Va in frantumi l’ennesimo teorema della Procura di Torino. Una vittoria per le lotte sociali del Paese mentre arriva il Pacchetto Sicurezza
Racconta l’Ansa che il 31 marzo le note di “Liberi liberi” di Vasco Rossi si alzavano dal gruppo di No Tav e antagonisti davanti al Palazzo di giustizia di Torino, militarizzato per l’occasione, per festeggiare “la bella giornata”: il maxi processo ai militanti del centro sociale Askatasuna era appena terminato con 18 condanne e 10 assoluzioni, ma l’accusa di associazione per delinquere è caduta perché, come hanno detto i giudici, “non sussiste”. La “Procura con l’elmetto” (così è stata più volte definita quella del capoluogo sabaudo) ha visto un’altra volta andare in pezzi il proprio “teorema” (così più volte è stato definito il suo operare a proposito di No Tav e movimenti sociali). La più clamorosa tra le mancate dimostrazioni del teorema è avvenuta tra il 2015 e il 2018 quando fu smontata in ogni grado di giudizio l’accusa di terrorismo per i No Tav. Ancora tre mesi fa, all’inaugurazione dell’anno dell’anno giudiziario, la procuratrice generale di Torino ha definito la città piemontese il «centro dell’eversione» nazionale.
Le cose non potrebbero essere più chiare
In aula la lettura della sentenza è stata accolta da applausi, cori e slogan. «Non c’è bisogno di aspettare le motivazioni della sentenza. Basta il dispositivo. Le cose non potrebbero essere più chiare. Il teorema della procura della Repubblica di Torino e della Digos non è stato solo smentito, è stato spazzato via, sbriciolato», scriverà il giorno dopo su il manifesto, Livio Pepino, ex magistrato democratico, da sempre vicino alla vertenza contro l’alta velocità, il più longevo movimento territoriale di questo paese.
Le pene chieste dai pubblici ministeri ammontavano a 88 anni di carcere. Quelle inflitte dai giudici non superano i 21 (la più alta è 4 anni e 9 mesi, la più bassa cinque mesi) e si limitano a censurare episodi singoli, come le dimostrazioni “violente” contro i cantieri del Tav in Valle di Susa o come una vicenda di intimidazioni a un migrante ospite di una casa occupata. La Presidenza del Consiglio e i ministeri di Interno e Difesa volevano risarcimenti immediati per 6,8 milioni di euro, ma la sentenza ha stabilito che dovranno proporre una causa civile. Quanto a Telt (la società che si occupa del Tav) riceverà 500 euro per il danneggiamento di un reticolato.
“E’ venuto fuori in buona sostanza che il centro sociale, e le persone che al suo interno, secondo l’accusa, avrebbero creato un gruppo che ne avrebbe preso il controllo, non costituisce una associazione a delinquere – rileva l’avvocato La Macchia – ma ha svolto delle attività di natura sociale che sono andate a beneficio della collettività. Quello che è successo in tribunale è un risultato molto importante, anche tenendo conto del fatto che è in corso, come si sa, una trattativa con il Comune di Torino per rendere lo spazio del centro sociale Askatasuna un bene comune in accordo con la città. Questo di oggi è un risultato estremamente importante anche sotto questo punto di vista”.
La tesi della procura, portata avanti dopo una lunga indagine della Digos (che ha intercettato, seguito, controllato per anni e anni decine di persone con i soldi dei contribuenti), era che almeno dal 2009 all’interno del centro sociale si fosse formata una vera e propria organizzazione di attivisti, che coordinava e dirigeva proteste e scontri di piazza. Ma uno dei due presunti capi, il 71enne Guido Borio, nome storico dell’autonomia con un passato nei Nuclei comunisti territoriali, è stato assolto; l’altro, il 62enne Giorgio Rossetto, è condannato a 3 anni e 4 mesi per violenza a pubblico ufficiale in relazione a due attacchi ai cantieri.
