Repressione in Gambia contro i sindacati dei trasporti che reclamano la riduzione dei costi del carburante. Ucciso in carcere un leader sindacale
Nelle scorse settimane i sindacati dei trasporti su strada senegalesi hanno organizzato un blocco di protesta lungo il confine col Gambia, per contestare l’aumento delle tasse doganali sui camion in entrata nel Paese, deciso unilateralmente dal presidente gambiano, Yahya Jammeh Babili Mansa. Una mobilitazione che ha coinvolto anche l’altra sponda del confine col Senegal, dove i colleghi autotrasportatori del Gambia chiedevano al loro governo una riduzione dei prezzi al dettaglio per il carburante, in linea con l’attuale calo del costo del combustibile all’ingrosso.
La risposta del presidente non si è fatta attendere ma non è stata quella sperata. L’esecutivo di Yahya Jammeh ha deciso di optare per la repressione sommaria, vietando le attività sindacali e facendo arrestare tre dirigenti sindacali. Uno di loro, Sheriff Diba, della Gambian National Transport Control Association (GNTCA) è morto in carcere – come riferito dalla Campagna Labour Start – a causa delle brutali percosse ricevute dagli ufficiali della National Intelligence Agency.
In una lettera al presidente del Gambia, Steve Cotton, il segretario generale dell’International Transport Workers’ Federation (ITF) ha espresso gravi preoccupazioni per l’arresto di alcuni dirigenti sindacali del GNTCA e la morte di uno dei suoi leader, lo scorso 21 febbraio 2016, durante la detenzione nella prigione “2 Mile”. Tali rappresaglie in risposta alla legittima attività sindacale violano pericolosamente i diritti fondamentali dei lavoratori sanciti nelle Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Gli arresti arbitrari, le torture e la messa al bando delle attività sindacali fanno parte di una strategia repressiva che l’ITF, così come le sue affiliate in tutto il mondo, attribuiscono senza dubbio alcuno alla volontà presidenziale.
Per tali motivi la Federazione Internazionale dei Lavoratori dei Trasporti richiede al governo che: “tutte le misure illegali che hanno comportato lo scioglimento del GNTCA e il divieto di tutte le sue attività vengano soppresse, tutti i procedimenti legali intrapresi contro i leader e i membri del GNTCA vengano sospesi e che sia stabilita una commissione nazionale d’inchiesta, comprensiva di membri della GNTCA, che possa decretare le circostanze effettive che hanno portato alla morte di Sheriff Diba”.
La possibilità che tutte queste richieste vengano accolte risulta difficile al momento, ma un’istanza ufficiale andava comunque presentata come primo atto formale. Chiaramente non è l’unica azione che l’ITF ha deciso d’intraprendere, facendo sapere di essere al lavoro per preparare un esposto internazionale da presentare all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) di Ginevra, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e la giustizia sociale.
Il presidente del Gambia, Yahya Jammeh, non è nuovo a gestioni personalistiche della cosa pubblica e violazioni dei diritti umani. Al potere dal 1994 in seguito ad un golpe militare, il suo regime è accusato da diverse ong internazionali di sparizioni forzate, esecuzioni sommarie e persecuzione degli organi di stampa non allineati e dei difensori delle libertà civili. Negli ultimi era balzato prepotentemente agli onori delle cronache per aver minacciato di “tagliare la testa” ai gay che vivono nel paese, definendoli “parassiti” e giurando “che nessun bianco potrà farci niente”.
Yahya Jammeh ha annunciato di recente di volersi candidare per la quinta volta consecutiva alla guida del Gambia e dare seguito al nuovo progetto di uno Stato confessionale islamico, mettendo definitivamente la parola fine all’esperienza laica. Il repentino cambio di rotta, ufficializzato sul finire del 2015, potrebbe avere a che fare con la rottura dei rapporti con l’Unione Europea, che lo scorso dicembre ha tagliato considerevolmente i fondi destinati allo sviluppo del Gambia, a causa dell’acutizzarsi delle violazioni dei diritti umani nel Paese. Da qui la decisione di proclamare la Repubblica islamica, probabilmente anche per attirare l’interesse dei Paesi del Golfo, i quali potrebbero assicurare senza troppe preoccupazioni l’appoggio economico venuto meno dall’Europa.
sono contenta che Popoff si ricordi di uno fra i più disgraziati paesi del globo, dove sembra che nessuno sia interessato a “esportare” un po’ di democrazia … grazie!