Vittorini: perché festeggiare Natale

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La nascita di Cristo come simbolo di rivoluzione. Così, subito dopo la guerra, il Politecnico spiega(va) ai lettori perché anche i comunisti festeggiano il 25 dicembre

di Elio Vittorini

Elio Vittorini
Elio Vittorini

All’annuncio che avremmo preparato un numero doppio per il Natale, subito un lettore di Milano, Giulio Amadori, si è affrettato a scrivere. E perché il Politecnico deve celebrare il Natale? Perché? Perché il Politecnico crede nel Natale come in ogni cosa in cui credono gli uomini , come crede nell’estate e nell’inverno, nel mattino nel pomeriggio e nella sera. Milioni di uomini celebrano il Natale e noi dovremmo restare in disparte da una casa di milioni di uomini? Ammette Amadori che la nascita del cristianesimo sia stata una rivoluzione, tanto di cappello, ma aggiunge però che è stata superata da rivoluzioni successive, e queste ultime dunque bisognerebbe celebrare, non quella. Anche seguendo il suo ragionamento io posso rispondergli che la nascita di Cristo e del cristianesimo ha di fronte alle rivoluzioni effettive che sono venute dopo la superiorità di un valore simbolico veramente valido fra tutti gli uomini, veramente universale.

Dico simbolico, si capisce, io non valuto cosa la rivoluzione cristiana possa in effetti essere stata, ma simbolicamente riassume il diritto stesso dell’uomo alla rivoluzione. Questo io vedo nella nascita del cristianesimo, questo vedo nel Natale: l’unità simbolica della rivoluzione, e questo il Politecnico festeggia nel celebrare il Natale. Che poi, come pure dice Amadori, l’umanità se ne sia fatta una sporca cosa, una occasione per una scorpacciata, e che anche il dare dei ricchi ai poveri in quel giorno sia una sporca cosa io sarei l’ultimo a negarlo. Ma che conta? Il Natale è l’unico giorno che gli uomini di buona volontà hanno in comune con gli uomini di cattiva volontà. E avere pace e comunione, per un giorno, anche con le più nere carogne della società umana significa credere in un tempo in cui vi sarà comunione senza che più vi siano carogne. Arrivederci, e buon Natale.

pubblicato sul Politecnico n. 13, dicembre 1945

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Maurizio Zuccari
Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.

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