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Macron decora in segreto al-Sisi, l’Italia non ha nulla da dire

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Legion d’onore all’aguzzino egiziano. Macron lo decora con discrezione proprio mentre in Italia si chiude l’inchiesta Regeni

Durante la sua visita di Stato a Parigi, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha decorato il suo omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi con la Legion d’Onore, la più alta distinzione francese, anche se ciò non è stato annunciato pubblicamente e non figurava nell’agenda ufficiale della visita: è quanto confermato dall’Eliseo dopo la diffusione di immagini da parte della presidenza egiziana. La cerimonia di consegna della Grand-Croix de la Légion d’Honneur ad al-Sisi, al centro di dure critiche da parte delle Ong per le violazioni dei diritti umani, incluso per il caso di Patrick Zaki, è stata diffusa in Francia dalla troupe della trasmissione ‘Quotidien’, di TMC. Reazioni indignate per la Legion d’Onore ad al-Sisi si stanno moltiplicando sui social network.

La visita di Stato in Francia s’è svolta tra il 6 e l’8 dicembre. Abdel El Fattah Sisi è alla testa di uno dei regimi più repressivi del mondo. Il maresciallo Sisi è stato ricevuto dal presidente francese Emmanuel Macron con grande sfarzo ma con una discrezione – per non dire opacità – accuratamente orchestrata dal Palazzo dell’Eliseo, che ha volutamente tenuto a grande distanza la stampa francese. Un protocollo per il controllo delle informazioni degno di un regime autoritario come quello egiziano, con il quale il presidente francese assicura comunque di “essere in disaccordo”. Ben consapevole della natura ultrasensibile di questa visita, l’Eliseo lo ha annunciato all’ultimo momento. Ha persino invitato 17 Ong “a porre fine al sostegno incondizionato al governo egiziano” e ha chiesto il rilascio dei prigionieri politici in cambio della visita.

Al Sisi, mani sporche di sangue

Negli ultimi sette anni e il ritorno al potere dei militari, i rapporti delle Nazioni Unite, delle ONG per i diritti umani e le note diplomatiche si sono accumulati per documentare la sistematica tortura e la repressione senza precedenti della società civile egiziana. Tutti descrivono la dittatura di al-Sisi come molto più feroce di quella del suo predecessore, Hosni Mubarak, rovesciata dalla rivoluzione del 2011.

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Giornalisti, ricercatori, avvocati, LGBTQ, blogger, oppositori vengono sbattuti in prigione per terrorismo, nella “talaga”, nel frigorifero, perché questa detenzione discrezionale può durare anni come in Italia abbiamo appreso dalle vicende di Giulio Regeni e di Patrick Zaki, il primo trucidato dai servizi segreti egiziani, il secondo imprigionato dal 7 febbraio per i suoi post critici.

Più di 60.000 persone – una cifra sottovalutata secondo le ONG per i diritti umani – sono ora dietro le sbarre semplicemente perché hanno criticato il regime. La situazione è ulteriormente peggiorata con la pandemia di Covid-19, con nuove ondate di arresti di operatori sanitari critici e il rifiuto di visite ai detenuti.

Nel 2017, la prima visita di al-Sisi in Francia è già stata accolta male dal pubblico. Il miglior cliente francese di armi stava facendo notizia non per i suoi contratti scintillanti ma per la sua già consolidata macchina repressiva. I funzionari egiziani si erano lamentati con la diplomazia francese per l’ingratitudine della stampa francese e persino per le manifestazioni che avevano contestato l’incontro.

L’opacità dell’Eliseo

Tre anni dopo, la lezione è stata imparata. Sul versante francese, la comunicazione dell’Eliseo è stata minimalista per risparmiare la sensibilità del suo ospite. Una sola conferenza stampa è stata aperta ai media, dopo l’incontro tra Emmanuel Macron e Abdel Fattah al-Sisi. L’apertura è stata cronometrata e limitata a soli dieci giornalisti, ufficialmente a causa della crisi sanitaria.