Sullo sfondo del processo c’è la partita che il Comune di Torino sta giocando con i militanti di Askatasuna per giungere a una gestione condivisa dell’immobile occupato: una sorta di “legalizzazione” fortemente osteggiata dal centrodestra. “Siamo dalla parte giusta della storia – dice Andrea Bonadonna, esponente del centro sociale – in una città che è Medaglia d’oro della Resistenza”. Insorgono invece i sindacati di Polizia, storicamente insofferenti alle sentenze scomode, che parlano di “umiliazione” per gli agenti e chiedono al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di impugnare la sentenza.
Una tentazione di lunga data
“Non è una sentenza che ci dirà quanto valiamo, quanto le nostre lotte contano. Non abbiamo bisogno di nessun giudice, di nessun tribunale che ci dica se siamo o meno dei criminali. Il nostro valore, il valore delle lotte che per anni, per decenni, abbiamo condotto in questa città, tra le montagne della Val di Susa, è noto e condiviso con decine di migliaia di persone che si sono strette insieme per contrapporsi alla violenza e alla barbarie di questo stato di cose”, hanno detto i compagni e le compagne del centro sociale Askatasuna, in presidio fuori dal Palazzo di Giustizia prima ancora della lettura della sentenza del processo denominato “Sovrano”. Secondo loro, il progetto della Procura è quello di diffondere la paura, la paura di ribellarsi alle ingiustizie, ma senza dubbio la sentenza del 31 marzo è una boccata d’ossigeno per chi ha a cuore lo stato di diritto e una vittoria per le lotte sociali del Paese. Il tentativo di appioppare l’associazione a delinquere ai soggetti collettivi del conflitto sociale ha una storia lunga in Italia. La ricorda Pepino che inizia dalle retate di anarchici del XIX secolo: «In tempi recenti, poi, l’associazione per delinquere è stata contestata a sindacati (soprattutto nella logistica), movimenti per la casa, organizzazioni operanti per il salvataggio dei migranti e finanche a Mimmo Lucano e agli amministratori di Riace». L’ex magistrato si augura che si apra un confronto sull’uso dei reati associativi con riferimento ai movimenti e al conflitto sociale. Ma questa vittoria giunge in una fase generale di guerra e criminalizzazione del dissenso che troverà un ulteriore passaggio con l’arrivo nell’aula del Senato, prevista per il 16 aprile, del cosiddetto Pacchetto Sicurezza, un vero e proprio manifesto politico ed ideologico in cui il governo Meloni combina repressione politica, controllo sociale, populismo penale, proibizionismo, cultura patriarcale, classismo e razzismo: 23 nuovi reati che vanno a combinarsi con altri 47 coniati al tempo in cui al Viminale c’era Salvini e che rischia di essere un punto di non ritorno in una fase politica contrassegnata dalle tentazioni autoritarie di governi di ogni foggia dentro la cornice inquietante della post-democrazia e dei venti di guerra.
L’orizzonte urgente
Dunque Askatasuna, il Movimento No Tav e lo Spazio Popolare Neruda non sono un’associazione a delinquere. «Ancor più urgente diventa ambire a un orizzonte differente, radicalmente diverso. E praticarlo. L’associazione a resistere non è uno slogan ma è l’espressione effettiva delle lotte che autonomamente sono capaci di incidere nel proprio ambito”, avverte il centro sociale torinese.
Lo scorso 14 dicembre con il grande corteo contro quello che è stato definito il ddl Paura sembrava si fosse aperto uno spazio politico, sociale e sindacale vasto e articolato che però non ha dato prova di capacità di convergenza nelle settimane successive quando un pezzo di quello schieramento è stato risucchiato, o silenziato, dalla “chiamata al riarmo” di Michele Serra per conto di Repubblica e sindaci collegati. La lotta contro il pacchetto sicurezza e la repressione in generale o vive dentro le scadenze di tutti i movimenti o rischia di infrangersi nelle secche delle dinamiche parlamentari con tutte le asimmetrie tra maggioranza e opposizioni che scaturiscono dalle alchimie delle leggi elettorali, con tutte le ambiguità di cui sono capaci i partiti all’opposizione del governo Salvini-Meloni.
Eppure di quello spazio ci sarebbe un gran bisogno per costruire un movimento all’altezza della situazione capace di cogliere i nessi tra le spinte al riarmo, l’attacco alla libertà di movimento e le pulsioni violentissime del neoliberismo.
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