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«Le comunità Lgbti si riprendono la piazza e la parola»

Roma, tutti in marcia per i diritti negati dal governo Renzi/Alfano! Intervista con Andrea Maccarrone, tra gli organizzatori dell’evento, ex presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli

di Giampaolo Martinotti

marcia dei diritti manifesto 

L’appuntamento nella capitale per la “Marcia dei Diritti” è fissato per domani, sabato 12 dicembre, alle ore 14:00 in piazza del Colosseo, mentre il corteo si concluderà a piazza della Madonna di Loreto. Manifestazioni analoghe si svolgeranno in concomitanza sia a Vicenza che a Civitanova Marche.

“Mettiamoci in marcia per liberare i diritti”. Qual è l’agenda LGBTI e quali sono le istanze più urgenti alle quali dare risalto?

L’iniziativa che ci vedrà tutte e tutti in pizza domani nasce dall’esigenza profonda di un gruppo di attiviste e attivisti lgbt di riprendere la parola a proposito dei nostri diritti, che sempre più ci vengono negati, all’interno di un dibattito pubblico. Viviamo in un paese che non ha saputo riconoscere alcun diritto alle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, intersessuali (LGBTI) e alle nostre famiglie, alle quali siamo ancora costretti di ribadire che il nostro obiettivo è la piena eguaglianza, attraverso il riconoscimento del matrimonio e grazie alla ridefinizione del diritto familiare in senso più inclusivo, più rispettoso dell’autodeterminazione delle scelte individuali e dell’evoluzione sociale, sapendo che per alcuni pare quasi un miracolo che si parli di unioni civili! In questo quadro tutto è urgenza perché dobbiamo colmare un ritardo di almeno vent’anni rispetto agli altri Paesi europei. Con la marcia vogliamo stabilire in modo chiaro le nostre richieste, a cominciare dalle più controverse: il matrimonio per tutte e tutti, i diritti di genitorialità, la libertà di educazione all’interno delle scuole pubbliche. La laicità, l’eguaglianza dei diritti, la libertà e l’autodeterminazione delle scelte, il contrasto alla violenza di genere, al sessismo e a ogni discriminazione, il diritto alla salute, alla scuola pubblica e laica. Tutte rivendicazioni che discendono da alcuni principi fondamentali per un paese che si voglia definire propriamente democratico, e che sono fissati nella nostra Costituzione che spesso però resta lettera morta. Oltretutto, questi principi hanno senso solo se escono dalle carte per diventare diritti concreti ed esigibili e rappresentano anche una straordinaria risposta alla crisi economica politica e sociale. Sono principi che non riguardano solo le persone LGBTI, ma tutte e tutti. Non è un caso se la nostra manifestazione, avendo l’ambizione di creare connessioni e reti, ha riscosso l’adesione di realtà importanti che vanno bel al di là delle associazioni LGBTI: dai movimenti studenteschi alla CGIL, dai Genitori Democratici alle associazioni laiche, passando per le realtà che si battono contro il razzismo. Riteniamo che questa piazza sia una risorsa per la società civile, per la buona politica, per i movimenti, per le donne. Per noi resta un punto di partenza, perché di una cosa siamo certe e certi: non ci fermeremo, la nostra determinazione e la nostra rabbia non conoscono ostacoli e andremo avanti fino a che non avremo raggiunto i nostri obiettivi!

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Qual è stato finora il comportamento del governo nei confronti di queste rivendicazioni necessarie?

Il Governo Renzi da un lato non è riuscito neppure ad approvare una “semplice” legge contro l’omofobia e dall’altro ha cancellato di fatto il Ministero per le Pari Opportunità e l’UNAR, senza scandalo e opposizione. Addirittura il ministro dell’Interno Angelino Alfano ricorre contro i sindaci che provano a colmare il vuoto di diritto trascrivendo i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, mentre il premier si ammanta della retorica dei diritti civili e delle promesse rinviate di continuo. In Italia oltre centomila bambini figli di persone omosessuali vedono negate le loro famiglie. E persino gli interventi contro il bullismo nelle scuole, che le associazioni hanno ottenuto grazie a decenni di lavoro sul territorio, sono finiti sotto attacco e i bandi del ministero aperti quasi un anno fa sono stati congelati, impallinati dagli attacchi dei catto-fascisti senza che la stampa ne parli. È necessario cambiare il paradigma, uscire dall’austerità politica ma anche mentale. Abbiamo bisogno di una classe dirigente che sollevi lo sguardo dalle sue dinamiche interne, dai giochetti e dai posizionamenti, dalle letture ideologiche e strumentali, e guardi alla realtà sociale e civile profondamente cambiata. Compito della politica è, o dovrebbe essere infatti, dare delle risposte alla società odierna in maniera laica. La piazza del 12 ha l’obiettivo di rimettere al centro proprio la realtà, la realtà delle nostre vite e delle nostre famiglie, delle nostre scuole, del mondo dellavoro, del Paese.