Secondo Mediapart, un sito di inchiesta che Popoff consulta spesso, la Presidenza egiziana aveva chiesto al Palazzo dell’Eliseo di non permettere ad alcun giornalista di seguire i movimenti e gli incontri ufficiali del Raïs, a parte la conferenza stampa di lunedì 7 dicembre. Solo le telecamere della presidenza egiziana hanno immortalato la corona di fiori posta ai piedi del monumento del soldato sconosciuto, la visita agli Invalides o la cerimonia di conferimento del più alto grado della Legione d’Onore a Sisi.

Come riportava il programma Quotidien del quotidiano TMC, per ottenere queste immagini e scoprire cosa è successo in quei tre giorni nella Repubblica francese, bisogna andare sul sito ufficiale di una dittatura, quello della presidenza egiziana. È lì, e solo lì, che si può scoprire lo spessore e la qualità del tappeto rosso steso dalla Francia al dittatore egiziano. È densa come i silenzi e la segretezza degli attori istituzionali coinvolti: l’Eliseo, Matignon, i Ministeri degli Affari Esteri, le Forze Armate, l’Economia, il Municipio di Parigi, il Senato, ecc.

Tutti loro sono stati attenti a non fare i tradizionali rapporti/comunicati/selezioni sui loro siti web ufficiali e social network. Solo il Presidente del Senato Gérard Larcher ha pubblicato con orgoglio un video sul suo account Twitter per dire quanto fosse “felice” di dare il benvenuto ad al-Sisi.

Al Quai d’Orsay, siamo per lo meno “molto sorpresi” dalla svolta degli eventi. “È molto insolito e persino strano che una visita di un capo di Stato sia proibita alla stampa”, dice una fonte che si occupa di questi viaggi ufficiali da diversi anni.

Contattato da Mediapart, l’Eliseo nega qualsiasi pressione da parte della presidenza egiziana e qualsiasi ostacolo ai giornalisti della parte egiziana e francese. L’Eliseo assicura di non aver “né nascosto né impedito nulla” e quando ha dovuto limitare l’accesso alla stampa, ha invocato la pandemia di Covid-19, il protocollo o ha fatto riferimento al Quai d’Orsay, che ha gestito la visita fuori dell’Eliseo.

Vietato l’ingresso alle domande dei giornalisti

La visita di Stato, la più importante nella gerarchia del protocollo, simbolo di amicizia tra due Paesi, si è aperta con una cerimonia ufficiale di benvenuto lunedì 7 dicembre a Les Invalides, seguita da un incontro con Emmanuel Macron al Palazzo dell’Eliseo. Abdel Fattah al-Sisi ha poi incontrato il presidente dell’Assemblea nazionale Richard Ferrand e la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo, che si è inchinata davanti a lui e si è rallegrata “di collaborare con il governo del Cairo e dell’Egitto”, secondo la presidenza egiziana.

In realtà, secondo Mediapart, l’incontro sarebbe stato più burrascoso che all’Eliseo, anche se lì le telecamere sono state di nuovo vietate. La discussione con Anne Hidalgo è stata dura perché gli ha ricordato i suoi disastrosi risultati in materia di diritti umani”, ha detto un membro del personale comunale che ha voluto rimanere anonimo. «Gli ha chiesto di liberare i prigionieri di coscienza e si è offerta di dare la cittadinanza onoraria a giornalisti, ricercatori e blogger imprigionati perché accusati dal regime di “sostenere il terrorismo”».

Martedì 8 dicembre, Sisi si è recato all’Arco di Trionfo per una corona di fiori sulla tomba del milite ignoto prima di un incontro con il primo ministro Jean Castex e il presidente del Senato Gérard Larcher. Il momento culminante della visita di Stato è stata la presentazione della Grand’croix de la Légion d’honneur, la più alta onorificenza dell’ordine della Legione d’Onore.

L’Eliseo assicura di aver informato i media. Come si legge sul sito web della “Gran Cancelleria della Legione d’Onore”, la Gran Croce della Legione d’Onore è una tradizione nell’ambito delle visite di Stato, ma non è affatto obbligatoria. In ogni caso, è il Capo dello Stato che decide se concederla o meno a personalità straniere: “Egli stesso conferisce le insegne di Gran Croce e Gran Ufficiale degli ordini nazionali ai dignitari che esprimono il desiderio di riceverle”. Decora anche alcune personalità francesi o straniere nelle sale di ricevimento del Palazzo dell’Eliseo”, si legge nel sito web. Lo conferma Mediapart la Gran Cancelleria della Legione d’Onore, che ricorda l’articolo R131 del Codice della Legione d’Onore: «La Legione d’Onore è uno strumento diplomatico ad esclusiva discrezione del Capo dello Stato. Il Gran Cancelliere viene semplicemente informato in anticipo».

