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Siria, Izquierda Unida con Assad e il collasso dell’internazionalismo

E’ diventato sempre più difficile distinguere tra la destra che festeggiava l’invasione dell’Iraq nel 2003, e la sinistra che celebra ogni vittoria russa o iraniana

di Leila Nachawati e Joey Ayoub*
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Si discute sulla Siria senza i siriani in conferenze di pace, incontri internazionali e analisi sul paese. Anche i cittadini siriani sono scomparsi dal discorso di questa parte della sinistra che si autodefinisce «antimperialista». L’11 luglio 2016 si è saputo che Javier Couso Permuy, di Izquierda Unida, si era recato a Damasco, insieme a Tatiana Ždanoka, eurodeputata lettone del Gruppo dei Verdi/Alleanza Libera Europea, e Yana Toom, del Partito del Centro dell’Estonia, per incontrare il dittatore siriano Bashar al-Assad.

I tre lo hanno annunciato orgogliosi su Twitter, sottolineando la narrazione di Assad della «lotta contro il terrorismo». Poco dopo, aerei dell’esercito di Assad, appoggiati dall’aviazione russa, bombardavano diversi quartieri di Aleppo lasciando decine di vittime civili ‒ buona parte di queste bambini ‒ in una città che negli ultimi giorni si è trasformata in una trappola per topi per la popolazione che ancora non è potuta fuggire.

La visita di questi deputati di partiti di sinistra si aggiunge a quella di altri delegati europei, per la maggior parte di partiti di destra o estrema destra, come «Les Républicains» dalla Francia, che hanno approfittato della loro visita a Damasco per farsi dei selfie con il gruppo di estrema destra «SOS Chrétiens d’Orient» o i membri del Front National francese che ha dichiarato ripetutamente il suo appoggio al regime di Assad.

Le stime più recenti dell’ONU fanno salire la cifra delle persone annegate nel Mediterraneo a più di 2.500, in buona parte uomini, donne e bambini siriani che fuggono da un conflitto talmente devastante che la stessa ONU ha smesso di contabilizzare i morti nel 2014. Nello stesso tempo in cui l’Unione Europea annunciava che avrebbe usato navi da guerra della NATO per evitare che i migranti uscissero dalla Turchia e si addentrassero nelle preziose coste della fortezza europea, i delegati europei si dirigevano su Damasco per riunirsi con i responsabili dei massacri dai quali fugge la maggior parte dei rifugiati.

Siria senza i siriani

La visita dei deputati europei non è una sorpresa per i siriani, abituati al fatto che l’attenzione internazionale sia polarizzata sul loro paese, ai discorsi reazionari che il conflitto ha scatenato in Occidente, e al fatto che il futuro del loro paese si decida senza di loro.

Si discute sulla Siria senza i siriani in conferenze di pace, incontri internazionali e analisi sul paese. I siriani sono scomparsi anche dal discorso di questa parte della sinistra che si autodefinisce «antimperialista», mentre si allinea con gli interessi imperialisti di potenze come la Russia, e l’Iran. Basta scorrere un qualsiasi articolo sul paese, scritto da qualcuno di questi analisti per verificare l’assenza di riferimenti ad attivisti e intellettuali siriani nel testo. Tale rifiuto di parlare con i siriani e le siriane è la ragione del fatto che questa sinistra campista, nelle parole dell’accademica palestinese Lama Abu Odeh, stia «scavando a fondo sotto le linee di pensiero che le sono più familiari rovistando, per che così dire, frugando dentro vecchi armamentari politici, aggrappandosi a posizioni a lungo conservate per tornare ad abbracciarle, esprimendo affiliazioni ad adorate patrie politiche, quali che siano, solo per ritrovarsi senza niente da dire, solo per trovare la propria lingua bloccata, il suo volto pietrificato, a bocca aperta». Questa sinistra ha perso a tal punto la rotta che qualcuno ha persino immaginato Aleppo come Guernica e questa sinistra inneggiante alla Luftwaffe.

In tale contesto non sorprende che il dirigente di IU Couso si riferisca alla necessità del regime siriano di «lottare contro il terrorismo», un termine che a Damasco si usa per designare chiunque si opponga alla dittatura, mentre non cessa la valanga di dinamite sulla popolazione civile. Neanche sorprendono la menzione da parte di Izquierda Unida dell’ingerenza turca, saudita o del Qatar nella regione, e l’omissione di quella russa o iraniana, le menzioni delle milizie settarie sunnite, e il silenzio su quelle sciite, che passano dalle vittime sacrificali reclutate a forza dall’Iran tra i rifugiati afgani fino a quelle irachene e libanesi. Nemmeno sorprende che Couso si riunisca con il Gran Muftì della Siria, che un anno fa fece appello all’annientamento di tutti quelli che si opponevano al regime di Aleppo. Il muftì, dopo tutto, si rivolge alle chiese durante la messa di Natale in Siria e questo è stato il mantra ripetuto da questi partiti di sinistra per giustificare le loro riunioni con lui.

