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Palestina. La vendetta dei coloni israeliani: bruciato un adolescente palestinese.

Mentre raid aerei israeliani continuano a bombardare Gaza, in “città santa” si consuma la vendetta dei coloni.

di Marina Zenobio

Muhammad  Abu Khadir
Muhammad Abu Khadir

Continuano i bombardamenti dell’aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza. Solo la notte scorsa sono rimasti feriti almeno 15 palestinesi. Le incursioni aeree hanno preso di mira varie zone della Striscia compresa Gaza city dove, in particolare, sono state colpite basi della resistenza palestinese. Tra i feriti però ci sono molti civili tra cui adolescenti e anziani. La notte precedente era toccato a Rafah, a sud della Striscia. Intanto, dopo il ritrovamento dei tre giovani coloni uccisi presumibilmente da una cellula di Hamas, a Gerusalemme aumentano le manifestazioni anti-arabe.

All’alba di ieri Muhammad Abu Khadir, sedicenne palestinese che viveva nel sobborgo Shufat della “città santa”, è stato rapito e ucciso da un gruppo di coloni israeliani. A tuttora però, lo sdegno internazionale che ha accompagnato la tragica fine dei giovani israeliani, non sembra riguardare l’adolescente palestinese, non ci saranno personalità politiche o della cultura ai suoi funerali, radio e tv non seguiranno il suo ultimo viaggio, la sua famiglia non riceverà le condoglianze di persone importanti.

Secondo testimonianze raccolte dalle agenzie Quds Press e Wafa, dalle registrazioni di alcune telecamere di sorveglianza si vedono uscire da una Hyunday, parcheggiata davanti casa di Abu Khadir, un gruppo di israeliani che fanno entrare con la forza il giovane nell’auto e poi ripartire a tutta velocità. Poche ore dopo il corpo senza vita di Abu Khadir veniva ritrovato a ovest di Gerusalemme, in un bosco vicino al villagio di Deir Yasin. Al padre il triste compito di riconoscere il giovane, il cui corpo bruciato presentava anche evidenti tracce di violenza.

Un altro tentativo di sequestro si era verificato martedì scorso nel quartiere di Beit Hanina, a nord di Gerusalemme, quando un colono ha tentato di rapire il piccolo Musa Rami Zalum, di otto anni, mentre camminava con la madre. Solo l’intervento della popolazione locale ha impedito il sequestro.

La tensione è altissima quindi anche in “città santa”, improvvisati gruppi di israeliani scendono per le strade di Gerusalemme gridando “Morte agli arabi”. Alcuni arabi, però, secondo Muhammad Huseyn, muftì di Gerusalemme e Palestina, non ritengono una loro priorità la questione palestinese.

Huseyn accusa sì il governo israeliano di proteggere i coloni che attaccano il popolo palestinese, esorta la comunità internazionale a riconoscere le responsabilità di Israele, ma afferma anche che alcuni arabi si sono dimenticati della Palestina perché “troppo impegnati nelle loro discordie e guerre interne che lacerano la patria araba e i suoi stati, ma anche loro sono responsabili della questione palestinese che deve essere centrale”.

Il muftì ha anche insistito sull’importanza della riconciliazione palestinese “basilare per il popolo di Palestina che non può fronteggiare la macchina dell’aggressione israeliana se non rimanendo unito. E’ una scelta strategica”.

Ma a chi giova tutto questo? Cui prodest? si chiede anche Maurizio Musolino in un suo intervento per l’agenzia Nena News di cui riportiamo un breve stralcio: «Sicuramente quanto accaduto in queste settimane giova a chi si era opposto in tutti i modi alla tormentata riappacificazione fra le due principali componenti della società palestinese, Hamas e Fatah. Dopo anni di trattative si era arrivati a definire un percorso per la costituzione di un governo di unità nazionale ed ora tutto è di nuovo in alto mare. Principale oppositore di questa unità è stato Israele e il suo governo, che vede come fumo negli occhi la riunificazione palestinese.
L’unità palestinese fa paura, perché è il primo mattone per riallacciare i nodi di una pace tanto giusta quanto possibile. Ma cadremmo nello stesso errore che abbiamo sopra denunciato se non ci mostriamo pronti a riconoscere che anche dentro il frastagliato mondo della Palestina c’è chi si oppone a questo dialogo. La storia, anche recente, ci ha insegnato che spesso punti di comune interesse si possono trovare anche fra nemici storici e fra opposti estremismi, e che le complicità si possono sviluppare in vario modo. Per questo la vicenda del rapimento e dell’uccisione dei tre giovani coloni è complessa e ad oggi ricca di incognite. Una cosa però è certa, il dramma dei tre ragazzi uccisi, come quello di migliaia di palestinesi, ha un’origine, che non si può e non si deve mai eludere o nascondere. Questa origine ha un nome: occupazione. L’occupazione israeliana-sionista delle terre palestinesi.»

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