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Bolivia, come l’estrema destra ha sfruttato una rivolta popolare

La rivolta del popolo boliviano e delle sue organizzazioni è il motivo che in ultima istanza ha causato la caduta di Morales

di Raúl Zibechi*

La rivolta del popolo boliviano e delle sue organizzazioni è il motivo che in ultima istanza ha causato la caduta del governo. I principali movimenti di lotta avevano richiesto le dimissioni ancor prima che le chiedessero le forze armate e la polizia. L’OSA [l’organizzazione degli Stati americani] ha sostenuto il governo fino alla fine. La situazione critica che sta attraversando la Bolivia non è iniziata con la frode elettorale, ma con l’attacco sistematico del governo di Evo Morales e Álvaro García Linera ai movimenti popolari che li avevano portati al Palacio Quemado [il palazzo del governo della Bolivia], al punto che quando ebbero bisogno di essere difesi, furono bloccati e demoralizzati.

1.- La mobilitazione sociale e il rifiuto dei movimenti di difendere ciò che, all’epoca, consideravano il “loro” governo è stata la causa delle sue dimissioni. Lo testimoniano le dichiarazioni della Central Obrera Boliviana, degli insegnanti e delle autorità dell’Università pubblica di El Alto (UPEA), dozzine di organizzazioni e Mujeres Creando, forse le più chiare di tutte. La sinistra latinoamericana non vuole accettare che una parte considerevole del movimento popolare abbia richiesto le dimissioni del governo, perché non può vedere oltre i leader.

La dichiarazione della storica Federazione dei sindacati dei minatori della Bolivia (FSTMB), vicina al governo, è l’esempio più chiaro del sentimento di molti movimenti: “Presidente Evo hai già fatto molto per la Bolivia, hai migliorato l’istruzione, la salute, hai dato dignità a molte persone povere. Presidente, non lasciare che il tuo popolo bruci o ti attribuisca altre morti. Tutte le persone ti apprezzeranno per la decisione che dovrai prendere e le tue dimissioni sono inevitabili, compagno presidente. Dobbiamo lasciare il governo nazionale nelle mani del popolo “.

2.- Questo triste esito ha una storia che risale, in stretta sintesi, alla marcia in difesa del Territorio Indigeno e del Parco Nazionale Isiboro-Sécure (TIPNIS) nel 2011. Dopo quella massiccia azione, il governo ha iniziato a dividere le organizzazioni che l’avevano convocata.

Mentre Morales-García Linera intratteneva eccellenti rapporti con la comunità imprenditoriale, questi hanno effettuato un colpo di Stato contro il Consiglio nazionale di Ayllus e Markas del Qullasuyu (Conamaq) e la Confederazione delle popolazioni indigene della Bolivia (CIDOB), due organizzazioni storiche dei popoli originari. Hanno mandato la polizia, hanno cacciato i leader legittimi e sono stati sostituiti, protetti dalla polizia, con leader legati al governo.

Nel giugno 2012, la CIDOB ha denunciato “l’interferenza del governo con l’unico scopo di manipolare, dividere e influenzare le istanze organiche e rappresentative delle popolazioni indigene della Bolivia”. Un gruppo di dissidenti, con il sostegno del governo, hanno revocato la direzione e convocato una “commissione estesa” per eleggere nuove autorità.

Nel dicembre 2013, un gruppo di dissidenti di CONAMAQ, affini al MAS, ha preso possesso della sede, ha picchiato ed espulso coloro che erano lì con il supporto della polizia che è rimasta a guardia del quartier generale e impedendo alle autorità legittime di recuperarlo. La dichiarazione dell’organizzazione afferma che il colpo di stato contro CONAMAQ è stato effettuato per “approvare tutte le politiche contro il movimento indigeno e il popolo boliviano, senza che nessuno dica niente”.

3.- Il 21 febbraio 2016, lo stesso governo ha convocato un referendum in modo che la popolazione si pronunciasse a favore o contro la quarta rielezione di Morales. Sebbene la maggioranza abbia dichiarato NO, il governo ha proseguito con i piani di rielezione.

Entrambi i fatti, l’ignoranza della volontà popolare e l’espulsione delle direzioni legittime dei movimenti sociali, rappresentano colpi contro il popolo.

Ancora più grave. La mattina di mercoledì 17 febbraio, pochi giorni prima del referendum, una manifestazione di genitori di studenti aveva raggiunto l’ufficio del sindaco di El Alto. Un gruppo di cento manifestanti era entrato forzatamente nei locali causando un incendio nel quale sono morte sei persone. I manifestanti che si sono fatti scudo della mobilitazione dei genitori, appartenevano al movimento socialista ufficiale (MAS).

