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Genova, contro la guerra, armati di silenzio

Dal settembre del 2001, ogni mercoledì, un’ora in silenzio per denunciare la guerra globale. Il 28 ottobre accadrà per la settecentesima volta. Tra loro Cecilia Strada

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Mercoledì 28 ottobre, dalle 18 alle 19, una piccola folla si radunerà in silenzio sui gradini del Palazzo Ducale di Genova. Sarà la settecentesima volta, la 700ma “ora in silenzio per la pace”, ininterrottamente dal 2001, ogni mercoledì. E stavolta, tra loro, ci sarà anche Cecilia Strada, fondatrice di Emergency. “Siamo uomini e donne, appartenenti o no a gruppi politici ed organizzazioni pacifiste – spiega il loro comunicato  – nel settembre 2001, quando ci fu l’attentato alle torri gemelle, e gli USA attaccarono l’Afghanistan con il pretesto della caccia a Bin Laden, cercammo un modo per esprimere il nostro sgomento e la nostra indignazione. Decidemmo di adottare l’”ora in silenzio”, una modalità di manifestazione già attuata diverse volte nella storia: per esempio dalle suffragiste statunitensi e dalle donne in nero di Gerusalemme”.

“Il Palazzo Ducale, davanti al quale da allora ci ritroviamo, è un luogo particolarmente significativo, e non solo per la nostra città. E’ lì che  nel 2001 si è svolto il G8, l’assemblea dagli otto pre-potenti che si arrogano il diritto di decidere le sorti del pianeta. Insieme a  a migliaia di altri / e avevamo contribuito a contestare quell’incontro e a ‘rendere visibile il dissenso’. Quando cominciammo, non pensavamo che saremmo rimasti/e in piazza per quattordici anni. Ma non potevamo certo interrompere la nostra protesta quando l’Italia è stata direttamente coinvolta nelle operazioni militari in Afghanistan; quando gli USA hanno aggredito anche l’Iraq (questa volta con il pretesto della ricerca della ‘armi di distruzione di massa’); quando anche soldati italiani sono stati direttamente e pesantemente coinvolti anche in quella guerra, quando il dettato costituzionale è stato ancora una volta violato con la partecipazione alla guerra in Libia; né tantomeno oggi , con una ministra della difesa che dichiara ‘Il governo sta valutando la partecipazione ad azioni di bombardamento in Iraq e quando lo avrà fatto riferirà in parlamento’; e con un  presidente del consiglio che dichiara: ‘Se gli USA restano in Afghanistan, è giusto restare ancora’; come se dovessero essere gli USA a decidere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato”.

“Abbiamo unito la nostra voce a quella di chi denunciava i crimini di guerra di Israele, ed espresso la nostra solidarietà ai popoli oppressi; pianto per i pacifisti e le pacifiste assassinati ad Ankara,  per i migranti e le migranti annegati, respinti ed incarcerati dalla ‘civilissima Europa’. Consapevoli dei limiti dei nostri mezzi, abbiamo distribuito in questi quattordici anni oltre trecentomila volantini; con moltissimi passanti abbiamo discusso, litigato, dialogato.I governi che si sono succeduti in questi anni non hanno mai mostrato di accorgersi delle nostre ragioni. Ma rimaniamo convinti/e che la guerra non sia in grado di risolvere alcun problema dell’umanità ma serva solo ad aumentare i profitti di chi costruisce e vende armi; a mantenere un “ordine internazionale” disumano; a concentrare nelle mani di pochi il controllo internazionale dell’economia. E che produrre e vendere armi non serva a ‘dare lavoro’ (ne darebbero  altrettanto l’arte, l’educazione e l’assistenza) ma a dare profitto, ben altra cosa rispetto al lavoro. Per questo continueremo a trovarci ogni mercoledì: per una politica internazionale di giustizia e di pace, che impedisca che il 20% degli abitanti del pianeta si accaparri l’80% delle risorse, per scelte di accoglienza e di giustizia nei confronti dei migranti, per la riconversione nel civile dell’industria bellica, perché cessi immediatamente l’assurdità dei tagli alle spese sociali mentre l’Italia si permette da quattordici anni il ‘lusso’ di guerre che sono già costate oltre cinque miliardi di euro, per il ripristino della legalità costituzionale con il ritiro immediato dei soldati italiani dall’Afghanistan e la cessazione di qualunque operazione militare all’estero, in qualunque modo la si chiami”.

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