Che tipo di pace si cerca quando si ignora la persecuzione dei pacifisti e dei difensori dei diritti umani?

Preoccupa questi deputati il fatto che chiunque si opponga al regime siriano sia etichettato come «simpatizzante di Al Qaida», compresi quelli di origine arabo-cristiana come io stesso, Joey Ayoub? Gli importa che rivoluzionarie siriane cristiane come Marcell Shehwaro, figlia di un sacerdote, abbia subito persecuzioni per anni tanto dai gruppi estremisti come Daesh quanto dal regime di Assad? Hanno dimostrato la loro solidarietà a Shehwaro quando decise di celebrare il Natale come atto di resistenza, malgrado fosse nel mirino dell’ISIS? No, questa sinistra ricorda gli arabi cristiani solo quando si adattano alla propria narrazione.

In tale contesto di solidarietà selettiva, sentiamo Couso parlare di «pace» mentre si riunisce con il regime siriano e ignora il resto degli attori, compresi i comitati di coordinamento locali che lavorano sul terreno. Che tipo di pace si cerca, uno si chiede, quando si ignorano le persecuzioni dei difensori dei diritti umani come Bassel Khartabil, il noto ideatore del codice informatico open source palestinese-siriano, che sta nelle carceri di Assad dal 2012. Khartabil, che il regime ha fatto sparire nell’ottobre 2015 e il cui luogo di detenzione è sconosciuto, era considerato una figura chiave per il futuro della Siria, ed è precisamente questa forma di pensiero libero e di attivismo pacifico che tanto il regime siriano quanto gruppi come Daesh hanno trasformato nel loro principale obiettivo. Che cosa dice questa sinistra alla moglie di Bassel, Noura Ghazi, che gli ha inviato un messaggio a San Valentino 2015: «Ho paura Bassel. Temo per questo paese che viene massacrato, diviso, insanguinato, distrutto … Ah, Bassel. Temo che il nostro sogno di essere la generazione che porterà la libertà nel paese, si trasformi nell’incubo di osservare la sua distruzione. Bassel, ho molta paura». Può questa sinistra guardare Noura negli occhi e dirle che sostiene l’eredità internazionalista e lotta per tutti i popoli oppressi dovunque stiano?

Come spiega il filosofo Santiago Alba Rico: «il vero danno che [Couso e altri] fanno, è alla sinistra e all’internazionalismo in generale». E basta solo vedere le reazioni ai commenti di Alba Rico per rendersi conto della convergenza di questa sinistra con l’estrema destra europea, questa «alleanza di rossi e bruni».

Ma forse la sentenza di morte più assordante per l’internazionalismo europeo viene quando figure conosciute della sinistra siriana sono condannate, torturate e/o assassinate dal regime di Assad, senza che ci sia alcuna reazione di condanna tra quanti ne sostengono i responsabili. Persone come i ben noti Yassin Haj-Saleh, e Riad Al-Turk che ha passato 18 anni nelle carceri di Assad perché appartenente al partito comunista di opposizione (non quello approvato da Assad con il quale Couso si è riunito in Libano) il Partito Comunista Siriano (Ufficio Politico), ora chiamato Partito del Popolo Democratico Siriano, che si è scisso dal partito comunista a causa dell’appoggio di quest’ultimo al baathismo. Anche Haj-Saleh ha passato 16 anni in prigione per l’appartenenza allo stesso partito. Tutti e due sono stati torturati, tutti e due hanno perso amici e persone amate, o ne aspettano il ritorno, e tutti e due sono oggi in esilio. Quanto è senza dubbio assordante il silenzio di questa sinistra «silenziosa di fronte alla tomba fatta dalle macerie dell’edificio crollato per il peso di una bomba, che ha schiacciato la testa di un siriano di Homs, troppo povero per poter scappare quando ne ha avuto l’occasione».

