Comitati per il No, M5s e Sel ricorrono al Tar contro il quesito referendario. Il Quirinale si irrita ma viene smentito dai legali dei ricorrenti
di Francesco Ruggeri
Gli avvocati Enzo Palumbo e Giuseppe Bozzi (che attualmente difendono i ricorrenti messinesi dinanzi alla Consulta nel giudizio per l’incostituzionalità dell’Italicum), nella loro qualità di elettori e di esponenti del Comitato Liberali x il NO e del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, e i senatori Vito Claudio Crimi (Mov5Stelle) e Loredana de Petris (Sin. It.-SEL), anche nella loro qualità di delegati di un gruppo di senatori richiedenti il referendum costituzionale oppositivo, col patrocinio dell’avv. Luciano Vasques del Foro di Roma, hanno proposto al TAR Lazio un ricorso avverso il Decreto del Presidente della Repubblica con cui, indicendo il referendum per il prossimo 4 dicembre, è stato tra l’altro stabilito il quesito che dovrebbe comparire sulla scheda di votazione.
I ricorrenti lamentano che il quesito predisposto dal Quirinale non tiene conto di quanto stabilito dall’art. 16 della legge 352-1970, secondo cui, quando si tratti di revisione della Costituzione, il quesito referendario deve recare la specifica indicazione “degli articoli” revisionati e di ciò che essi “concernono”.
Il quesito referendario predisposto dagli Uffici del Quirinale, su proposta del Governo, oltre a non specificare quali siano gli articoli della Costituzione interessati dalla riforma, alcuni dei quali ben più importanti di quelli citati (come le nuove modalità di elezione del Presidente della Repubblica e dei Giudici costituzionali di derivazione parlamentare), si limita invece a riprodurre il titolo del ddl di revisione, che, assieme al corretto ma insufficiente riferimento ad alcuni istituti incisi dalla revisione, riporta impropriamente anche una presunta finalità della legge (il c. d. contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni), che non trova specifico riferimento in alcuna delle norme revisionate, potendone semmai essere una conseguenza, neppure certa e comunque irrisoria.
A parere dei ricorrenti, il quesito così formulato finisce per tradursi in una sorta di “spot pubblicitario”, tanto suggestivo quanto incompleto e fuorviante, a favore del Governo che ha preso l’iniziativa della revisione e che ora ne chiede impropriamente la conferma ai cittadini, che non meritano di essere ingannati in modo così plateale.
In relazione a quanto affermato dai ricorrenti al Tar Lazio, negli ambienti del Quirinale si precisa che il quesito che comparirà sulla scheda è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione, in base a quanto previsto dall’art 12 della legge 352 del 1970, e riproduce il titolo della legge quale approvato dal Parlamento.
«Qui mi sembra che si stia volutamente tentando di fare confusione. Eppure la legge 352 del 1970 è chiara». Così l’avvocato Enzo Palumbo a commento della nota del Quirinale sul ricorso al Tar del Lazio contro il quesito referendario. «Un conto è la richiesta di referendum, che è regolato dall’art. 4; un altro conto è il quesito che è regolato dall’art. 16. E infatti, la Cassazione si è limitata a prendere atto che la richiesta di referendum era legittima ai sensi dell’art. 4 (cioè c’era il numero di firme necessario, la documentazione era formalmente corretta ecc). A quel punto – continua Palumbo – scattano i requisiti imposti dall’art. 16 che indica in termini precisi e senza equivoci come deve essere scritto il quesito, cioè specificando quali sono gli articoli oggetto di referendum. E non si dica che la legge impone di ricopiare il titolo della legge approvata dal parlamento: in passato si è fatto così ma solo perché si trattava di formulazioni neutre basate sui titoli e dunque l’indicazione dell’articolo era superflua. In uno stato di diritto – conclude Palumbo – i comportamenti delle istituzioni non sono regolati dalle persone ch ricoprono quel ruolo ma dalla legge».
In allegato, un depliant del comitato savonese per il No pieghevole_per_web
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