell’Occidente  nei confronti di questo  piccolo popolo coraggioso. E’ quello che è successo con l’intervento turco proprio contro quei curdi che nel 2015,  combattendo disperatamente, erano riusciti a respingere le milizie integraliste nonostante la disparità di forze in campo. In quella lunga battaglia ebbe un ruolo decisivo un gruppo di combattenti denominato YPJ, formato interamente da giovani donne. Che erano come tutte le ragazze del mondo e che ascoltavano Beyoncé negli auricolari, prima di ingaggiare uno scontro a fuoco.

Rehana era una di loro. “Volevo raccontare – ha spiegato Naylor – quanto e come i nostri sogni possano essere distrutti dalle ambizioni di qualcun altro. E di come una ragazza, che credeva nel pacifismo e nella giustizia, si sia ritrovata a imbracciare un fucile”. Lo fa in una scrittura potentissima, che fonde gusto del racconto e reportage di guerra come farebbe una graphic novel.   E  che non risparmia nulla allo spettatore, inchiodandolo  a un meccanismo di narrazione che scivola via senza un attimo di tregua fino all’epilogo fatale. Risolto in un colpo di scena che comincia a maturare fin dalle prime battute di uno spettacolo costruito intorno a un personaggio cui la brava Anna Della Rosa conferisce, da sola sul palco, corpo di donna nell’interpretazione di un monologo che la lascia senza fiato come in una corsa sotto il fuoco nemico. E che lascia lo spettatore con una certezza amara: il mondo è un posto feroce. Una rivelazione che può coglierti anche se sei una ragazza,  mentre fuggi sul cassone di un camion scoperto e ti volti indietro a guardare la tua casa per l’ultima volta. Nella luce di un giorno che muore in un tramonto di una bellezza incomprensibile. Di color lilla.

 

 

 

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