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Mattarella e i manganelli, un raggio di normalità

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Il Quirinale non l’ha mandate a dire a Piantedosi, tanto più notevole se si pensa che l’inquilino del Colle non è proprio uso a dar voce al dissenso

Ci sono momenti, nella vita come in natura, nella storia come in cronaca, in cui le cose sembrano andare per il verso giusto, seguire il loro corso naturale. Il sole splende, a tratti piove, le nuvole scorrono, d’inverno si gela senza che nessuno gridi al disastro, d’estate si boccheggia senza che si blateri di frittura globale. Gli studenti mettono a soqquadro la scuola, al più se ne tengono alla larga. Le guerre sono orribili puzzonerie mascherate da sante cause e i morti ammazzati non hanno colore, come le carogne, che mandano tutte lo stesso cattivo odore. Gl’influenzatori hanno il cervello in pappa e le tasche gonfie, gl’influenzati le tasche vuote come i cervelli. I cattivi lo sono davvero e i buoni un po’ meno. Insomma, tutto normale. Succede pure che la destra faccia cose di destra, tipo prendere la gente a manganellate, e la sinistra denunci le violenze di piazza. Vivaddio.

Così a Pisa, per mettere un freno alle manifestazioni pro Palestina e un po’ di sale in zucca ai dissidenti, la polizia usa le solite maniere forti. Il santo manganello che tanto piaceva al geniaccio di Prezzolini, al punto da invitare tristi figuri in fez e orbace a darci sotto, menandolo sulle schiene degli antifascisti. Diversamente da Prezzolini, gli entusiasti del manganello hanno trovato nel presidente della Repubblica un severo censore. È dai tempi di Tito Tazio che dal Quirinale non si levava una voce così netta, e mai prima d’ora un inquilino del sacro speco aveva osato tanto. Con parole che fanno il verso alle buone pratiche scolastiche, il capo dello stato ha tuonato contro il ministro dell’Interno Piantedosi, ex prefetto d’area leghista: «I manganelli sui ragazzi esprimono un fallimento. L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni».

Mattarella non l’ha mandate a dire ai manganellatori, insomma, e giù le solite polemiche circensi. Da settimane si susseguono manifestazioni in favore della Palestina o quel che ne resta, sottoposta al massacro israeliano senza che nessuno muova il classico dito per fermare il genocidio. Le flebili voci di dissenso sono annichilite dal circo mediatico e politico come gravi attentati alla memoria dell’Olocausto ebraico. Nelle piazze il dissenso si reprime a manganellate, a Roma come a Pisa, a Milano come a Firenze. La tirata d’orecchi ai manganellatori appare dunque una reprimenda di buon senso in tanto vociare a sproloquio e a comando. Tanto più notevole se si pensa che proviene dall’inquilino del Colle, non proprio uso a dar voce al dissenso. Certo, ci sarebbe stata bene una parola contro chi combatte battaglie di libertà mandando armi e incursori a Kiev e pattugliatori nel Mar Rosso, ma tant’è, sarebbe stato chiedere senz’altro troppo all’inquilino del Colle. In pectore per occupare qualche panchina palermitana a dar mangime ai piccioni panormiti.

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Eppoi Pisa mica è Genova, sbarrare qualche strada non è chiudere un intero centro cittadino, come nel 2001. Lì, nella “red zone” della Superba, si fecero le prove della democrazia totalitaria, oggi giunta a compimento. Che la nuova totaldemocrazia non abbia perso il vizio del manganello, come la vecchia destra che pure ha mutato pelo nell’ossequio ai desiderata di Tel Aviv e ai sodali di Washington, non è roba da poco. Un raggio di normalità nel bujo dei tempi nuovi. L’ironia d’essere diventati ciò che avete odiato, recita una scritta nell’“underground” di Dortmund. Nella storia come in cronaca, nella vita come in natura, le tragedie si tramutano sempre in farsa. Una risata ci seppellirà.

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.
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