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Ceta, la Vallonia resiste: «Non firmiamo»

«Non è ragionevole, non si può firmare». La Vallonia resiste e irrita l’Ue. Eleonora Forenza (Gue): «La Vallonia, con il suo NO al Ceta, non rappresenta solo gli interessi dei suoi cittadini ma anche di milioni di europei»

di Francesco Ruggeri

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«La Vallonia, con il suo NO al Ceta, il trattato tra Ue e Canada, non rappresenta solo gli interessi dei suoi cittadini  – spiega Eleonora Forenza, eurodeputata de L’Altra Europa con Tsipras-GUE/NGL – ma quelli di milioni di europei che, inascoltati dai loro governi, si oppongono a trattati commerciali come il Ceta, il TTIP e TISA. Questi trattati implementano una globalizzazione ancora più esasperata, che distrugge diritti sociali e ambientali, mette a rischio posti di lavoro e prevede la superiorità dei diritti delle imprese e delle multinazionali su quelli delle persone, con corti speciali di arbitrato che le pongono al di sopra e al riparo delle leggi degli stati. Quindi tutto il nostro sostegno al coraggioso parlamento della Vallonia, che non è solo in questa battaglia per i diritti e la democrazia. Auspichiamo che altri governi affianchino il parlamento della Vallonia e la mobilitazione di milioni di cittadini contro il CETA».

Paul Magnette, presidente della Regione Vallonia, infatti, ha confermato che entro venerdì non approverà l’accordo commerciale Ue-Canada come chiesto dai ministri del commercio europei e dalla Commissione. «Non potremo firmare, non è ragionevole, credo che occorra dire le cose chiaramente», ha indicato Magnette, chiedendo che vengano riaperti i negoziati con il Canada. Senza la firma della Vallonia il governo belga non può sottoscrivere l’accordo che, per essere valido, deve avere l’unanimità degli Stati membri. La Vallonia contesta vari punti del Ceta: la clausola di salvaguardia per gli agricoltori canadesi in caso di distorsioni di mercato, la possibilità per le imprese americane di sfruttare i vantaggi dell’accordo Ue-Canada, i meccanismi di arbitraggio in caso di controversie. Il 27 è prevista a Bruxelles la firma dell’accordo con il presidente canadese Justin Trudeau: al momento è a rischio.

Tutto ciò scatena turbolenze e dichiarazioni stizzite da parte di chi non tollera l’autodeterminazione dei parlamenti. Il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, famoso per essere spesso sbronzo in pubblico, dice che «il commercio è essenziale per la nostra crescita economica e per la creazione di posti di lavoro, ma non dobbiamo essere ingenui. Le nostre regole attuali si sono rivelate insufficienti per contrastare i danni che vengono provocati dalla concorrenza estera sleale. Alcune industrie dell’Ue hanno perso migliaia di posti di lavoro: non possiamo restare immobili. Le regole di difesa dell’Ue devono essere aggiornate con urgenza». Per la Commissione Europea, la modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale dell’Unione può essere ottenuta adottando rapidamente la proposta messa sul tavolo nel 2013; in una comunicazione ad hoc, inoltre, la Commissione ha spiegato come la nuova metodologia anti dumping che intende proporre verrebbe usata per affrontare situazioni in cui le condizioni di mercato non prevalgono, in vista anche dei prossimi cambiamenti nel quadro della Wto. «Non stiamo facendo una nuova proposta – spiegano fonti Ue –  ma abbiamo fatto un certo numero di suggerimenti. Sottolineiamo la necessità che gli Stati membri agiscano».

Giura il vicepresidente della Commissione Europea Jyrki Katainen che il Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta) «è l’accordo più moderno e trasparente» siglato dall’Ue, quindi «è molto importante farcela. I servizi della Commissione stanno lavorando molto duramente per fare progressi» per ratificare l’accordo, dato che «sarebbe triste doverlo mettere da parte. La maggior parte degli Stati membri sono a favore e dovremmo trovare un modo».

