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#FreeAssange, niente estradizione: prigioni Usa disumane

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Caso Assange: bloccata l’estradizione del fondatore di Wikileaks che rischia fino a 175 anni di carcere

Il 4 gennaio la Magistratès Court di Londra ha respinto la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Usa. «Abbiamo apprezzato la decisione di non estradare Julian Assange negli Usa e riteniamo importante che la corte abbia riconosciuto che, a causa delle sue condizioni di salute, Assange avrebbe rischiato di subire maltrattamenti nel sistema penitenziario statunitense», così Nils Muižnieks, direttore per l’Europa di Amnesty International. «Tuttavia le accuse nei confronti di Assange non avrebbero mai dovuto essere presentate: erano politicamente motivate e il governo del Regno Unito non avrebbe mai dovuto aiutare gli Usa nell’incessante ricerca dell’estradizione», ha proseguito Muižnieks. «Constatare che la decisione della corte è corretta e salva Assange dall’estradizione non assolve le autorità del Regno Unito dall’aver voluto prendere parte a un procedimento politico nell’interesse degli Usa e aver mandato a processo la libertà d’informazione e la libertà d’espressione. Si è trattato in ogni caso di un terribile precedente di cui gli Usa sono responsabili e il Regno Unito è complice», ha concluso Muižnieks.

Prime reazioni di sollievo ed entusiasmo fra i sostenitori del fondatore di WikiLeaks, gli attivisti di organizzazioni per la difesa dei diritti e della libertà di stampa, nonché fra giornalisti e politici di orientamento vario per il rifiuto dell’estradizione negli Usa di Julian Assange opposto oggi in primo grado dalla giudice britannica Vanessa Baraister. «È una grande notizia», ha twittato Glenn Greenwald, giornalista investigativo che fu in prima fila 10 anni fa nella diffusione dei documenti segreti (imbarazzanti per Washington) svelati da WikiLeaks, deplorando che «la giudice abbia sposato la maggior parte delle teorie d’accusa dei procuratori Usa», ma compiacendosi che abbia «in ultima analisi bollato il sistema carcerario americano come troppo disumano per permettere l’estradizione». Analogo il commento della Freedom of the Press Foundation, nota ong statunitense, che ha chiosato: «L’accusa contro Julian Assange è una delle minacce più pericolose alla libertà di stampa da decenni. Il verdetto rappresenta un enorme sollievo. Anche se la giudice non ha preso la sua decisione a tutela della libertà d’informazione, ma decretando essenzialmente il sistema carcerario Usa troppo repressivo, si tratta comunque di un risultato che protegge i giornalisti». Dal fronte politico britannico, apprezzamento per il verdetto arriva sia dall’ex ministra ombra laburista Diane Abbott, vicina alla sinistra dell’ex leader Jeremy Corbyn e fra i pochi a esporsi apertamente nella stessa opposizione contro il tipo di accuse rivolte ad Assange; sia dall’ex ministro e veterano conservatore David Davis, uomo di idee liberal-libertarie in materia di giustizia, secondo il quale «l’estradizione non può essere usata per dare vita a persecuzioni politiche».

Niente estradizione negli Usa, dunque, per Julian Assange e rilascio dal carcere per evitare rischi di suicidio. Lo ha stabilito la giudice distrettuale britannica Vanessa Baraister nel verdetto letto nella sede della corte londinese di Old Baileys e accolto dalle lacrime di Stella Morris, compagna dell’attivista australiano, e dal suo abbraccio in aula con Kristinn Hrafnsson, attuale direttore di WikiLeaks. Baraister si è detta persuasa della «buona fede» degli inquirenti americani e ha respinto le contestazioni della difesa contro i timori di un processo iniquo Oltreoceano. Ma ha negato comunque l’estradizione, definendo insufficienti le garanzie date dalle autorità di Washington a tutela dal pericolo di un eventuale tentativo di suicidio del fondatore di WikiLeaks. «Stabilisco che l’estradizione sarebbe troppo oppressiva per ragioni di salute mentale e ordino il suo rilascio», ha concluso la giudice. Per ora Assange resta in custodia in attesa dell’indicazione – in giornata – di una cauzione sulla base della quale potrà essere scarcerato nelle prossime ore, in modo da aspettare l’esito dei possibili ricorsi da libero cittadino.

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Il Messico, intanto, ha offerto asilo politico a Julian Assange. Lo hanno reso fonti ufficiali, nel giorno in cui la giustizia britannica ha respinto l’istanza di estradizione negli Usa del fondatore di Wikileaks. L’offerta ad Assange è stata annunciata dal presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador in conferenza stampa. Gli Usa, infine, continueranno a chiedere l’estradizione di Assange. Lo afferma in un comunicato il portavoce del dipartimento di Giustizia Usa, Marc Raimondi. «Sebbene siamo estremamente delusi dalla decisione finale della corte – spiega – siamo lieti che gli Stati Uniti abbiano prevalso su ogni questione di diritto sollevata. In particolare, la corte ha respinto tutti gli argomenti del signor Assange riguardanti la motivazione politica, il reato politico, il giusto processo e la libertà di parola. Continueremo a chiedere l’estradizione di Assange negli Stati Uniti».

