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Periferie, il degrado c’era Marino non ha fatto nulla

Periferie e centri di accoglienza devono restare ai margini. Sono contenitori di cui la politica ignora il contenuto. Ma il tappeto, a forza di custodire polvere, si è rivoltato

di Federico Bonadonna

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Non si sa se ci sia un disegno per far cadere il sindaco Marino. Ad occhio l’approvazione della valanga di metri cubi per il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle e la pax siglata con l’altro grande costruttore romano per l’Acea lasciano intendere che i poteri forti non siano poi così ostili a questa giunta. A meno che non si voglia credere alla narrazione proposta da Marino che sia la lobbie di caldarrostai e bibitari a dettare legge nella Capitale. Che poi ci sia chi strumentalizzi la protesta non c’è dubbio. Così come è indubbio che il disagio delle periferie romane era abnorme ben prima che Marino s’insediasse. Ma nel suo anno e mezzo di attività il sindaco non ha fatto nulla per intercettare quel disagio, fatto ancora più inspiegabile considerando che il suo vice Nieri ha avuto la delega alle periferie durante il primo Veltroni e che dovrebbe sapere bene di cosa si tratta, al contrario del suo collega Masini – assessore allo sviluppo delle periferie – che si è stupito della situazione di Tor Sapienza.

In particolare il sindaco non è intervenuto per trasformare radicalmente il modello di accoglienza per senza tetto, migranti e richiedenti asilo, per non parlare dei “villaggi della solidarietà” per i Rom. Centri e campi questi, tutti aperti nei vari anelli periferici della città, a parte qualche rarissima eccezione nel semi-centro. Se fosse vero come dice la presidente della Camera Boldrini che l’accoglienza non conosce confini, non si spiegherebbe perché questi mega centri non sorgono dove la chiesa e alcune importanti associazioni cattoliche possiedono interi stabili come a Trastevere, al Parione, a Monteverde Vecchio o ai Parioli dove, nel 1988 don Luigi Di Liegro aprì un centro per sieropositivi a villa Glori e ci furono le barricate in strada capeggiate da Buontempo e Gramazio. Invece i confini ci sono eccome e i centri di accoglienza devono essere relegati nelle periferie.

Il modello vigente per l’accoglienza delle cosiddette marginalità sociali è basato sull’occultamento delle persone identificate con un disagio. Paradossalmente migranti e richiedenti di asilo politico sono diventati una tipologia di disagio sociale. Oggi i centri di accoglienza si fondano sulla “segregazione amichevole” delle persone accolte e non sui complessi percorsi di inserimento socio-lavorativo. Sui manuali si studia che il servizio sociale territoriale dovrebbe prendere in carico la persona portatrice di disagio. Peccato che i servizi sociali siano sotto organico da quindici anni ed evidenzino le tremende lacune del modello di decentramento romano.

Ma naturalmente il sindaco non ha fatto niente per cercare di colmare questo iato. Anzi. In questo senso, Marino e il suo assessore competente, agiscono sulla doppia scia inaugurata da Veltroni e proseguita poi da Alemanno: da un lato la sostanziale privatizzazione dei servizi sociali attraverso l’appalto alle cooperative sociali sempre più configurate come agenzie subappaltatrici di manodopera a basso costo e dall’altro l’apertura di centri e campi per il contenimento delle persone portatrici di disagio (la parola “solidarietà” serve a dare quella spolverata democratica che ci fa sentire tutti più civili).

La categoria di marginalità sociale è diventata così un contenitore onnicomprensivo di tutto ciò che una società sempre più in crisi non riesce a metabolizzare. Di conseguenza anche gli operatori sono stati trasformati in guardiani di questi centri di concentramento che nulla hanno a che vedere con le politiche sociali. Non a caso si rinuncia alla professionalità di psicologi, assistenti sociali, educatori da quindici euro l’ora e al loro posto lavorano semplici operatori a volte senza nemmeno uno straccio di titolo regionale e spesso pagati in nero cinque euro l’ora. Del resto è il bilancio che determina la strategia politica. Anche se, e sembrerebbe una contraddizione, la direttiva degli ultimi quindici anni è di accogliere il più possibile. Ma perché gli amministratori vogliono aumentare i posti dell’accoglienza? La risposta non è difficile: il disagio dev’essere il più possibile nascosto. Come le periferie. Periferie e centri di accoglienza subiscono lo stesso percorso cognitivo: devono restare ai margini senza disturbare. Entrambi sono contenitori di cui la politica spesso ignora il contenuto reale.

Infatti il sindaco ha dimostrato plasticamente che il contenuto dei centri, gli ospiti, sono poco più di pacchi postali quando ha disposto il trasferimento dei minori dal centro di Tor Sapienza a quello dell’Infernetto dove puntualmente si sono accessi i riflettori mediatici. Marino ha anche improvvidamente dichiarato che chi non rispetta le leggi sarà allontanato. Interessante. Peccato che non ha detto chi materialmente allontanerà il malfattore e soprattutto per mandarlo dove. Dov’è questo lontano? La risposta è sempre la stessa, sotto un altro tappeto di un’altra periferia. Lontano dagli occhi lontano dal cuore. Peccato che il sindaco non capisca che il tappeto, a forza di custodire polvere, si è rivoltato. E adesso, per contenere le scorie, non basteranno né la demagogia pseudo autoritaria né la retorica buonista perché il processo di rimozione delle periferie coincide con quello di occultamento degli ospiti nei centri di accoglienza. Ora si ritorna a parlare sia delle une sia degli altri per i fatti di cronaca come sempre sull’onda dell’emergenza.

Salvo poi continuare ad aprire posti per l’accoglienza in periferia esattamente come si continua a costruire nell’alveo dei fiumi nonostante i morti per le inondazioni.

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