Contrariamente a quanto dice l’Eliseo, Emmanuel Macron ha scelto di premiare Sisi. Non aveva alcun obbligo di farlo. «La decorazione di Sisi è una macchia indelebile sulla storia dei diritti umani di Macron e Le Drian», ha detto a Mediapart un diplomatico francese che era stato in contatto con l’Egitto. Sotto la copertura dell’anonimato, parla di “una visita di vergogna”. Su Twitter, Timothy E. Kaldas, ricercatore associato all’Istituto Tahrir per la politica del Medio Oriente, spiega: «Non c’è alcun motivo valido per dare la più alta decorazione francese a un uomo che ha ordinato il massacro di quasi 1.000 persone in un giorno [il massacro di Piazza Rabaa]. Non ha niente a che fare con il parlare con i leader sgradevoli perché il mondo è in disordine. Macron lo sa, per questo ha cercato di nasconderlo».

Ciò che è ancora più lunare è che nemmeno la stampa egiziana – totalmente controllata dalle autorità – sembra aver avuto il permesso di parlare della Legione d’Onore assegnata ad al-Sisi. Così il quotidiano Al Balad rivela la notizia citando il quotidiano belga Le Soir, che a sua volta ha citato il programma Quotidien! Un giornalista egiziano che seguiva la visita ufficiale assicura a Mediapart non sarebbe stato a conoscenza di questa decorazione.

Il sito della presidenza egiziana parla solo della cena offerta lunedì 7 dicembre al Palazzo dell’Eliseo in onore di Sisi, ma non della Legione d’Onore. “La convergenza di vedute che abbiamo avuto durante le nostre discussioni potrebbe riaffermare la nostra volontà politica di consolidare la partnership strategica tra Egitto e Francia e di costruire su di essa per realizzare le ambiziose aspirazioni dei nostri due popoli amici”, accoglie con favore la Presidenza egiziana. Sempre sul sito di quest’ultimo, scopriamo che il tappeto rosso è stato steso fino alle ruote dell’aereo del raïs prima di ripartire per il Cairo.

Sarà difficile, dopo una tale accoglienza, chiedere più che occasionali liberazioni, come quelle dei tre leader dell’ONG EIPR che sono stati liberati in extremis prima della visita dopo una mobilitazione internazionale.

Il silenzio italiano su Macron

In realtà il regime di Sisi può reprimere impunemente visto che ha l’immancabile sostegno delle maggiori potenze occidentali in nome della stabilità della regione e della lotta al terrorismo è diventata la retorica copertura dei regimi autoritari.

Il suo predecessore di Macron, Nicolas Sarkozy aveva, a questo livello, giocato la carta della trasparenza e aveva permesso, nel 2007m di piantare la tenda di uno dei leader più sanguinari del mondo Muammar Gheddafi sotto le insegne della Repubblica francese. Era il 7 dicembre 2007. Sarkozy, agli ultimi mesi all’Eliseoprovocò un tuono di indignazione stendendo il tappeto al dittatore libico in cerca di rispettabilità che ha piantato la sua tenda nei giardini del Marigny Hotel, la residenza ufficiale dei capi di stato stranieri in visita in Francia. Cinque giorni di onori mai visti prima sotto la Quinta Repubblica, nonostante una valanga di critiche. Ufficialmente si trattava di parlare di “migrazione”, in realtà di negoziare succosi contratti con il colonnello alla guida di un Paese ricco di petrolio.

