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Femminicidio Manduca: pm colpevoli di inerzia

Omicidio Manduca. La Corte d’Appello di Messina riconosce che ci fu una “grave inerzia” dei Pm di fronte alle 12 denunce di Marianna Manduca contro il marito violento, che poi la uccise

di Marina Zenobio

aula tribunale

 

Una sentenza che farà giurisprudenza quella che arriva dalla Corte d’Appello di Messina nei confronti di due giudici che dieci anni fa lavoravano per il tribunale di Caltagirone in provincia di Catania. La Corte ha riconosciuto che ci fu una “grave inerzia” dei Pubblici ministeri di fronte alle continue denunce di Marianna Manduca contro il marito violento, Saverio Nolfo.

La donna trentacinquenne, che viveva a Palagonia, presentò ben 12 denunce per violenza e minacce contro l’ex marito senza che queste avessero alcun seguito. L’epilogo peggiore e fin troppo annunciato ci fu 3 ottobre del 2007 quando, in un vero e proprio agguato premeditato, l’uomo la uccise a coltellate. “Dolo e colpa grave” sono i reati riconosciuti dalla Corte che però fissa solo il danno patrimoniale, 250 mila euro, che dovrà pagare la Presidenza del consiglio dei ministri perché, all’epoca dei fatti, la legge non prevedeva la responsabilità civile dei giudici. Saverio Nolfo attualmente sta scontando in carcere la condanna a 20 anni per l’omicidio della moglie.

La determinazione del cugino di Marianna

I tre figli di Marianna, che ora hanno 12, 13 e 15 anni, dopo l’uccisione della madre e l’arresto del padre sono stati adottati da un cugino della donna, Carmelo Calì, e da anni vivono con lui e la sua famiglia nelle Marche. E’ stato proprio Calì, assistito dall’avvocata Licia D’Amico e dall’avvocato Alfredo Galasso, ad intraprendere cinque anni fa l’iter legale contro i due Pm che sottovalutarono il rischio che Marianna stava correndo.
In realtà, oltre al risarcimento economico che andrà ai figli di Marianna, il cugino della donna voleva riconosciuto anche il danno morale a carico dei Pm.
Ma così non è stato, almeno per ora, perché Calì non intende comunque fermarsi, è determinato a fare ricorso e ad arrivare fino alla Corte Europea di Strasburgo per vedere riconosciuto anche il danno morale per la gravissima mancanza dei due pubblici ministeri.

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