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La classe di Rok Biček non è acqua

Arriva al cinema il 9 ottobre Class Enemy, opera prima del regista sloveno premiato alla Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del cinema di Venezia 2013. Su Popoff la recensione.


Il trailer del film

«È una bella classe», quella di Rok Biček: 1985. In pratica, un mio coetaneo. Non intendevo, comunque, il suo anno di nascita. La “bella classe” di Biček è quella di Class Enemy, il primo lungometraggio del regista sloveno che approda nelle nostre sale cinematografiche il prossimo giovedì, un po’ in ritardo a dir la verità; in ritardo perché è da più di un anno che è fatto e finito e gira per mostre, festival e rassegne ma com’è che si dice? Ah, sì. Meglio tardi che mai. «Sapete cosa sono i rituali? Se volete essere diversi dagli animali, dovrete compierli ogni giorno».
Come direbbero a Oxford, questo film spacca di brutto. In tutti i sensi. Non per la tematica più ovvia, che non è nuova. La “classe” e il rapporto alunno/professore sono stati fatti oggetto di molti (più o meno validi)  film e Biček ne aveva di materiale con cui confrontarsi. A chi non verrebbe in mente L’attimo fuggente di Peter Weir (Robin, questo ti sarebbe piaciuto) sentendo parlare di studenti adolescenti, professori anticonformisti e suicidio?

class enemy

Non abbiate paura, non si tratta di un remake o di una pallida imitazione. La pellicola di Biček è genuina, pura (e dura) e consapevole di una necessità: raccontare, senza fronzoli, l’odierno sistema scolastico. «Prima loro temevano noi. Oggi, noi temiamo loro./ Benvenuto nel ventunesimo secolo». Questo giovane esordiente ha avuto la paurosa capacità di cogliere i tanti aspetti di un microcosmo, quello scolastico, le sue idiosincrasie e le sue contraddizioni e tradurle in un’opera che sembra girata da un cineasta sessantenne con una lunga e onorata carriera alle spalle.
Invece no. Quest’ancora ventottenne regista dimostra di avere una sensibilità tale da riprodurre le mille sfaccettature di un conflitto tanto attuale quanto universale, una sensibilità che tanti registi “navigati” probabilmente non avranno mai. Class Enemy è un film che riesce a essere lirico e crudele, pacato e arrabbiato, gentile e scontroso, giovane e vecchio al tempo stesso.

«La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive». Le chiavi di lettura possono essere una, nessuna e centomila. Se il tema del conflitto e dell’incomunicabilità tra generazioni diverse sembra evidente, quello letterario è più metaforico; se gli spazi (e le inquadrature) chiusi sembrano avere lo scopo di costringere gli attori/personaggi a confrontarsi e scontrarsi, l’inquadratura finale sembra tirare un respiro di sollievo; se il suicidio diventa un pretesto per affrontare paure, indecisioni, incapacità e ignoranza, il discorso del “professore nemico” (l’insegnante di tedesco Zupan – Igor Samobor) diventa allora chiara enunciazione di un pensiero che non è necessariamente quello dell’autore, non è per forza quello giusto ma è quello che ci vorrebbe, in questo momento, nelle nostre scuole. «Essere uno studente non è un diritto. È un grande privilegio».
Non è tutto bianco, non è tutto nero, tutti (e nessuno) hanno ragione e stanno sbagliando. È la vita. E non c’è spazio per la mitizzazione o la riflessione perché il sistema (con la “s” minuscola: non è mica un’entità astratta e divina), conformista e limitante, è «freddo, inesorabile, matematico». E prendersela con il sistema vuol dire non aver capito di essere ingranaggio funzionante (e non pensante) dello stesso. Vuol dire non avere altri argomenti perché ci si è dentro fino al collo.

Class-Enemy

«Io mi preoccupo per voi. C’è un tempo per piangere e un tempo per vivere. Quello che è successo non cambia. Potete cambiare voi. Voi siete là, dove eravate all’inizio. Come potreste capire cosa è importante nella vita? Non sapete cosa volete mangiare, cosa volete diventare. Come potreste decidere addirittura tra la vita e la morte?». Class Enemy ha davvero il pregio di essere un film aperto che rappresenta al meglio una generazione che ha fatto della cultura cibo per i vermi. Nessuno riesce a salvarsi, «tutti siamo responsabili», anche il professor Zupan che, agli occhi dei suoi studenti, è colpevole di aver mostrato poche emozioni. «La morte di Sabina è stata un esempio educativo per lei e non una tragedia».

Eppure lo stimolo alla discussione e alla condivisione non era mancato. «A me interessa la tua opinione. Perché Thomas Mann non andò al funerale del figlio maggiore che si suicidò?». Fraintendere, comunque, è la specialità di una “classe” di giovani giustificati, inascoltati e asfissiati da convenzioni cordialmente accettate. Come dicevamo all’inizio, i tempi delle sette dei poeti estinti sono lontani. Troppo lontani.

Classenemy

Biček lascia anche un’altra traccia di grande rilievo nel suo film: il valore, la gravità, l’influenza delle parole. L’importanza di conoscerle e di saperle usare in frasi e discorsi in cui la generalizzazione/metafora incosciente è grave forma di peccato.
Class Enemy andrebbe visto da studenti, docenti, famiglie, amici, parenti e serpenti. Peccato che in Italia sarà distribuito in appena venticinque copie (e la colpa non è del coraggioso distributore).
Se penso alle quattrocento (e oltre) copie con le quali sarà distribuito il nuovo film (?) di Paolo Ruffini, Tutto molto bello, che uscirà nelle sale contemporaneamente… cribbio, ragazzi.
Mi viene da piangere. E lo sto facendo davvero.

CLASS ENEMY
Regia di Rok Biček
Con Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleznik, Masa Derganc, Robert Prebil
Titolo originale: Razredni sovraznik
Drammatico, 112 min.
Slovenia, 2013
Uscita giovedì 09 ottobre 2014
Voto Popoff: 4,5/5

mipiace da vedere se: siete finalmente in vena di guardare un film dannatamente bello
nonmipiace da non vedere se: avete già prenotato i biglietti per andare a vedere il film di Paolo Ruffini. Siete indegni di cotanta bellezza cinematografica

 

 

 

 

 

 

 

 

class enemy poster

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