Come possiamo sensibilizzare l’opinione pubblica nei riguardi delle diversità contrastando così le discriminazioni?

Discriminazioni e pregiudizi nascono dall’ignoranza, in senso stretto, cioè dalla non conoscenza delle diversità. Ne deriva che il miglior modo di combatterli è la visibilità, creare occasioni di incontro e conoscenza delle diversità. Ovviamente prima avviene l’incontro e la conoscenza più facilmente saremo in grado di combattere il sorgere dei pregiudizi sul nascere. Ecco perché è importante il lavoro dei media nel rendere visibile in modo corretto la realtà delle persone LGBTI, per esempio attraverso film, serie tv, programmi, giornali, TG. Allo stesso tempo è fondamentale il lavoro nelle scuole, con l’impegno degli insegnanti e dei genitori. In tutti questi aspetti il ruolo delle politiche pubbliche e anche delle leggi può essere fondamentale. Pensate a come è cambiata l’opinione pubblica sulle coppie omosessuali in Spagna dopo l’approvazione del matrimonio nel 2005. Le leggi infatti aiutano a rendere più visibile la realtà sociale già evoluta e obbligano le istituzioni a confrontarvisi a tutti i livelli.

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Quando sentiamo dire “teoria gender” di cosa stiamo parlando? E in che modo viene utilizzata dai fondamentalisti e dai tradizionalisti?

Quella che gli omofobi e i catto-integralisti chiamano teoria gender, o più spesso ideologia gender, è una radicale invenzione creata di sana pianta per diffondere disinformazione e odio nei confronti delle persone omosessuali e delle loro famiglie. È un’operazione scientifica che rielabora in maniera assolutamente strumentale gli studi di genere sorti negli anni ‘60 e ‘70 in ambito femminista. Non a caso le altre grandi vittime di questa violentissima e pericolosa propaganda sono proprio le donne perché vedono messi in discussione i progressi fin qui raggiunti nel lungo cammino per i pari diritti e dignità; un percorso che, purtroppo, non si è ancora concluso. Ma per fortuna questa strategia, che per molti versi ricorda quella messa in campo contro gli ebrei dai nazisti negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, è talmente smaccata da esser stata smascherata, mentre si stanno moltiplicando gli strumenti anche teorici per contrastarla efficacemente. Pensiamo per esempio al libro di MichelaMarzano “Mamma, Papà e Gender” oppure a “Il Genere, una guida orientativa” di Federico Ferrari, Enrico M. Ragaglia, Paolo Rigliano, disponibile e scaricabile gratuitamente dal sito: http://www.sipsis.it/il-genere-una-guida-orientativa/

Secondo alcuni Jorge Bergoglio ha scosso in profondità le gerarchie ecclesiastiche. Qual è la posizione della Chiesa Cattolica nei confronti delle rivendicazioni della comunità LGBTI?

La posizione ufficiale della Chiesa Cattolica nei confronti dell’omosessualità e delle coppie omosessuali non è cambiata. Non a caso durante la conclusione del Sinodo sulla Famiglia si è parlato del cambiamento di approccio nei confronti delle persone divorziate mentre di omosessualità non si è più parlato. Inoltre, nonostante alcune dichiarazioni che erano state lette come delle aperture, lo stesso papa nei suoi interventi si è più volte scagliato contro la fantomatica ideologia gender, della quale discutevamo poc’anzi, e contro qualsiasi riconoscimento per le coppie omosessuali. Insomma, siamo di fronte a una posizione sempre più lontana dalla realtà e anche dal sentire degli stessi credenti, come ha dimostrato recentemente il referendum che in Irlanda, paese profondamente cattolico, ha approvato il matrimonio per le persone omosessuali con oltre il 60% dei consensi. Una posizione così retriva tra l’altro non si fonda certamente su incontrovertibili impedimenti teologici, basti pensare alle riflessioni di un teologo importante come Vito Mancuso e all’evoluzione delle posizioni di altre comunità cristiane come i Valdesi, ma sembra piuttosto legata a un conservatorismo ipocrita e cieco, oltre che al mantenimento di posizioni di potere all’esterno e nelle lotte intestine alla curia stessa.

