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Polunin a Nervi, il Russiagate sulle punte

Bravo, sexy, sopra le righe. Omofobo e fanatico di Putin. Il Galà di danza di Sergei Polunin chiude tra le polemiche il Festival  Internazionale di Nervi

 

Bravo, è bravo, per carità. Con quel talento, che hanno solo i fuoriclasse, di fare dei punti di forza anche delle proprie imperfezioni tecniche.

Sexy, è pure sexy, altro che. Con quel taglio di capelli alla Jim Morrison, che ricadono sulle spalle di un torace nudo e scolpito. Che le signore tra il pubblico  se lo guatano col binocolino da teatro.  Non risparmiando standig ovation e lanci di fiori a scena aperta.

Un personaggio poi, lo è senza dubbio, con quel carisma tormentato, maledetto. E con quegli atteggiamenti e  dichiarazioni sempre  sopra le righe.

E però fa un po’ specie, nei giorni del Russiagate all’italiana di marca leghista,  vedere lo sguardo di Vladimir Putin – ipnotico come quello del Grande fratello di Orwell –  osservare, dal ritratto tatuato sul petto dell’enfant prodige della danza mondiale, il pubblico del Festival  Internazionale di Nervi. Di cui il Galà di danza di Sergei Polunin, è stato commiato e gran finale con Sacré, spettacolo diviso in due parti.  Con un primo atto dal titolo Fraudoulent Smile, firmato da Ross Freddie Ray su musiche del trio polacco lezmer Kroke e un secondo, di cui il danzatore di origine ucraine è stato protagonista unico e assoluto, ispirato alla parabola artistica di Vaslav Fomich Nijinskij e danzato con la coreografia di Yuka Oishi  sulle note de La sagra della primavera di Igor Stravinskij, su un palco enigmaticamente ornato di un cerchio di foglie secche d’autunno.

Polunin Photo by Rankin low

E insomma, ma cosa sta succedendo in una città che già strizzava  l’occhio ai cinesi, ingolositi dal suo porto da inserire nel tracciato marittimo della loro Belt & Road Initiative, la nuova Via della seta che sta ridisegnando gli equilibri geostrategici mondiali?   Sarà mica la lunga ombra della propaganda del Cremlino che si  stende fin quaggiù? Proprio in questo borgo di casette chic affacciate sugli scogli, dove tante coincidenze si rincorrono e rimandano alla grande madre Russia: dalla casa che ospitò l’esilio della poetessa Marina Cvetaeva fino alla sede del consolato russo, a due passi della passeggiata a mare Anita Garibaldi.  Che ad averne voglia ci sarebbe da montare il caso politico-culturale dell’estate genovese. Se non fosse appunto per un caldo feroce che invita a deporre qualunque vis polemica e a godersi piuttosto il fresco di una serata nei Parchi, la cui unica pecca è stata forse la troppo lunga attesa tra primo e  secondo atto.  Al punto che un distinto spettatore ha pensato di issare, con sense of humour tutto genovese e a favore delle telecamere che ritrasmettevano le immagini ai due maxischermi a lato del palco, un foglio di carta con su scarabocchiato  l’invito “iniziamo?”. Guadagnandosi così un accaldato e caloroso applauso fuori programma. Che poi, a pensarci,   magari sarà tutta una strategia di marketing giornalistico, come le provocazioni dei Sex pistols con la t-shirt con la bandiera nazista, o i ritratti di Mao di Andy Warhol, che se la rideva di gusto quando i giornalisti gli chiedevano se era diventato comunista.

O sarà, ancora,  piuttosto quell’anima slava che si vuole eccessiva, un po’ selvaggia, esagerata. Sempre. Nel bene e nel male. La stessa, anche se diversamente declinata, del regista serbo Emir Kusturica, che ha calcato lo stesso palco pochi giorni prima. Entrando in scena sulle note dell’inno nazionale sovietico con la sua No Smoking Orchestra, anche se poi mentre suonano fumano quasi tutti. Istrione coi fiocchi pure lui, in uniforme da generalone  latinoamericano con tanto di sombrero e cartuccera a tracolla, presenta i suoi musicisti con nomi di rivoluzionari messicani, riservando a se stesso quello di Pancho Villa. Divertendosi a mettere in difficoltà lo staff della security quando  aizza  il pubblico ad a accalcarsi a ballare sotto il palco i sui ritmi rock e tzigani, etnici e punk. E allestendo, sulle note delle colonne sonore dei suoi film – da Gatto nero, gatto bianco a Underground fino a La vita è un miracolo –  un inedito immaginario antiamericano e anticapitalista di stile slavo-latinoamericano:  Lenin e Zapata, sombreri e colbacchi,  vodka e tequila. Olè.

Appuntamento ora all’edizione 2020, quando la kermesse dovrebbe ritrovare la sua barra d’orientamento nello specifico del balletto.

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