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Le piste di don Milani sono le stesse dei partigiani

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Il dibattito al Festival della Resistenza di Fosidnovo a cento anni dalla nascita del maestro di Barbiana

“Il fine di ogni atto educativo è portare l’individuo alla liberazione”, diceva don Lorenzo Milani, di cui questo anno cade il centenario dalla nascita. E celebriamo il rivoluzionario priore di Barbiana in una serata a lui dedicata al Festival della Resistenza, Fino al cuore della rivolta, appuntamento antifascista ineludibile a Fosdinovo, in Lunigiana.

“Non partiamo dalla sua nascita, ma dalla sua morte nel 1967 – esordisce lo storico Angelo D’Orsi -, lo stesso anno di Che Guevara. Due personaggi morti giovani, che hanno stimolato la rivoluzione dell’anno successivo, e se la faccia di Don Milani non è finita sulle magliette, la sua personalità non è meno iconica”.

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E sempre nel 1967 esce, postumo, Lettera a una professoressa, il libro più rivoluzionario pubblicato nell’Italia del dopoguerra.  E al dibattito al Festival della Resistenza, partecipa anche Edoardo Martinelli, ex ragazzo di Barbiana, che ha conosciuto don Milani che non aveva ancora 14 anni, a ha partecipato alla stesura di Lettera a una professoressa e Lettera ai giudici, lavoro collettivo di tutta la comunità, in polemica con alcuni cappellani militari. Lettera che non risparmiò a Don Milani una condanna postuma da parte dei nostri tribunali per apologia di reato.

“I modi, attraverso i quali il nostro maestro sviluppava la didattica – racconta Martinelli -, erano legati all’ hic et nunc. La scuola è sempre in un contesto di realtà, ci diceva il nostro maestro.

Le lezioni prendevano forma dalla cronaca di tutti i giorni, che leggevamo sul giornale o che ascoltavamo narrata dai visitatori che salivano a trovarci. don Milani non ha mai fatto una lezione frontale. A Barbiana abbiamo creato la ‘pedagogia dell’aderenza’, l’aderenza fra la parola e il pensiero”.

Purtroppo la scuola italiana oggi va in direzione opposta e contraria rispetto al sentiero da lui tracciato.

Raffaele Tumino, pedagogista dell’Università di Macerata, sottolinea la radicale rottura di don Milani con l’educazione tradizionale, in un periodo in cui “la defascistizzazione aveva colpito solo i libri di testo, non la mentalità, l’autoritarismo e il classismo”. Contro questo ha combattuto il priore di Barbiana, con lungimiranza, preveggenza: “L’educatore deve essere schierato (e in questo ci ricorda Gramsci), un buon educatore non toglie, ma aggiunge”. E Martinelli ricorda che Don Milani aveva aggiunto al crocifisso nelle aule le immagini di Lumumba, Gandhi, Gramsci, che definiva ‘Santi laici’.

Il Priore di Barbiana non sarebbe stato interessato ad essere collocato sopra un piedistallo o dentro un tabernacolo, e non è quello che vogliamo fare stasera.

Ci piace però continuare la sua lotta contro una “scuola che vive solo per sé stessa” (da Lettera a una professoressa) e recuperare il suo spirito.

“La parola è essenziale, la parola ci permette di appropriarsi del mondo, anche per poterlo cambiare, è solo la lingua che rende uguali. Dove andrai mai se non sai nominare quello che vedi?”.

Ho avuto l’onore di avere un preside che dieci anni fa non ha fatto appendere il crocifisso dietro alle cattedre ma un cartello con una frase di don Milani: “ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani”.

E chissà se Nanni Moretti pensava a don Milani recitando “le parole sono importanti” in Palombella rossa…

 

 

 

 

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