Non si registrano particolari reazioni del governo o della politica italiana sebbene queste ore siano cruciali nell’inchiesta Regeni. Proprio ieri il volto di un agente dell’Nsa, il servizio segreto egiziano, coinvolto nel caso Regeni, è stato mostrato per la prima volta al Tg3. Nell’immagine, poco più di un fotogramma, si vede un uomo giovane, capelli corti scuri, profonde rughe di espressione e naso pronunciato. Secondo la procura di Roma, riferisce il servizio tv, è l’agente che la sera del 7 gennaio 2016 sta spegnendo la telecamera nascosta che ha appena registrato l’incontro tra Mohammed Abdallah, capo degli ambulanti del Cairo, e Giulio Regeni. Abdallah ha già denunciato il ricercatore italiano e i servizi segreti egiziani sospettano che Regeni sia una spia. Il sindacalista dopo essersi congedato da Regeni chiama al telefono una persona che chiama «capo» al quale chiede se deve spegnere la telecamera o tenerla accesa e di mandare qualcuno ad aiutarlo con l’apparecchio. A quel punto subentra l’«uomo che appare nelle immagini mostrate dal Tg3, che sarebbe per i pm romani uno dei 13 soggetti coinvolti – oltre ai 4 indagati – nel rapimento e nell’omicidio del giovane italiano.

L’inchiesta Regeni

Prove cancellate, reticenze e timide ammissioni, tentativi di depistaggio. Dalle carte dell’indagine sull’omicidio di Giulio Regeni emergono le tante, tantissime, difficoltà con cui gli inquirenti italiani hanno dovuto fare i conti per cercare di arrivare ad una «verità» su quanto accaduto al Cairo quasi cinque anni fa. Il sostituto procuratore Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo, ha firmato l’atto di chiusura delle indagini a carico di quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani accusati a vario titolo del sequestro, delle sevizie e dell’omicidio del ricercatore italiano. Sulla conclusione delle indagini è intervenuto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. «Il quadro probatorio consentirà di poter celebrare un processo italiano, con le nostre regole e garanzie, per assicurare la verità su una morte che si è rilevata efferata, cruenta e crudele. Vogliamo la verità e come governo continueremo ad operare tutti i passi necessari e valuteremo ogni iniziativa», ha detto. Per la quinta persona indagata, sempre uno 007, la Procura ha chiesto l’archiviazione. E proprio dall’atto con cui si chiede di fare cadere le accuse per Mahmoud Najem, emergono alcuni particolari inediti delle indagini. «Sul piano indiziario – scrivono i magistrati – devono essere valutate le condotte di alcuni ufficiali della National Security: all’inizio viene negata dagli stessi ogni azione nei confronti di Regeni, poi si ammette di averlo attenzionato ma solo per tre giorni, infine si ammette di averlo controllato per un periodo più lungo». I pm di piazzale Clodio, inoltre, sono convinti che alcuni elementi di prova di quanto avvenuto il 25 gennaio del 2016, quando Regeni venne prelevato dagli agenti «in borghese», forse sono stati scientemente cancellati. Per l’accusa è, infatti, «verosimile» che siano stati eliminati i video della metropolitana del Cairo. «Ufficiali appartenenti al team investigativo – è detto nella richiesta di archiviazione – riferiranno di avere visionato i video della metropolitana del Cairo, circostanza che dapprima sarà smentita e che, poi, porterà verosimilmente alla cancellazione dei video di interesse». Nel provvedimento si afferma inoltre che «il 24 marzo sera i vertici della National Security indicheranno ufficialmente i cinque componenti della banda, deceduti, come i responsabili dei fatti in danno di Regeni. Successivamente ufficiali della National Security saranno arrestati dalla Procura egiziana per omicidio premeditato plurimo e falso». Per quanto riguarda il movente «deve escludersi certamente che sia da ricondurre a ragioni sessuali, ad una rapina, ad una lite per strada o ad attività di raccolta di informazioni per conto di servizi di informazione». Il movente «trae origine – scrivono i magistrati – in occasione delle attività di osservazione partecipata delle attività del sindacato indipendente dei rivenditori di strada il cui capo, il sindacalista Abdallah, equivocando le ragioni per cui Regeni gli parla di un bando della fondazione inglese Antipode, lo denuncia come ‘spia’ alla National Security». E mentre i media egiziani hanno sostanzialmente ignorato la notizia della chiusura indagini, sulla vicenda è tornato il presidente della Camera, Roberto Fico, che ha confermato l’interruzione dei rapporti diplomatici fra la Camera dei deputati e il Parlamento egiziano, decisa da Montecitorio nel novembre 2018. «Resistere», ha infine scritto la mamma di Giulio, Paola Deffendi, sui social.

 

 

 

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