Di seguito il nostro articolo alla vigilia dell’udienza di oggi:

«Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale le nazioni si sono unite e hanno creato le basi epocali per le Nazioni Unite e per la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Anche gli europei hanno creato il consiglio d’Europa, la Corte europea dei diritti dell’uomo, e hanno integrato nella legislazione nazionale, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo intesi come diritti umani inderogabili, e che non possono essere mai negati». John Shipton parla così in difesa del figlio Julian Assange, del quale a Londra sarà resa oggi (lunedì 4 gennaio) la sentenza finale che deciderà il suo destino. Lo fa in una testimonianza video raccolta da Imbavagliati, Festival Internazionale di giornalismo civile, ideato e diretto da Désirée Klain, che dal 2015 dà voce a quei giornalisti che nei loro paesi hanno sperimentato il bavaglio della censura e la persecuzione di regimi dittatoriali. «Nel Medio Oriente – continua il padre di Assange – ci sono 38 milioni di rifugiati e 5 o 6 milioni di persone sono morte. Questi sono grandi crimini di guerra, sono stati commessi da forze occupanti. Sono anche crimini contro l’umanità, quindi crimini contro di noi, le nostre madri, i nostri padri, bambini, fratelli, figli. Queste persone bramano giustizia, e lottare per Julian, contro l’abrogazione dei suoi diritti, battersi vigorosamente per questa causa, porterà un granello di speranza e giustizia a quei milioni di persone e proteggerà anche noi contro gli Stati che si stanno prendendo la libertà, di distruggere le comunità, le persone, madri, padri. Ci stanno annientando per conservare i loro privilegi. Grazie mille». Giornalista, programmatore e attivista australiano, Assange è cofondatore e caporedattore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks, che dal 2006 pubblica documenti da fonti anonime e informazioni segrete. Appelli per la sua liberazione si stanno moltiplicando in ogni parte del mondo. L’accusa che viene formulata ad Assange dal Dipartimento di Giustizia americano, infatti, per molti costituisce un grave precedente per tutto il mondo della stampa.

Il fondatore di WikiLeaks rischia fino a 175 anni di carcere per aver distribuito, dal 2010 in poi, oltre 700.000 documenti classificati sulle attività militari e diplomatiche statunitensi, in particolare in Iraq e Afghanistan. Diverse organizzazioni per i diritti umani e la libertà di stampa, in mezzo mondo, chiedono il suo rilascio. Il 49enne australiano è stato arrestato e portato nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra nell’aprile 2019, dopo aver trascorso sette anni all’interno delle mura dell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Gli Stati Uniti hanno immediatamente richiesto la sua estradizione in relazione all’indagine di spionaggio avviata nel 2010.

Porte aperte alla Corte londinese di Old Bailey per l’udienza in cui è prevista la lettura della sentenza di primo grado della giudice distrettuale britannica Vanessa Baraister, sulla controversa richiesta d’estradizione negli Usa, accusato dalle autorità americane di violazione dello Espionage Act (contestato per la prima volta in un caso di pubblicazione di documenti riservati sui media) e di presunta complicità in pirateria informatica con l’ex militare Chelsea Manning, per aver contribuito a svelare dal 2010 imbarazzanti file segreti di Washington: incluso materiale fatto filtrare dagli archivi del Pentagono relativo a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Mentre la difesa denuncia le imputazioni come infondate, come frutto di vendetta politica e come una minaccia alla libertà di stampa. L’attesa quasi unanime è comunque per un via libera all’estradizione, verdetto contro cui Assange potrà far ricorso nel caso fino alla Corte Suprema e magari alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: nell’ambito d’un iter destinato a durare mesi sulla carta, prima dell’eventuale timbro (scontato) del ministro dell’Interno britannico alla consegna effettiva all’alleato americano. La compagna di Julian, l’avvocata sudafricana dei diritti umani Stella Morris, che gli ha dato due figli nei 7 anni da lui trascorsi da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, è stata fra i primi stamane ad arrivare in aula: ieri ha bollato la possibile estradizione come «politicamente e legalmente disastrosa» per la reputazione del Regno Unito. Lo stesso ha detto Kristinn Hrafnsson, giornalista investigativo islandese e attuale direttore di WikiLeaks; e denunce contro la detenzione e il procedimento legale a cui è sottoposto Assange sono venute da Amnesty International, Reporters Sans Frontières, da una commissione Onu, nonché da figure pubbliche, politici, celebrità, sostenitori dell’ex primula rossa australiana.

