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Coronavirus, a uccidere è il collasso della sanità

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Una analisi statistica sull’andamento del virus e su cosa ci dicono questi dati rispetto allo stato del sistema sanitario italiano

di Alberto Violante*

Un paio di calcoli. Premessa di metodo, I calcoli sull’andamento del virus non andrebbero fatti né sui contagiati, né sui casi attivi. I casi attivi infatti dipendono dai contagiati oltre che dai guariti e dai morti. I contagiati sono persone a cui viene fatto un test. L’assenza di test (oltretutto in maniera assai differenziata sul territorio da Regione a Regione) fa sì che il numero sommerso di persone infettate sia assolutamente non stimabile con le attuali metodologie. Stime epidemiologiche future ci potranno dire l’entità verosimile del fenomeno. Vale la pena quindi di considerare solo i ricoverati, i ricoverati in terapia intensiva ed i morti. Questo perché si può ipotizzare che con una certa omogeneità sul livello nazionale si scelgano di ricoverare le persone che iniziano ad avere un certo livello di avanzamento della malattia (in particolar modo la comparsa di dispnea continua e una saturazione ossigena sotto il 90%).

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Nel grafico sopra ho messo i dati ufficiali delle tre serie. Se si eccettuano i giorni del 6, 19 e 22 marzo che sono scostamenti chiaramente dovuti a problemi di collezione dei dati ed andrebbero quindi ricostruiti (“interpolati” si dice tecnicamente) con la serie, per il resto la serie presenta un andamento chiaro. I ricoverati aumentano ad un ritmo giornaliero costante fino al 7 marzo. Poi si stabilizzano per qualche giorno, fino al 12 marzo e prendono una salita esponenziale fino al 21 marzo. Non altrettanto si può dire dei ricoverati in terapia intensiva, la cui linea mostra una certa piattezza durante la durata di questo mese da incubo. Questo è però ovvio.

Già nella settimana dal 9 marzo in poi infatti si è raggiunto un limite (tecnicamente un “cap”) oltre il quale i posti in terapia intensiva nelle regioni dove i ricoverati (quelli della linea blu) aumentano esponenzialmente possono essere aumentati di poche unità che proporzionalmente non fanno differenza alcuna (ed infatti la linea verde non si può muovere più di tanto 0 500 1000 1500 2000 2500 ricoverati Morti intensiva verso l’alto). Più interessante è vedere come i morti fino ad una fase iniziale del contagio stanno sotto la linea verde dei ricoverati in terapia intensiva, poi coincidono, ed infine a partire dal 14 Marzo iniziano ad avere anche loro un andamento esponenziale segno inequivocabile che un numero consistente di morti dalla terapia intensiva NON ci passa NEANCHE.

In altre parole l’incremento impazzito della mortalità è dato dal collasso del sistema sanitario che dai dati parte dal 14 marzo quando ancora si diceva pubblicamente “stiamo per crollare…”. Visto che non possiamo fidarci della ricezione nei reparti di terapia intensiva in che relazione stanno almeno i ricoveri con sintomi gravi con le morti? Purtroppo in una relazione quasi lineare. Una relazione quasi lineare vuol dire che al crescere di una certa quantità corrisponde grosso modo il crescere di un’altra quantità in maniera proporzionale. Se così fosse si potrebbe ipotizzare che in ospedale arrivano casi talmente gravi e stremati dalla malattia che INEVITABILMENTE dopo un certo periodo una parte di essi muore facendo perdere significato ed efficacia all’azione sanitaria.

Ho ipotizzato che questo periodo fosse di 6 giorni, basandomi su alcune testimonianze del personale sanitario. L’indicatore che misura l’appropriatezza della relazione ipotizzata (quella del rapporto tra ricovero con sintomi e morte dopo 6 giorni) si chiama R2 ed in questo caso misura 82% che è una quota veramente molto alta (considerando anche che ci sono tre giorni di dati sbagliati tra i ricoveri come abbiamo visto). Questo non vuol dire che chi entra in ospedale muore dopo sei giorni, ma che una quota relativamente fissa di chi ci entra purtroppo lo fa (il 31%). Possiamo ipotizzare che ciò non dipende dalla mortalità intrinseca della malattia. Questa dovrebbe essere infatti fissa al 3%, mentre la mortalità dei ricoverati è peggiorata con il tempo. La proporzione dei morti sui ricoverati è cioè cresciuta mano a mano che il numero dei ricoverati saliva. Il 9 Marzo prima della data che abbiamo identificato come quella del collasso del sistema sanitario era del 10%. Possiamo ipotizzare quindi che dipenda dalla gravità del livello a cui si fa arrivare il malato al momento del ricovero, impedendo alla medicina ospedaliera di “fare il miracolo”. In conclusione dopo questi due calcoli sappiamo due cose:

• Già da alcuni giorni in Italia si è costretti a fare scelte su chi far morire e chi no, vista la scarsità relativa di posti in terapia intensiva

• i protocolli di ricovero nel tentativo di diminuire il sovraccarico degli ospedali hanno contribuito ad aumentare in maniera criminale la mortalità ….

In tutto questo Confindustria pensa che non bisogna fermare la produzione.

*l’autore è un dirigente del SiCobas di Roma

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