Questo è lo stile di un governo che denuncia il “colpo di stato” ma ha ripetutamente agito in modo repressivo nei confronti dei settori popolari organizzati che hanno combattuto le sue politiche estrattive.

4.- Le elezioni del 20 ottobre hanno consumato una frode per la maggior parte delle persone in Bolivia. I primi dati indicavano [che sarebbe stato necessario] un secondo round. Ma il conteggio è stato fermato senza alcuna spiegazione e i dati offerti il giorno successivo hanno mostrato che Evo aveva vinto al primo turno, poiché aveva ottenuto una differenza superiore al 10% anche se non aveva raggiunto il 50% dei voti.

In diverse regioni si sono verificano scontri con la polizia, mentre i manifestanti davano alle fiamme tre uffici regionali del tribunale elettorale di Potosí, Sucre e Cobija. Le organizzazioni di cittadini avevano chiamato ad uno sciopero generale a oltranza. Il 23, Morales denuncia che è in corso un “colpo di stato” da parte della destra boliviana.

Lunedì 28 la protesta si intensifica con blocchi e scontri con la polizia, ma anche tra sostenitori e oppositori del governo. Come in altre occasioni, Morales-García Linera ha mobilitato organizzazioni cooptate per confrontarsi con altre organizzazioni e persone che si oppongono al suo governo.

Il 2 novembre c’è una svolta importante. Il presidente del Comitato Civico di Santa Cruz, che aveva stretto un’alleanza con il governo Morales, Luis Fernando Camacho, chiama l’esercito e la polizia a “schierarsi con il popolo” per forzare le dimissioni del presidente, invocando Dio e Bibbia. Venerdì 8 le prime tre unità di polizia si sono ribellate a Cochabamba, Sucre e Santa Cruz, e hanno fraternizzato con i manifestanti a La Paz. Due giorni dopo, con un paese mobilitato, il binomio [Evo Morales-Álvaro Garcia Linera] offre le sue dimissioni verbali, non scritte.

5.- In questo scenario di polarizzazione, dobbiamo evidenziare il notevole intervento del movimento femminista boliviano, in particolare il gruppo Mujeres Creando, un’articolazione di donne nelle principali città.

Il 6 novembre, in piena polarizzazione violenta, María Galindo ha scritto sul giornale Página 7: “Fernando Camacho ed Evo Morales sono complementari”. “Entrambi sono rappresentanti unici del” popolo “. Entrambi odiano le libertà delle donne e la mariconada [termine dispregiativo verso gli omosessuali]. Entrambi sono omofobi e razzisti, entrambi usano il conflitto per trarne vantaggio.” Non solo richiede le dimissioni del governo e del tribunale elettorale (complice della frode), ma anche nuove elezioni con altre regole, in cui sia coinvolta la società, in modo che “nessuno abbia mai più bisogno di un partito politico per essere ascoltato e fare esercizio di rappresentanza”.

La stragrande maggioranza delle persone che vivono in Bolivia non è entrata nei giochi di guerra che il duo Morales-García Linera voleva imporre quando si è arreso e ha scatenato i suoi sostenitori nella distruzione e nel saccheggio (in particolare a La Paz e El Alto), probabilmente per forzare l’intervento militare e così giustificare la sua denuncia di un “colpo di stato” che non è mai esistito. Nemmeno sono entrati nel gioco dell’estrema destra, che agisce violentemente e razzisticamente contro i settori popolari.

6.- La sinistra latinoamericana, se ancora le rimane qualcosa di etico e dignitoso, deve riflettere sul potere e sull’abuso che ne comporta la sua gestione. Come ci insegnano le femministe e le popolazioni autoctone, il potere è sempre opprimente, coloniale e patriarcale. Ecco perché respingono i leader, e le comunità ruotano i loro capi in modo che non accumulino potere.

Non possiamo dimenticare che in questo momento esiste il grave pericolo che la destra razzista, coloniale e patriarcale possa approfittare della situazione per imporsi e causare un bagno di sangue. La voglia di vendetta politica e sociale delle classi dirigenti è ancora così latente come negli ultimi cinque secoli e deve essere fermata senza esitazione.

Non entriamo nel gioco di guerra che entrambe le parti vogliono imporci.

*Traduzione di Giona Di Giacomi per Movimento Operaio, il blog di Antonio Moscato

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