Lo scorso ottobre, il sistema giudiziario britannico ha esaminato la richiesta di estradizione durante un’udienza di quattro settimane presso l’Old Bailey Criminal Court di Londra. L’obiettivo era quello di determinare se soddisfaceva una serie di criteri legali, e in particolare se non fosse sproporzionata o incompatibile con i diritti umani.

Le 18 accuse contenute nell’atto d’accusa sono state calibrate per soddisfare un imperativo: impedire che Julian Assange possa rivendicare il suo status di giornalista e quindi beneficiare della protezione del Primo Emendamento della Costituzione statunitense a tutela della libertà di espressione. Durante questo processo di estradizione, uno dei procuratori ha sistematicamente ricordato ai testimoni della difesa che l’imputato non era perseguito per aver pubblicato informazioni riservate, ma per aver messo in pericolo la vita di soldati e informatori militari statunitensi, mettendo in rete alcuni documenti senza censurare i nomi che vi figuravano.

Nell’ottobre 2019, durante un’udienza procedurale a Londra, Assange è apparso disorientato e indebolito, secondo le testimonianze dei giornalisti. Aveva protestato, con difficile eloquenza, contro il trattamento a cui era stato sottoposto. “Non riesco a pensare correttamente. Non capisco come questo possa essere giusto. Questa superpotenza [gli Stati Uniti] ha avuto 10 anni per prepararsi a questo caso e non riesco nemmeno ad avere accesso ai miei documenti”.

Suo padre, John Shipton, ha detto già nel novembre 2019 che suo figlio “potrebbe morire in prigione”. Nel febbraio 2020, un gruppo di 117 medici di 18 paesi ha accusato il governo britannico sulla rivista medica The Lancet di violare il diritto fondamentale di Assange ad accedere all’assistenza sanitaria. “Se Assange dovesse morire in una prigione britannica, sarebbe stato torturato a morte”, hanno detto i firmatari. Durante il processo di estradizione nell’autunno del 2020, diversi esperti hanno descritto le atroci condizioni di vita nelle ali di alta sicurezza in cui sarebbe stato detenuto.

Queste condizioni di detenzione sono state ripetutamente denunciate anche dal relatore dell’ONU sulla tortura. Il 22 dicembre, in una lettera aperta a Donald Trump, Niels Melzer ha dichiarato di aver fatto visita a Julian Assange, accompagnato da due medici indipendenti, e ha ritenuto che “la sua vita è ora in pericolo”. Soffre “di un provato problema respiratorio che lo rende estremamente vulnerabile alla pandemia di Covid-19 scoppiata di recente nella prigione”, ha insistito.

Nella lettera, il relatore dell’ONU chiede al presidente degli Stati Uniti di perdonare Assange, perché “non è, e non è mai stato, un nemico del popolo americano”, che “la sua organizzazione, WikiLeaks, combatte la segretezza e la corruzione in tutto il mondo e, quindi, agisce nell’interesse pubblico sia del popolo americano che dell’umanità nel suo insieme”. Perdonandolo, riabiliterebbe “un uomo coraggioso che ha sofferto ingiustizie, persecuzioni e umiliazioni per più di un decennio semplicemente per aver detto la verità”, ha detto, spiegando che il fondatore di WikiLeaks non ha hackerato o rubato nessuna delle informazioni da lui pubblicate, ma le ha ottenute “da fonti e documenti autentici, allo stesso modo di qualsiasi altro giornalista investigativo serio e indipendente”.

Nelle ultime settimane, il presidente degli Stati Uniti ha ricevuto intense richieste, per esempio da Edward Snowden, di perdonare il fondatore di WikiLeaks. Al processo di estradizione, l’avvocato di Julian Assange, Jennifer Robinson, ha detto che Trump si è offerto di graziarlo nel 2017 se avesse fornito la fonte dell’hacking delle email del Comitato Nazionale Democratico durante la campagna presidenziale del 2016. La sua ragazza, Stella Morris, in un’intervista rilasciata domenica al settimanale tedesco Der Spiegel, ha detto che Assange potrebbe non sopravvivere a lungo se i tribunali decidessero di estradarlo.

Il fondatore di WikiLeaks continua a ricevere sostegno in nome della libertà di informazione e della libertà di stampa, “indipendentemente da ciò che la gente pensa di Assange”, hanno detto diversi giornalisti. Nel gennaio 2020, in un articolo del Washington Post, l’informatore Edward Snowden ha paragonato le accuse del sistema giudiziario brasiliano contro il giornalista Glenn Greenwald alle accuse contro Julian Assange: sono “tentativi di scoraggiare le indagini più incisive dei giornalisti più coraggiosi e di creare un precedente che potrebbe congelare le penne dei più irascibili”, ha scritto.