Come dice Alba Rico, è diventato sempre più difficile distinguere tra la destra che festeggiava l’invasione dell’Iraq nel 2003, e la sinistra che celebra ogni vittoria russa o iraniana. Opposta a questa visione del mondo in due assi, resta la solidarietà di quanti continuano a sfidare le visioni dogmatiche del mondo, che appoggiano il diritto legittimo di autodeterminazione dei popoli e la loro libertà di fronte alla repressione, sia che venga in forma di invasione straniera o sia di tirannie nazionali.

*Leila Nachawati (docente di comunicazione e scrittrice ispanosiriana) e Joey Ayoub (scrittore libanese, autore di “Global Voices” e “Hummus for Thought”)

2 COMMENTI

  1. è la traduzione fedele di quello pubblicato il 19 luglio 2016 (un mese fa…) da Leila Nachawati sul sito di informazione “eldiario.es” vicino al movimento politico “Ciudadanos”, non dissimile dal nostrano cinquestelle. La Nachawati pubblicò già il 29 marzo scorso un articolo decisamente critico sulle operazioni militari siro-russe contro Daesh che portarono alla liberazione della città di Palmira (QUI: http://www.eldiario.es/zo…/liberado-Palmira_6_499810047.html), sostenendo che a giugno 2015 l’Esercito Arabo Siriano ed Hezbollah si disinteressarono della città, lasciando strada a Daesh per concentrarsi su Aleppo e Damasco. Un racconto volutamente distorto, cervellotico e strumentale che colpisce chi non riflette su ciò che legge: un po’ come se un giornalista italiano ai tempi della Seconda Guerra Mondiale avesse scritto che i Partigiani non si concentrassero su Marzabotto e Montesole abbandonando i due piccoli paesi al genocidio nazista…
    Joey Ayoub tiene un blog chiamato “Hummus for Thought” (Hummus di riflessione) sul quale ha ripreso l’articolo solo il 20 luglio, traducendolo in lingua inglese con leggere modifiche rispetto all’originale, le quali comunque non ne modificano il portato, come lui stesso esplicita nell’introduzione (QUI: https://hummusforthought.com/…/izquierda-unida-syria-and-t…/). Sia Ayoub che Nachawati sostengono che la sinistra prenda posizioni preconcette sulla Siria dimenticandosi dei siriani, escludendo “il popolo” ed i suoi “intellettuali”: a nulla valgono i fiumi di articoli, anche in lingua italiana, che riprendono interviste e contributi di scrittori, politici e lavoratori medesimi (celebre l’intervista al medico di Aleppo, Nabil Antaki). Ayoub pubblica due giorni dopo la traduzione dell’articolo scritto sul sito arabo “Raseef22” intitolato in buona sostanza “La Siria e la sinistra reazionaria”, che già dall’enorme foto che apre lo scritto mostra un fiume di bandiere coloniali del mandato francese in Siria, utilizzate fin da subito dai cosiddetti “ribelli” nell’eterodiretta manovra di destabilizzazione esplicitata nel 2011 (QUI: http://raseef22.com/…/%d8%a7%d9%84%d8%a7%d8%b2%d9%85%d8%a9…/ ).
    Ayoub, parlando di “antimperalismo essenzialista” (?!?!?) sponsorizza nell’articolo 5 pubblicazioni di sedicenti intellettuali siriani, riprendendo concetti pietisti ed assistenzialisti che fanno breccia nei più sensibili e disattenti alla lettura, parlando di profughi e di “cinismo governativo capitalista-nazionalista-statalista-patriarcale” e riprendendo fantomatici “consigli locali di governo” narrati da sedicenti anarchici siriani. Salvo poi concludere con la frase “La Siria è il nostro mondo, perchè il nostro mondo è in Siria”, sufficientemente “statalista-nazionalista”, donando quel tocco di comunitarismo che grottescamente smaschera qualsiasi mellifluo tentativo di dare un corpo razionale a quella declinazione di “internazionalismo proletario” decantato da certa sinistra sedicente marxista.
    Se queste sono le basi teoriche che accompagnano la prassi del movimento cosiddetto ribelle siriano, ammesso che vi sia qualcosa che si muove in buona fede dai cosiddetti “moderati” ai kurdi che si autoproclamano indipendenti proprio nella fase più cruenta del conflitto, accordando anche una base militare agli statunitensi, poco c’è da stupirsi se noi poveri “antimperialisti essenzialisti” non siamo affatto persuasi dall’assenza di razionalità di certe tesi.
    Nè ci stupiremo se nuovamente troveremo truppe militari neocoloniali a difendere in armi le loro sedi “rivoluzionarie” di partito, come in Iraq. O forse già succede a Rmeilan………?

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