Non è l’unico ostacolo

Ma non è solo il “Davide” della Vallonia (3,8 milioni di abitanti) a inceppare il varo del Ceta: come si legge in un verbale del COREPER  riportata da DtopTtip Italia – il comitato dei rappresentanti permanenti che prepara i lavori del Consiglio dell’UE – anche la Germania potrebbe avere dei problemi legali ad avallare l’applicazione provvisoria del CETA. Il 13 ottobre scorso, infatti, la Corte Costituzionale tedesca, interpellata da tre organizzazioni della società civile, ha posto alcune condizioni per il via libera da parte del governo (leggi la sentenza). Innanzitutto, possono entrare in vigore prima della ratifica nazionale solo quelle parti dell’accordo di competenza esclusiva dell’UE. Ciò significa che tutte quelle parti in cui i governi esprimono preoccupazioni circa il rispetto del principio di sussidiarietà, vanno stralciate finché non vi è chiarezza. Una chiarezza che arriverà soltanto con la sentenza della Corte di Giustizia Europea sul trattato tra UE e Singapore, attesa per i primi mesi del 2017. La Consulta ha anche chiarito che l’applicazione provvisoria non può essere una strada a senso unico. Ha chiesto al governo tedesco di garantire un accordo che permetta a qualsiasi stato membro di recedere. Infine, i giudici dichiarano che il CETA Joint Committee, il comitato di rappresentanti nominati dal governo canadese e dalla Commissione UE che sovrintenderà all’applicazione dell’accordo, con il potere di modificarlo dopo l’entrata in vigore, non può prendere decisioni che interferiscono con i diritti sovrani degli stati membri. Pertanto, a Consulta tedesca propone un accordo interistituzionale tra il Consiglio Europeo e la Commissione che garantisca il potere di veto per tutti i governi sui lavori del comitato.

Queste richieste, insieme alla resistenza della Vallonia, hanno messo in difficoltà la Commissione Europea, che considera «troppo ingombrante» lasciare l’ultima parola agli stati nel CETA Joint Committee. Il risultato è lo stallo che si è registrato al Consiglio dei Ministri del Commercio europei, che hanno rinviato la decisione al vertice dei capi di governo del 20-21 ottobre. Questa situazione ha generato un grave imbarazzo in Europa: la Commissione Europea è considerata ormai un partner commerciale non affidabile dai governi stranieri, mentre tra i cittadini si consolida l’idea di una istituzione tanto distante dall’interesse pubblico quanto legata a una visione tecnocratica del processo politico.

Di cosa parliamo quando parliamo di Ceta

I negoziati sul Ceta sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi nell’agosto del 2014. Sono stati condotti quasi in segreto, se si eccettuano quattro incontri con i rappresentanti di alcune aziende a Bruxelles.

L’obiettivo del Ceta è eliminare il 99% dei dazi doganali e degli altri ostacoli per le aziende, in modo da far aumentare le esportazioni, ma anche rendere più facile l’accesso agli appalti pubblici da parte delle aziende europee in Canada e viceversa. Secondo chi lo contesta, l’eliminazione degli “ostacoli” alla produttività delle aziende porterà in realtà a una diminuzione della sicurezza alimentare, dei diritti dei lavoratori e delle tutele ambientali. Un esempio, secondo il Guardian, è quello delle cosiddette tar sands, o sabbie bituminose. Si tratta di sabbie impregnate di petrolio misto ad acqua e argilla, che si trovano in superficie e il cui processo di estrazione causa grossi danni all’ambiente. La maggior parte della tar sands viene estratta nell’Alberta, in Canada, e , con l’approvazione del Ceta, il loro uso potrebbe diventare frequente anche in Europa. Proprio come il Ttip, si prevede la riforma del sistema degli arbitrati: con il Ceta saranno creati dei nuovi tribunali per la risoluzione delle controversie tra aziende e stati. Secondo gli oppositori, il trattato potrà essere impugnato dalle multinazionali per fare causa a uno stato per tutelare i loro profitti. Il 17 settembre in Germania duecentomila persone hanno protestato contro il Ceta e il Tttip (il trattato di libero scambio tra Ue e Stati Uniti che al momento è più in alto mare: per questo renzi è da Obama e Obama ha prodotto l’endorsement sul referendum). Quattro giorni dopo c’è stato un altro corteo a Bruxelles. Il 15 ottobre migliaia di persone sono scese di nuovo in piazza a Parigi, Varsavia e Madrid. In Italia, l’opposizione al Ceta e al Ttip è nella piattaforma del No Renzi Day.

 

 

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