Nei giorni scorsi, le organizzazioni per i diritti umani e la libertà di stampa hanno chiesto il suo rilascio. Reporter Senza Frontiere sottolinea che è stato preso di mira “per i suoi contributi al giornalismo” e sta trasmettendo una petizione che ha raccolto più di 108.000 firme.

Nel Regno Unito, il National Union of Journalists (NUJ) ha chiesto al governo britannico di prendere posizione su una decisione che potrebbe seriamente compromettere la libertà di stampa. In un editoriale del 18 dicembre, The Guardian ha detto in un editoriale del 18 dicembre che “gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto muovere accuse contro il fondatore di WikiLeaks” e che “questo attacco alla libertà di stampa deve essere respinto”.

Una settimana dopo, Le Monde diplomatique ha denunciato l’abbandono di Assange da parte di alcuni media. “C’è stato un tempo in cui i media mainstream consideravano Assange un eroe della libertà di parola: WikiLeaks pubblicò le sue rivelazioni attraverso i principali giornali. Ma dalla pubblicazione delle lettere interne del Partito Democratico degli Stati Uniti nel 2016, i giornalisti hanno lasciato andare l’informatore, che sta languendo in prigione per aver detto la verità».

Nel corso degli anni, Julian Assange ha concentrato le critiche per diversi motivi: le accuse di violenza sessuale e stupro mosse contro di lui in Svezia nel 2010 da due donne (nel primo caso, i fatti sono ormai caduti in prescrizione; nel secondo, l’accusa è stata ritirata nel novembre 2019 dall’ufficio del procuratore svedese, che ha ritenuto che “è passato molto tempo dai fatti, con la conseguenza che le prove sono state indebolite”); la sua gestione autoritaria ed egocentrica di WikiLeaks; i sospetti di collusione con la Russia nella diffusione, nel 2016, in un momento chiave della campagna, di migliaia di email hackerate del Partito Democratico e del team di Hillary Clinton, che hanno contribuito a screditare il candidato. E, più in generale, il suo compiacimento per il potere russo e la sua strategia geopolitica.

Era il 2010 quando un video rende nota WikiLeaks in tutto il mondo, quello di un raid aereo guidato da due elicotteri dell’esercito americano su Baghdad tre anni prima, uccidendo 18 civili.

Quell’anno, WikiLeaks ha fatto un passo avanti pubblicando, in collaborazione con i maggiori quotidiani, decine di migliaia di documenti dell’esercito americano sulla guerra in Afghanistan e poi sull’occupazione dell’Iraq (luglio e ottobre 2010), seguiti da 250.000 telegrammi del Dipartimento di Stato (novembre e dicembre 2010). L’anno successivo, l’organizzazione ha rivelato documenti riservati dell’amministrazione giudiziaria militare statunitense sui detenuti di Guantanamo, accusando Washington di detenzione arbitraria e tortura. Nel frattempo, il sistema giudiziario statunitense ha aperto un’indagine di spionaggio contro Assange. E nel dicembre 2010 è stato arrestato nel Regno Unito con l’accusa di stupro in Svezia – che sta contestando. Non è stato accusato, ma non è comparso in risposta a un mandato di comparizione della magistratura svedese, che lo ha quindi deferito all’Interpol per un interrogatorio.

Qualche giorno dopo è stato rilasciato su cauzione e posto agli arresti domiciliari. Dopo aver esaurito tutti i suoi appelli nel Regno Unito per sfuggire all’estradizione in Svezia, nel 2012 l’Ecuador gli ha offerto asilo politico. Julian Assange si è poi rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, senza poterne uscire, sotto la minaccia di un arresto da parte della polizia britannica.

Lì ha ricevuto molte personalità, tra cui Lady Gaga, Pamela Anderson, Eric Cantona, Michael Moore, ma anche parlamentari, come Jean-Luc Mélenchon, che nel 2016 ha spiegato che avrebbe concesso la nazionalità francese ad Assange e Snowden se fosse stato eletto presidente della Repubblica. Nel 2019, i rapporti tra il nuovo presidente ecuadoriano Lenin Moreno, eletto nel 2017, e Assange diventeranno tesi. Moreno ha accusato WikiLeaks di essere dietro lo scandalo di corruzione “INA Papers” che lo coinvolge, e Assange di aver tentato di creare un “centro di spionaggio” nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Risultato, Moreno ritirò il suo asilo così l’11 aprile 2019, il fondatore di WikiLeaks è stato arrestato dalla polizia britannica. Nel 2012 è stato condannato dal tribunale di Londra a Southwark a 50 settimane di carcere per violazione della libertà vigilata.

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