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La prima volta in Italia della prima donna chiamata alla Magnum

Inge Morath. La vita, la fotografia” è la mostra che raccoglie alla Loggia degli Abati,  fino al 22 settembre, oltre 170 immagini della fotografa

Cosa ci fa un alpaca con la testa fuori dal finestrino di un’automobile in coda nel traffico di New York? Domanda superflua se si precisa che  quell’immagine in biano e nero, elegantemente vintage, è stata scattata a Broadway, il quartiere dei teatri e degli spettacoli dal vivo. E che l’autrice dello scatto che ferma per sempre quel momento di spaesamento urbano  è Inge Morath, la prima donna a essere reclutata nella storica agenzia Magnum.

E alla quale Palazzo Ducale di Genova dedica la  prima grande retrospettiva italiana.

ISRAEL. Jerusalem. 1958. Inge Morath, Austrian photographer. Self-portrait.

Inge Morath. La vita, la fotografia” è la mostra, curata da Brigitte Blüml–Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minu e prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos, che raccoglie nei locali della Loggia degli Abati,  fino al 22 settembre, oltre 170 immagini della fotografa di origini austriache.

Dalla Spagna all’ Italia, dalla Romania al Medioriente, dall’America all’Unione Sovietica, dall’Iran alla Cina: tanti sono i luoghi e i popoli incontrati da Morath in un percorso umano e professionale affrontato sempre con talento. Ma anche con una volontà di preparazione che la induceva a imparare la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni regione dove si recava per i suoi reportage. E che la rese capace di parlare correntemente tedesco, inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e mandarino. Nata a Graz, in Austria, nel 1923, dopo gli studi di lingue a Berlino, lavora come traduttrice e giornalista. E’ amica del fotografo Ernst Haas, per i cui reportage scrive i testi.  Perché Inge Morath non nasce  come fotografa, passione incontrata quasi per caso e divenuta infine la sua professione. In Austria la Morath era infatti traduttrice e giornalista e solo l’amicizia con Haas la introdusse nella scena della fotografia parigina di quegli anni.

USA. New York City. 1957. A Llama in Times Square.

 

E poi gli anni di Hollywood, con i ritratti di celebrità come Audrey Hepburn, o Clark Gable e Marilyn Monroe, fotografati  sul set di The Misfits (Gli spostati) e dove conobbe Arthur Miller, sceneggiatore e protagonista del film, che finì poi per sposare.  Il lato glamour di una fotografa che prediligeva aprire finestre sullo spazio più intimo dei soggetti che avvicinava nei suoi scatti.  E che intendeva la sua stessa professione come la pratica di una riflessione sull’esercizio della visione,  tra atto di fondazione della soggettività e spoliazione della propria interiorità. O,  nel modo in cui disse lei stessa: «Fotografare è un fenomeno strano. Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima».

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