Tre volte in una settimana fatti di cronaca che vedono una donna vittima di violenza e un uomo (uno sportivo) violento e coperto da un sistema che insabbia invece di punire
di Barbara Viale
L’11 settembre, mentre il mondo guardava Obama dichiarare guerra al’IS, con termini solo leggermente più democrat di quelli usati tredici anni fa da George W. Bush, arrivava anche la sentenza del caso Pistorius.
Oscar Pistorius, universalmente apprezzato per la sua preparazione atletica e forza di volontà, che gli ha consentito di diventare un campione di atletica pur non avendo le gambe, nel febbraio 2013 aveva sparato attraverso la porta del bagno della propria casa alla fidanzata, Reeva Steenkamp, uccidendola.
Per il giudice è manslaughter – omicidio colposo -, ma non second degree murder – omicidio premeditato -, nonostante ci siano ragionevoli presupposti per pensare che l’omicidio non sia stato completamente accidentale. La polizia era già dovuta intervenire per casi di violenza domestica in passato, Pistorius non ha mai nascosto la sua passione per le armi e non da ultimo, proprio in queste settimane, ha patteggiato per un caso di violenza su una donna, “accidentalmente” avvenuta a un festa nel 2009.
Quindi perché é irragionevole pensare che una persona che è perfettamente in grado di usare un’arma, non proprio equilibrata e ha una storia di violenza domestica alle spalle non abbia sparato per uccidere? Pare tra l’altro che Reeva e Oscar avessero litigato la sera precedente a causa di un presunto tradimento di lei. Perché è irragionevole pensare che quattro colpi dietro a una porta chiusa non siano una morte accidentale?
Il Sudafrica, paese frammentato e ancora ben lungi dall’essere l’allegra rainbow nation che voleva Mandela, si spacca: da una parte quelli che attaccano la giudice (di colore) per una sentenza così lieve, dall’altra quelli che difendono il ragazzo senza le gambe che è arrivato alle Olimpiadi, dall’altra ancora quelli che attaccano il ragazzo senza le gambe per l’inaudita ferocia con cui si è scagliato contro una donna disarmata. Pistorius piange, prima, durante gli interrogatori dei mesi precedenti, per la pressione e oggi di sollievo (ha evitato la pena più lunga, 25 anni).
Ma il mondo dello sport non prende posizioni ferme: tutti temporeggiano, aspettano il verdetto finale, si evitano linciaggi mediatici. Ma quando si parlerà di violenza sulle donne sarà ormai troppo tardi, la gente avrà dimenticato Pistorius e sarà passata oltre.
Il giorno prima della sentenza (10 settembre) il campione Mike Tyson aveva aggredito verbalmente il giornalista canadese Nathan Downer per aver ricordato il suo passato e la sentenza che lo dichiarò colpevole di violenza sessuale. Mike Tyson, non contento di prendersela con il giornalista, che è apparso chiaramente imbarazzato alla reazione del campione e che ha twittato un messaggio di scuse poco dopo, ha lanciato strali contro chiunque avesse il coraggio di definirlo uno stupratore. (N.B. Il coraggio l’ha trovato il giudice che nel 1992 l’ha condannato a tre anni di reclusione).
Sempre questa settimana è stato reso pubblico il video in cui Ray Rice, giocatore di football dei Baltimore Ravens, dà un pugno alla fidanzata in un ascensore facendole perdere i sensi e poi la trascina fuori per i capelli, o per un braccio, non è chiaro. L’episodio risale all’inizio dell’anno e pare che la NFL (National Football League) fosse in possesso del filmato già da aprile, ma per qualche motivo sia la squadra sia la NFL stessa abbiano aspettato per prendere una decisione al riguardo. Poteva passare un messaggio chiaro: la violenza sulle donne non si perdona, ma non è stato fatto.
Tre volte nell’arco di questa settimana, siamo stati raggiunti da fatti di cronaca che vedono una donna vittima di violenza e un uomo (uno sportivo, uno che dovrebbe essere la bandiera del fairlplay) violento e coperto da un sistema che insabbia invece di punire.
Sarebbe sciocco pensare che gli sportivi siano più violenti di altre categorie professionali, ma è certo che gli interessi dell’establishment dietro ogni sportivo (dall’allenatore, alla squadra al Presidente) fanno in modo di non rovinare l’immagine della gallina dalle uova d’oro. Purtroppo, troppo spesso, le vittime della gallina dalle uova d’oro sono le donne.
Questo è un messaggio che il mondo dello sport non può permettersi di mandare.