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Centri antiviolenza: non toccate il fondo!

Fondi Legge antiviolenza, buco nero nei criteri di riparto per i centri antiviolenza non allineati. Oggi protesta D.I.Re. in Conferenza Stato-Regioni.

di Marina Zenobio

DIRE

I 67 centri antiviolenza che fanno parte dell’Associazione nazionale D.I.Re (Donne in rete contro la violenza) si preparano a dare battaglia sul riparto dei fondi stanziati dal governo, che verranno ripartiti alle Regioni le quali dovranno decidere a chi assegnarli. Stiamo parlando di 17 milioni di euro di cui 2 milioni e 260 mila destinati ai centri antiviolenza. Ma i criteri di riparto dei rimanenti 14 milioni e 740 mila euro è ancora un buco nero.

Se ne discuterà oggi pomeriggio nel corso della Conferenza Stato-Regioni e con molta probabilità molte operatrici dei centri antiviolenza e case rifugio, preoccupate per le modalità con cui i fondi saranno suddivisi, non perderanno l’occasione di far sentire la loro voce attraverso un flash mob alle 15,30 in via della Stamperia 8.

“La distribuzione dei fondi non è chiara” denuncia D.I.Re. in un comunicato aggiungendo anche di temere che saranno distribuiti con criteri ‘politici’ disperdendo le già scarse risorse messe in campo.
C’è da dire, comunque, che sul caos nella ripartizione dei fondi non è esente da responsabilità lo stesso Renzi. Il capo del governo ha infatti assunto su di sé la delega alle pari opportunità, pensando probabilmente di dare più valore ad azioni antidiscriminatorie. Il problema però è che se la delega non viene esercitata è come se non ci fosse, così abbiamo al governo otto donne ministre, ma alle Pari opportunità c’è un vuoto profondo.

Il rischio è che questo vuoto politico e l’odore dei soldi faccia spuntar in ogni Regione centri antiviolenza istituzionali senza qualifica né storia, a danno di quelli, come gli aderenti a D.I.Re. che da oltre vent’anni operano in Italia, riconosciuti come luoghi di buone pratiche per fronteggiare il fenomeno della violenza contro le donne e che non possono essere liquidati con quattro soldi. “La storica esperienza e competenza di questi luoghi deve rappresentare un punto di partenza per tutti”.

E’ evidente – denuncia D.I.Re – che i Centri, che da oltre vent’anni lavorano in Italia con le donne, finiranno per avere finanziamenti irrisori mentre si cerca di creare un sistema parallelo di centri istituzionali con competenze improvvisate le cui procedure ancora ‘ingessate’ in rigidi criteri burocratici, non saranno in grado di rispondere alle domande delle donne vittime di violenza. In particolare: anonimato, ascolto competente e privo di giudizio, rispetto della loro volontà. Nei centri istituzionali c’è il rischio che prevalga la burocrazia, gli aspetti giudicanti e formalizzati, che non garantiscono l’anonimato e l’ascolto dei desideri della donna, rispettandone i tempi e le scelte.

Non a caso la Convenzione di Istanbul individua nelle Associazioni di Donne il luogo privilegiato di risposta al fenomeno in quanto portatrici di una forte motivazione e capaci di mettere in campo iniziative utili ad un cambiamento. La storica esperienza e competenza dei luoghi di donne, secondo D.I.Re., deve rappresentare il punto di partenza per le istituzioni per costruire una politica che guardi all’esperienza nata dai Centri Antiviolenza, riconoscendone tutto il valore in quanto luoghi di libertà e autodeterminazione delle donne.

I Centri Antiviolenza ritengono che la generica modalità di impiego delle risorse economiche indicate dal piano di ripartizione dei fondi, non solo non porti alcun cambiamento nelle pratiche dei servizi e di conseguenza nella cultura sociale ma al contrario si incrementi il rischio per le donne che subiscono violenza e che decidono di allontanarsene di non essere sostenute adeguatamente

Le richieste di Donne in Rete contro la violenza sono ben definite in 4 punti. Vogliono che i criteri di riparto dei finanziamenti siano ridiscussi e condivisi con i centri antiviolenza nel rispetto delle raccomandazioni europee; che i centri antiviolenza pubblici siano, in questa prima fase, esclusi dal riparto dei fondi: la Convenzione di Istanbul che entrerà in vigore il 1° agosto, sostiene che i governi devono privilegiare le azioni dei centri antiviolenza privati gestiti da donne in quanto servizi indipendenti; che nella distribuzione siano compresi solo i centri antiviolenza gestiti da realtà del privato sociale attive da almeno 5 anni e che il finanziamento premi maggiormente i centri antiviolenza che operano da più anni valutando i curricula, i progetti svolti e il tipo di intervento che garantiscono; ed infine che ci sia una forte raccomandazione alle Regioni di utilizzare i finanziamenti in aggiunta ai quelli che le amministrazioni regionali dovranno stanziare.

2 COMMENTI

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