La crescita della destra razzista e xenofoba nel nostro paese è la triste conseguenza della grave crisi politica ed economica alimentata dall’austerità? Perché i media nazionali italiani assicurano tanta visibilità al leader di un partito omofobo come Matteo Salvini? 

Sono molto preoccupato perché la storia ci insegna che la crisi socio-economica diffusa che l’Europa sta vivendo, ormai da diversi anni, alimenta l’espansione dei partiti nazionalisti e razzisti che raccolgono consensi catalizzando l’odio su gruppi più deboli e identificabili: gli stranieri oggi, gli ebrei ieri e gli omosessuali in entrambi i casi. L’affermazione anche elettorale di forze politiche dell’estrema destra xenofoba in paesi come la Polonia, l’Ungheria o la Francia, deve allarmare tutta l’Europa, compresa l’Italia dove l’avanzata della Lega e dei movimenti omofobi tipo “Manif pour tous” è figlia dello stesso clima. Dove ci può portare questo degrado lo abbiamo già visto negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, considerando che oggi gli anticorpi del dopoguerra appaiono pericolosamente bassi. La paura generata dal terrorismo dell’ISIS e dalla guerra nel vicino Medio Oriente, con conseguenti flussi di profughi da quelle regioni, ha alimentato una psicosi collettiva sulla quale la politica specula, facendoci rischiare una vera e propria deriva securitaria, con deleterie limitazioni delle libertà democratiche. L’annuncio della sospensione della Convenzione dei diritti umani da parte del governo frencese all’indomani degli attentati del 13 novembre è solo il prodromo di cosa potrebbe aspettarci. In queste condizioni diventa nostro compito reagire, offrire risposte diverse alle sfide dei nostri tempi, recuperando la capacità di impegno sociale e politica dei movimenti ricominciando a ragionare di diritti in senso progressivo anziché regressivo. Quanto all’invasione televisiva di un personaggio come Salvini (ma potremmo anche nominare la Meloni o la Santanché) mi sembra evidente la responsabilità dei giornalisti; la caccia ai facili ascolti purtroppo pare essere legata alla capacità di creare baruffe polemiche grazie alla presenza di populisti confusi e contraddittori, piuttosto che concentrandosi su protagonisti della politica capaci di approfondire e argomentare le tematiche, magari senza lanciare tristi e banali slogan populisti.hqdefault

“Liberiamo i diritti presi in ostaggio”. Questa frase ci riporta a quello che sta avvenendo nella Francia dello “stato d’emergenza” deciso da François Hollande. Viviamo oggi, tra il giogo del debito e il ricatto della sicurezza, una vera e propria emergenza democratica?

Come dicevamo prima sì, corriamo questo rischio. Trovo significativo il voto francese: ha dimostrato che se i partiti della sinistra, o del centro-sinistra come i socialisti di François Hollande, seguono le derive populiste della destra e fanno politica su loro stesso terreno perdono ulteriormente credibilità e consenso elettorale, favorendo proprio le forze populiste di estrema destra. Del resto sette anni di crisi economica hanno dimostrato che le ricette di austerità, che hanno colpito profondamente le politiche sociali, non hanno risolto la crisi del debito (debito e deficit sono quasi ovunque aumentati…), ma hanno impoverito proprio le fasce più deboli e vulnerabili della popolazione aumentandone il senso di smarrimento e la paura. La crisi economica è stata uno straordinario fenomeno di redistribuzione del reddito al contrario, dai più poveri verso i più ricchi, e questo, oltre che profondamente ingiusto, genera una instabilità diffusa che di fatto mina le fondamenta stesse delle democrazie europee.

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